La Stampa, 7 agosto 2025
In morte di Vladimiro Zagrebelsky
Come un grande attore, Vladimiro Zagrebelsky è uscito di scena recitando. Ieri su La Stampa, c’era il suo ultimo editoriale, consegnato al giornale martedì poche ore prima di avvertire un vago malessere nella passeggiata serale, a Gressoney-La-Trinité, il suo luogo del cuore da tanti anni. Ha chiesto alla figlia di preparargli una boule di acqua calda, ma dopo pochi minuti Irene lo ha trovato sul letto, senza più vita.
Se n’è andato così a 85 anni un uomo che ha dato la sua esistenza al diritto. Con quel filo di humour che segnava i loro rapporti, il fratello Gustavo, di tre anni più giovane, diceva spesso che «il giurista di famiglia era Vladimiro». Nella collaborazione con La Stampa si erano dati il cambio, come due staffettisti. Aveva cominciato Vladimiro, negli anni Ottanta. Ma nel 1991, quando era stato nominato capo della Procura presso la pretura di Torino, aveva interrotto per evitare conflitti di ruolo con le cause Fiat, editore del quotidiano. Il direttore Paolo Mieli aveva così proposto di succedergli al fratello Gustavo, allora ordinario di diritto Costituzionale a Torino. Quando poi quest’ultimo è stato eletto alla Consulta (su nomina del presidente Scalfaro), Vladimiro ha ripreso dopo un po’ il suo posto sulle colonne del giornale. L’ultimo articolo, pubblicato ieri nelle ore stesse della sua scomparsa, è come un sigillo simbolico.
L’attività editoriale, per Vladimiro Zagrebelsky, era il suo modo di trasmettere quella certa idea del diritto che ne ha segnato la vita: non un diritto astratto, ma concreto che si doveva coniugare nella vita di tutti in giorni. Un diritto vitale e sensibile che doveva rispondere alla domanda più forte che emerge oggi dalla società: la difesa dei diritti. Anche per questo Gustavo definiva il fratello «un positivista», per il quale «le cose esistono nella misura in cui si possono pesare, toccare, misurare».
L’ultimo articolo uscito su La Stampa di ieri in tema di clima e ambiente è l’illustrazione di questo metodo. Ed è al tempo stesso una risposta alla diffusa insofferenza di chi accusa i giudici di uscire dalle loro competenze per invadere il campo dei politici: «Il giudice non interviene di sua iniziativa, ma risponde a una domanda, cui è obbligato a dar risposta. La vicenda dei diritti legati all’ambiente è emblematica di come essi prima si manifestino nell’evoluzione della sensibilità sociale e politica e poi prendano corpo e vigore sul piano del diritto». Nell’articolo c’era un richiamo ai politici che spesso in occasione di grandi Convenzioni internazionali o nell’approvare leggi di tipo generale, proclamano soluzioni che vengono poi del tutto dimenticate sul piano pratico. In questi casi, le denunce dei cittadini che si rivolgono ai giudici per chiedere che quegli impegni vengano rispettati è del tutto legittima. E i giudici hanno il dovere di rispondere.
Vladimiro Zagrebelsky era nato a Torino nell’aprile del 1940, ma la famiglia si era presto trasferita a San Germano Chisone, sfollata durante la guerra. Era il paese d’origine della mamma, Elisa detta Lisin, di famiglia valdese. Là è nato Gustavo, nel 1943. Il padre era russo, di Sanpietroburgo. Nel 1914 era venuto con la famiglia a Nizza, dove erano rimasti anche dopo la Rivoluzione d’Ottobre. Papà Zagrebelsky e mamma Lisin si sono conosciuti al mare, a Sanremo, dove lei veniva in villeggiatura estiva. La nuova famiglia si era stabilita a Torino, il padre si è laureato in legge e così hanno fatto Vladimiro e Gustavo, non il fratello più anziano, Pierpaolo. I ragazzi sono cresciuti a Torino, dove hanno frequentato scuole e università.
Nel 1965 Vladimiro è entrato in magistratura, dove ha ricoperto vari incarichi, giudice di tribunale e inquirente, sempre a Torino. Per due volte è stato eletto nel Consiglio Superiore della Magistratura, dal 1981 al 1985. Membro della sezione disciplinare, fu incaricato di redigere le sentenze sui giudici iscritti alla P2. È poi tornato a palazzo dei Marescialli tra il 1994 e il 1998. In mezzo a questi due periodi è stato capo dell’ufficio legislativo del ministero della Giustizia retto da Giovanni Maria Flick e successivamente capo della Procura presso la Pretura di Torino.
Nel 2001 è stato eletto giudice della Corte Europea dei diritti dell’uomo dall’assemblea del Consiglio d’Europa. È rimasto a Strasburgo fino al 2010. È stata l’esperienza che ha indirizzato l’ultima parte della sua attività pubblica, non più come magistrato ma come docente e responsabile del Laboratorio sui Diritti Fondamentali del Collegio Carlo Alberto di Torino. Un ruolo che ha occupato con un grande investimento di passione, trasferendoci l’esperienza della Corte Europea.
C’era sempre da imparare a discorrere con Vladimiro Zagrebelsky. Nel suo tratto umano la squisita cortesia non era mai semplicità, in ogni conversazione emergeva l’attenzione e perfino il rigore della riflessione, sempre stemperato dall’ironia. Sentiva come un dovere non solo scrivere per il giornale ma anche leggerlo. Per questo aveva l’abitudine di redigere ogni giorno un riassuntino degli articoli più significativi.
Nelle conversazioni con gli amici ricordava spesso gli ultimi anni dei suoi genitori, nella casa di riposo di Luserna San Giovanni, dove si vedevano vecchietti non più in grado di badare a se stessi. «Non lasciatemi arrivare a quello stadio», era il suo commento. L’impegno sulla questione del fine vita è stato un altro diritto sul quale Vladimiro Zagrebelsky ha profuso energie morali e sapienza giuridica. In un editoriale del gennaio 2024, sottolineava la distanza tra le attese della società e le decisioni politiche: «La paralisi derivante dall’inerzia del Parlamento e superata (in parte) dall’intervento di una Corte costituzionale che è istituita semplicemente per giudicare della legittimità delle leggi, mostra ora limiti e distorsioni dell’impianto fondamentale della Costituzione». E la conclusione era severa: «All’origine di tutto, un Parlamento che rifiuta di adempiere al suo dovere». La sua morte, brutale ma dignitosa, ha certamente corrisposto a un suo desiderio. —