La Stampa, 9 agosto 2025
Sei miliardi per cambiare la sanità
«Ho appena incontrato Giancarlo Giorgetti e posso dire che non solo non arretreremo di un centimetro nel rapporto spesa-Pil, ma aumenteremo il Fondo sanitario 2026 di circa 6 miliardi, più dei 5,4 miliardi dello stanziamento record del 2020 per contrastare l’emergenza Covid». È soddisfatto il ministro della Salute Orazio Schillaci quando esce dal primo incontro con il titolare dell’Economia sulla manovra.Di questi 6 miliardi però 4 erano già stati stanziati dalla precedente finanziaria…«Resta il fatto che dal 2015 al 2019, con Renzi prima e Gentiloni poi, il Fondo sanitario è cresciuto al ritmo di un miliardo l’anno, mentre dal 2023 al 2026, ossia da quando ho ricevuto l’incarico di ministro della Salute, siamo saliti al ritmo di quasi 4 miliardi l’anno. Questi sono i numeri che smentiscono la narrazione di un governo che disinvestirebbe in sanità».Come impiegherete le risorse in più?«Le investiremo in tre priorità. Prima di tutto assumeremo personale, anche con contratti sia orari che retributivi più flessibili. Per fare questo stiamo pensando di togliere i dipendenti della sanità dal perimetro della Pubblica amministrazione, che comporta molte più rigidità contrattuali. Poi vogliamo aumentare le risorse per la prevenzione, perché con una popolazione che invecchia diventa una scelta obbligata, visto che un over 65 consuma in sanità tre volte tanto un under. In terzo luogo metteremo soldi per finanziare il nuovo piano sulla salute mentale, perché purtroppo il malessere psichico è una vera emergenza, soprattutto per i nostri ragazzi».La piattaforma Agenas sulle liste di attesa dice che solo il 75% delle prestazioni urgenti è erogato entro i tempi massimi, quasi mai rispettati per quelle meno urgenti. Il suo piano taglia-code ha fallito?«Ci sono molte criticità ma il trend si sta invertendo. Proprio dall’Agenas ho appena ricevuto i dati di 997 ospedali che mostrano una riduzione del 21, 3% dei tempi di attesa. E poi, grazie alla piattaforma, ora sappiamo dove bisogna intervenire, assumendo ma anche evitando sprechi. Ricordo che con il decreto di un anno fa per tagliare le liste abbiamo anche detassato gli straordinari ed esteso gli orari per visite e accertamenti alla sera e nei weekend. Dove si sono attivate queste leve i tempi si sono ridotti eccome».Però intanto il rapporto al Parlamento di pochi giorni fa certifica che l’intramoenia, ossia l’attività libero-professionale dei medici dentro gli ospedali, nell’ultimo anno è aumentata del 10%. È accettabile con tempi di attesa spesso ancora così lunghi?«La verità è che la maggioranza dei medici in intramoenia ne fa poco o nulla. Chi ne fa di più sono i medici affermati, che però hanno anche responsabilità organizzative. Bisogna regolamentare meglio la materia, e condivido gli emendamenti di maggioranza al Ddl sulle prestazioni sanitarie che prevedono più controlli e un rapporto più equilibrato tra attività privata e nel pubblico».Tramontata l’idea di trasformarli in dipendenti, come convincerete i medici di famiglia a lavorare nelle case di comunità?«Ho appena incontrato il loro sindacato, che si è reso disponibile a collaborare per attivare fattivamente i nuovi maxi-ambulatori aperti sette giorni su sette, almeno per 12 ore al giorno, dove lavoreranno insieme agli specialisti. Con l’aumento degli anziani affetti da policronicità, l’immagine del medico di famiglia che lavora come un lupo solitario è anacronistica. Comunque verrà fissato un orario congruo di presenza nelle nuove strutture, che costituiranno anche un grande filtro per i pronto soccorso».A fine luglio dovevano decadere i contratti dei gettonisti, che in molti casi verranno prorogati, pena la paralisi degli ospedali. Estirperete il fenomeno?«Per farlo stiamo offrendo la possibilità di ricorrere anche a contratti libero-professionali perché vogliamo medici che stiano stabilmente in reparto a tutela dei pazienti. Il lavoro nei pronto soccorso deve essere incentivato anche economicamente ma resto contrario a forme selvagge di esternalizzazione. Le opzioni per risolvere il problema ci sono. E le dico anche che dal 2020 al 2023 i medici sono aumentati da 112 a 114 mila, ma secondo l’Agenas senza che ci sia stato un aumento delle prestazioni offerte. Segno che c’è anche un problema di cattiva organizzazione territoriale».Nel 2024 la spesa farmaceutica ha sfondato il tetto di ben 4 miliardi. È una crescita inarrestabile o qualcosa in più si può fare?«Intanto l’aumento del Fondo sanitario porterà circa mezzo miliardo in più anche per i farmaci, visto che il loro tetto di spesa è calcolato in percentuale sul fondo stesso. Poi puntiamo ad aumentare di mezzo punto quella percentuale, che vale altri 700 milioni e porta il totale a 1,2 miliardi. Ma dobbiamo anche accelerare sulla ricontrattazione dei prezzi dei farmaci più datati e riformare il sistema dei prezzi, basandolo sui dati reali di efficacia post-commercializzazione».Qual è il suo pensiero sul fine vita? Crede sia giusto tenere fuori dalla legge il Servizio sanitario nazionale?«Una legge è necessaria e dovrà muoversi lungo i principi fissati dalla Corte Costituzionale. Ma credo anche che compito del Ssn sia quello di curare e alleviare le sofferenze con le cure palliative. Il resto deve rientrare nelle scelte consapevoli dell’individuo».Lunedì in Consiglio dei ministri è saltato il Ddl delega sullo scudo penale dei medici. Dov’è il problema?«Nessun problema, tanto meno con il ministro Nordio. Solo la necessità di un approfondimento tecnico, ma la norma verrà approvata a fine agosto. E si badi bene: non è un salvacondotto per i medici, perché il risarcimento resta anche per la colpa lieve. Ma penalizzare persino i piccoli errori finisce per danneggiare in primis gli assistiti, perché la medicina difensiva adottata per evitare le cause fa prescrivere quello che non serve, allungando le liste di attesa, ma fa anche evitare interventi rischiosi ma necessari a salvare vite».L’opposizione l’accusa di aver messo due no vax nel Nitag, il gruppo tecnico consultivo sulle vaccinazioni. Come replica?«Vedremo se è sfuggito qualcosa. Nel gruppo ci sono 22 esperti, tra cui scienziati di prim’ordine. Nel Consiglio Superiore di Sanità che ho appena nominato non credo ci sia un solo componente che non riconosca l’importanza dei vaccini. A passare per no vax proprio non ci sto, non c’è il rischio». —