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 2025  agosto 09 Sabato calendario

Intervista a Nicoletta Romanazzi


Di lei non si sapeva nulla fino a che Marcel Jacobs alle Olimpiadi di Tokyo con la medaglia d’oro al collo non l’ha ringraziata per averlo fatto arrivare a quel traguardo. Lei è Nicoletta Romanazzi, classe 1967, figlia di una dinastia di imprenditori, che dopo 35 anni passati a fare la brava figlia, moglie e madre, ha deciso di prendere in mano la sua vita e anche quella degli altri diventando mental coach. Iniziando dalle sue figlie piccole atlete di equitazione per arrivare a calciatori (tra loro (Gianluigi Donnarumma e Matías Vecino, Davide Zappacosta), atleti olimpici, personaggi dello showbiz come Luca Barbareschi e Fedez che l’ha voluta accanto a sé nell’esperienza di Sanremo 2025.Insomma Nicoletta due vite e un destino. Come è passata da signora bene dei Parioli, figlia di un grande industriale (Paolo Romanazzi) ad allenatrice della mente dei campioni?«Per molto tempo non sapevo veramente che cosa mi piacesse e ho lavorato 9 anni nell’azienda di mio padre perché mi sembrava l’unica cosa che avesse un senso. Ma non ero felice. Sentivo di avere un sacco di energia, ma non sapevo come indirizzarla, quindi mi iscrivevo a 150 mila corsi diversi, pensando di trovare prima o poi qualcosa che mi appartenesse. Mio marito Ferdinando quando ormai avevo 3 figlie, mi ha portato con lui a un corso sul raggiungimento degli obiettivi: e ho scoperto la figura del mental coach, a quei tempi poco nota».Suo marito l’ha indirizzata lì perché la vedeva inquieta?«No, per caso. Mi piaceva molto la psicologia, però a casa mia non era molto ben vista da mio padre. Era molto patriarcale e quando volevo iscrivermi all’Università mi disse: “che lo fai a fare? Devi pensare a sposarti bene e a fare dei figli”. Mi voleva un bene dell’anima, per carità, però ero la femmina, quindi anche quando andai a lavorare in azienda mio fratello era in ufficio con lui e se lo portava sempre dietro, gli insegnava tutto, io ero in segreteria».Dalla segreteria della Romanazzi alle Olimpiadi il salto non è stato breve...«Dopo l’esperienza a quel corso ho cominciato a fare un percorso personale lavorando sulle mie profonde insicurezze, poi ho fatto la scuola per diventare mental coach e ho fatto training con le mie figlie che montavano, salto a ostacoli, e poi con tutto il loro team. Iniziammo a vincere e la voce si sparse».Primo cliente importante?«Un fantino del Palio di Siena. Uno dei veterinari della squadra delle mie ragazze mi disse che voleva presentarmi una persona: Andrea Mari, fantino del Palio, detto Brio. Dopo due mesi di lavoro insieme ha vinto un palio pazzesco. Era arrivato da me dopo 13 palii in cui non faceva che cadere. Disse “o cambio qualcosa o smetto”. In 8 anni insieme abbiamo vinto 5 palii».E poi è arrivato Jacobs.«Prima ce ne sono stati molti altri, ho avuto 14 atleti della nazionale di karate, tra cui le due medaglie alle Olimpiadi di Tokyo, Luigi Busà, oro, e Viviana Bottaro, bronzo. I calciatori sono arrivati attraverso la moglie di un procuratore con cui lavoravo. Jacobs invece arrivò da me 9 mesi prima delle Olimpiadi perché aveva un potenziale pazzesco, ma in gara andava in tilt. Gli si bloccavano le gambe, non riusciva a ottenere risultati. Si è messo in gioco, abbiamo lavorato e ha cominciato a vincere tutto. Poi siamo arrivati alle Olimpiadi e alle due medaglie d’oro. Io purtroppo non ero a Tokyo per via del Covid. Dopo la semifinale quella mattina mi chiamò dicendomi che non se la sentiva di correre la finale, il primo italiano a riuscire nell’impresa. “Ho già parlato con l’allenatore, non corro, tanto l’obiettivo l’ho raggiunto”, mi disse. Sono stata dura, riportandolo a sé stesso, abbiamo lavorato insieme 20 minuti, poi lui andò e vinse».Cosa è successo in quei 20 minuti?«Lui la mattina mi mandò la fotografia dei giornali dove la sua foto prendeva tutta la prima pagina, lo chiamavano “L’uomo dei sogni”. E io capisco subito che sta crollando, ha spostato tutta l’attenzione all’esterno, alle pressioni, alle aspettative. Questo era il suo problema, che gli faceva diventare le gambe rigide in gara. Quindi non ho fatto nient’altro che riportarlo totalmente all’interno, allo stato di massima concentrazione, in contatto coi suoi punti di forza, col suo sogno di bambino. Abbiamo lavorato sulla respirazione in modo tale che recuperasse anche dal punto di vista fisico».E il mondo si accorse di Nicoletta Romanazzi, ma lei aveva in gara altri 5 atleti.«Sì, e tutti con situazioni veramente complicate, perché Viviana Bottaro un anno prima delle Olimpiadi aveva avuto un incidente di moto con frattura scomposta di tibia e perone, ultima operazione a febbraio, sembrava impossibile che potesse salire sul tatami. E invece si è portata a casa il bronzo».Poi sono arrivati anche personaggi dello showbiz, come Luca Barbareschi e Fedez.«È sempre un tema di performance e quindi di ansie da prestazioni, paura del giudizio esterno e quant’altro. La differenza sta nel fatto che gli atleti sono disciplinati e mi rendono il lavoro molto più facile».Barbareschi ha detto che l’ ha aiutato a smettere di essere il peggior nemico di sé stesso.«Sono stata molto indecisa all’inizio se prenderlo, ma alla fine abbiamo fatto un buon lavoro. Intanto per essere amici di sé stessi bisogna conoscersi. Delle volte abbiamo comportamenti disfunzionali, fuori dal nostro controllo e quindi detestiamo quelle parti di noi, diventano le nostre nemiche. Occorre comprendere come quei meccanismi siano nati per proteggerci, hanno solo un volume troppo alto. Lavoriamo per trovare una maniera più funzionale per continuare a proteggerci, per riuscire ad andare nella vita a prenderci quello che vogliamo».Ci vuole forza di volontà.«Questa storia della forza di volontà io non la condivido. Se non riesco a raggiungere un determinato risultato c’è sempre una parte di me che sta remando contro perché ritiene che quel risultato potrebbe essere pericoloso. E quindi prima devo accogliere le paure, le fragilità, ascoltare quella vocina che mi avverte».Eppure il successo pare la panacea di tutti i mali.«Quando ottieni tutta questa attenzione dall’esterno, il rischio che si corre è di perdere un po’ sé stessi, la propria identità. Ci si comincia a muovere per come gli altri vorrebbero che noi fossimo. Ed è pericolosissimo. Sa quante persone di grande successo stanno malissimo? E tu dici, “ma com’è possibile? Ha tutto...”. Non si può trovare la felicità nel successo e così spesso ci si sabota inconsapevolmente».Mi viene in mente un altro suo cliente famoso, Fedez.«Non posso parlare di lui, ma certamente è un esempio».Politici ne ha avuti?«Uno famoso della prima Repubblica. Oggi mi cercano, ma quelli che lo hanno fatto non mi convincono. Ho comunque delle perplessità, perché insegni degli strumenti molto potenti, che se utilizzati male possono servire a manipolare le persone».Sembrano gli uomini i più bisognosi di aiuto.«In questo momento io ho solo clienti maschi e una donna. Penso che gli uomini abbiano un gran bisogno di aiuto per accogliere le proprie fragilità, mentre da millenni gli si insegna che devono nasconderle, devono essere forti, vincenti. Le donne sono più allenate a stare comode nelle emozioni».Suo padre ha potuto assistere al suo successo?«Purtroppo no. Mi ha combattuto in tutti i modi, a mio marito diceva: “Perché le permetti di andare a fare questi corsi?». Quando mi sono separata è arrivato il “te lo avevo detto": “Ecco vedi, è stata colpa dei tuoi corsi e del fatto che tu hai voluto per forza fare questo lavoro, invece di stare a casa”. Ma quando ha visto che ingranavo era contento e sono certa che oggi sarebbe super orgoglioso, nonostante sé stesso». —