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 2025  agosto 11 Lunedì calendario

Le big tech continuano a crescere

Se qualcuno dei lettori è già in vacanza e per distrarsi vuole un’alternativa alla settimana enigmistica può divertirsi a scorrere l’elenco delle imprese di tutto il mondo messe in ordine di capitalizzazione decrescente e a notarne il settore di appartenenza e la nazionalità. Quell’elenco si trova facilmente su internet. La capitalizzazione di Borsa di un’impresa esprime il valore complessivo che il mercato – cioè l’insieme dei risparmiatori di tutto il mondo – attribuisce oggi a quell’impresa, tenendo conto certamente delle prestazioni passate e presenti di quell’impresa ma soprattutto delle sue prestazioni future, ragionevolmente presumibili o anche solo raccontate o sognate. Il mercato può pertanto prendere abbagli, ne ha presi di clamorosi negli anni passati, come nel caso della bolla “dotcom”, ma non c’interessa qui la fondatezza delle previsioni su cui sono basati i prezzi attuali di Borsa, bensì il fatto che tutto il mondo, usando le capacità dei suoi migliori analisti, pensi oggi, a torto o a ragione, che la tale impresa valga quella certa cifra.Ora, la prima impresa al mondo per capitalizzazione è l’americana (anzi, californiana) Nvidia, con circa 4,2 trilioni di dollari di valore. Trilioni, avete capito bene, non miliardi. Fu chiamata così dai suoi fondatori anche per assonanza con la parola latina invidia: infatti ha iniziato a fare invidia al mondo. Fino a poco tempo fa di Nvidia nessuno sapeva nulla al di fuori di una ristretta cerchia di addetti ai lavori, anche perché non vende i suoi prodotti al pubblico generale ma ad altre imprese: fa componenti informatiche (le chiamo così per semplicità, in realtà avrebbero dei nomi più complicati). Nvidia è esplosa, negli ultimi cinque o sei anni, da quando ha cavalcato l’onda dell’intelligenza artificiale (Ai). Quest’ultima è considerata foriera di immensi guadagni: dunque l’aspettativa di utili futuri spiega il valore di Borsa di quell’impresa molto più di quelli presenti, che sono, sì, ingenti (poco meno di 90 miliardi di dollari l’anno) ma inferiori a quelli, ad esempio, di Google, Apple e Microsoft.Le imprese che stanno investendo massicciamente nella generazione di Ai dominano la parte alta della classifica. Sei delle sette cosiddette Big Tech – nell’ordine, Nvidia, Microsoft, Apple, Google, Amazon, Meta – occupano le prime sei posizioni, poi c’è la compagnia petrolifera SaudiAramco, poi la settima delle Big Tech, Broadcom. A esclusione della saudita, sono tutte americane. OpenAI, genitrice di ChatGpt, non c’è per la semplice ragione che non è quotata, ma ricordiamoci che Microsoft ne possiede il 49%.Il mercato azionario crede fermamente che l’Ai sia una vera rivoluzione tecnologica, trent’anni dopo quella che oggi riassumiamo nel termine digitalizzazione (internet, il personal computer, lo smartphone), e compra a mani basse le aziende che vi sono più coinvolte. Sull’Ai molto si favoleggia e molto si discute, ma una cosa è certa: sta già cambiando radicalmente il modo di usare internet. Il passaggio da ricerche su Google a domande su ChatGpt sta molto allarmando Google, che da un paio d’anni disperatamente investe in Ai. In gioco vi sono miliardi di utenti e una parte considerevole della vita degli esseri umani, non quisquilie.Posto che l’Ai sia il futuro del mondo, e in parte ne è già il presente, dov’è l’Europa? Non c’è dalla parte di chi offre, ma solo dalla parte di chi domanda e regolamenta. Le principali aziende europee che offrono prodotti di Ai sono la francese Mistral e la tedesca DeepL, moscerini al cospetto dei dinosauri americani. Di moscerini italiani manco a parlarne. Concorrenza alle aziende americane la fanno alcune imprese asiatiche, cinesi in particolare. Questa è una forma di sottomissione dell’Europa agli Stati Uniti. Più in generale, l’inferiorità scientifica e tecnologica (di cui oggi l’Ai è l’esempio più evidente) è la principale espressione di sottomissione del nostro continente agli Stati Uniti, molto più dell’umiliazione subìta dalla sua presidente nella Canossa scozzese qualche giorno fa. Posto che gli europei, e per quel che ci concerne gli italiani, non siano da meno degli americani quanto a inventiva e creatività, da cosa dipende il fatto che non riescano a dare sbocchi vincenti di mercato alle loro capacità, mentre ci riescono a volte i cinesi che non hanno un’economia propriamente di mercato?Dipende da tanti fattori, fra cui spiccano la finanza dell’innovazione e il trasferimento tecnologico da accademie a imprese, molto più avanti negli Stati Uniti. Ma soprattutto dipende dalla decisiva superiorità del sistema americano d’istruzione superiore. Cioè dalle loro Università, che da almeno un secolo a questa parte attraggono talenti da tutto il mondo e li mettono in condizione di sfornare una messe di idee nuove e di tradurle in pratica, assicurando libertà di pensiero e di ricerca.Finora. Ma ora la parte dell’America che si riconosce nel nuovo presidente statunitense Donald Trump sta portando a quel sistema un attacco cieco e stolido, sottraendo commesse e fondi pubblici alle Università non allineate al mondo Maga. È un fenomeno passeggero, destinato a cessare con una futura sconfitta elettorale di Trump? Augurabile ma niente affatto certo. Questo offre al resto del mondo l’opportunità di scalfire la superiorità tecnologica ed economica degli Stati Uniti, accelerandone il declino. Non c’è da gioirne, solo da prenderne atto. L’Europa non può lasciare che sia la Cina a farlo. Occorreranno molti anni, forse una generazione. Occorreranno anche molti altri cambiamenti strutturali, ma la conoscenza e la sua diffusione fra le imprese è la base di tutto. Noi italiani, nonostante sporadiche e meritorie eccezioni, siamo in ciò particolarmente arretrati. Prima ce ne rendiamo conto meglio è. —