La Stampa, 11 agosto 2025
Intervista a Guido Crosetto
Appena iniziata l’intervista, Guido Crosetto riceve un messaggio: «Ministro buongiorno. Per info: AirDrop Gaza. Lanciati 16 CDS da circa 800KG l’uno per un totale di 12.800KG. Velivolo appena atterrato». Lo legge col tono di chi ne ha fatto una questione di principio. Da giorni sta coordinando e seguendo in prima persona l’invio degli aiuti a Gaza: «Quel che sta accadendo – ci dice – è inaccettabile. Non siamo di fronte a una operazione militare con danni collaterali, ma alla pura negazione del diritto e dei valori fondanti della nostra civiltà. Noi siamo impegnati sul fronte degli aiuti umanitari, ma oltre alla condanna bisogna ora trovare il modo per obbligare Netanyahu a ragionare».
Non sembra. Ha appena dichiarato che l’occupazione è il modo migliore per “liberare” Gaza.
«Un conto è liberare Gaza da Hamas, un conto dai palestinesi. La prima si può chiamare liberazione. Cacciare invece un popolo dalla sua terra è ben altro, e il termine usato mi pare del tutto improprio».
Uno strumento di pressione potrebbe essere riconoscere lo Stato di Palestina. È un segnale politico, o no?
«No, perché quello Stato non c’è e riconoscere uno Stato che non c’è rischia di trasformarsi solo in una provocazione politica in un mondo che muore di provocazioni. Va costruito un percorso per attuare la storica risoluzione Onu dei “due popoli, due Stati”, difendendo il diritto della Palestina ad esistere e avere uno Stato e quello di Israele a vivere in sicurezza, il che significa che va, al contempo, estirpato il terrorismo di Hamas».
Tra un po’, però, un popolo sarà raso al suolo… Ma perché nessun governo europeo prende un treno per Gaza come per Kiev?
«Perché troverebbe come interlocutore un governo, quello di Israele, che non è disposto a dialogare perché ha assunto una linea fondamentalista e integralista. La legittima difesa di una democrazia di fronte a un terribile attacco terroristico subito non convince più. Siamo di fronte a un progetto di segno diverso: la conquista di un territorio straniero mettendo in conto una catastrofe umanitaria».
Se, come pare, Netanyahu non si ferma, quel percorso di cui parlava è pura teoria. Non pensa che sia venuto il momento che la comunità internazionale si ponga il problema delle sanzioni?
«Come sa, penso che l’occupazione di Gaza e alcuni atti gravi in Cisgiordania segnino un salto di qualità di fronte al quale vanno prese delle decisioni che obblighino Netanyahu a ragionare. E non sarebbe una mossa contro Israele, ma un modo per salvare quel popolo da un governo che ha perso ragione e umanità. Bisogna sempre distinguere i governi dagli Stati e dai popoli come dalle religioni che professano. Vale per Netanyahu, vale per Putin, i cui metodi, ormai, pericolosamente si assomigliano».
A proposito, Putin ha dichiarato che l’accordo scaturito dal vertice di Londra è un volantino nazista.
«Oramai vedo che i vertici del Cremlino utilizzano questo termine con una frequenza quotidiana. Denota una familiarità che insospettisce».
Cosa vi aspettate ora sull’Ucraina dopo il vertice di Londra?
«L’Europa ha espresso la posizione tenuta con convinzione in questi tre anni. È la posizione del diritto internazionale, quella per cui non si può imporre nulla a uno Stato sovrano ingiustamente invaso, ma toccherà ad esso decidere il perimetro accettabile di una trattativa di pace».
Dice il vicepresidente JD Vance: “L’accordo non renderà felici né Mosca né Kiev”.
«Vede, la posizione del diritto internazionale sarebbe la pedissequa ricostruzione di ciò che c’era prima, confini territoriali compresi. La realpolitik impone una flessibilità che, però, ovviamente, non può essere sinonimo di pura annessione di territori. Il quantum di flessibilità non può essere imposto all’Ucraina contro la sua volontà. Due Paesi forti non possono mettersi d’accordo sulla pelle del più debole. Il perimetro lo devono scegliere i contendenti».
Per come sta prendendo forma, il vertice in Alaska è un incontro su Zelensky e non “con” Zelensky. Per poi dire: ingoia il rospo sennò sei tu che non vuoi la pace.
«L’Europa deve sostenere convintamente la partecipazione di Zelensky al vertice. Evidentemente non è questione di simpatia o antipatia verso la persona. Un vertice su un Paese aggredito richiede la presenza dei rappresentanti del Paese di quel popolo, gli unici veri titolari del loro destino. Non c’è accordo possibile senza il coinvolgimento e la firma dell’Ucraina».
È chiaro che Trump fa di tutto per dimostrare che l’Europa non è in gioco. Dai dazi alle crisi internazionali.
«Trump fa, semplicemente, Trump. Persegue il suo disegno con estrema coerenza e realismo all’ennesima potenza: sono il più forte e mi gioco la mia forza, in ogni ambito. Nello specifico dell’Ucraina: aveva promesso una qualsiasi forma di pace e ora ha bisogno, anche agli occhi della sua opinione pubblica, di dare un segnale tangibile».
Vero: però sulla pelle dell’Ucraina e anche dell’Europa. Vuole uno scalpo.
«Trump si muove nel mondo che c’è. Detta brutalmente: se l’Europa avesse un peso rilevante, da superpotenza, sarebbe stato costretto a muoversi diversamente. E, invece, l’Europa ha costruito le condizioni per essere un attore politico scarsamente rilevante. Ogni nazione continua ad avere la sua politica estera, militare, economica. E ci sono tanti leader nazionali, anche piuttosto ripiegati ognuno dentro il proprio orizzonte domestico».
Non crede che anche il luogo scelto sia uno schiaffo? Putin ricevuto su territorio americano. Più legittimazione di così…
«Su questo non mi scandalizzo come non mi scandalizzo del golf club scozzese scelto per l’accordo sui dazi. Fa parte del trumpismo, come racconto e come coreografia. In fondo anche Camp David era una residenza privata. Mi scandalizzo che, pur essendo tutto ampiamente prevedibile, l’Europa è stata incapace di fare un salto di fronte a una sfida esistenziale».
È solo America First o, in fondo, Trump non è del tutto autonomo da Putin? Prima della Trump Tower faceva operazioni immobiliari a Mosca….
«Penso che Trump sia autonomo da tutti, fuorché dagli interessi che persegue una sua agenda senza contemplare barriere: diplomatiche, economiche, politiche».
Se viene meno l’appoggio americano, l’Europa è pronta ad assumersi le sue responsabilità?
«L’Europa ha il dovere di assumersi le sue responsabilità, che si raggiunga o no un accordo in Alaska. E ha il dovere di continuare a sostenere Kiev, come ha fatto finora, fino a che non ci saranno le condizioni che Zelensky, come dicevamo, sceglierà di accettare. Alcuni Stati, che più percepiscono la minaccia russa, come i baltici, la Polonia e la Germania, si sono assunti grandi responsabilità».
E l’Italia?
«Abbiamo fatto, con coerenza e senza tentennamenti, quello che abbiamo potuto. La differenza, rispetto agli altri, non riguarda tanto il governo, ma il “sistema Paese” nel suo complesso. Rispetto ad altre nazioni si fa fatica a condividere il dato di fondo. E cioè che aiutare l’Ucraina significa aiutare se stessi e la propria sicurezza. Da noi non c’è limite alla demagogia politica, pur di prendersi la scena. La disgrazia più grande, in tempi così gravi e difficili».
Qui c’è un punto politico. Le posizioni italiane su Kiev (sostegno a Zelensky) e su Gaza (no all’occupazione) entrano in conflitto con la linea di Trump. Siete pronti a scegliere tra Europa e Trump?
«Ogni nazione è sovrana. E noi non ci svegliamo la mattina pensando se ciò che facciamo è giusto o sbagliato in base a ciò che pensa Trump. L’occupazione di Gaza è inaccettabile e pericolosa, nei suoi effetti di destabilizzazione epocale dell’area. Lo diciamo in base alle nostre convinzioni e a una nostra idea autonoma di interesse nazionale. Un Mediterraneo destabilizzato è un danno enorme per l’Europa».