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 2025  agosto 12 Martedì calendario

In morte di Anas Al Sharif


Anas Al Sharif era nato nel 1996. Aveva 4 anni nel 2000, quando iniziò la Seconda intifada. Ne aveva 11 quando Israele impose l’assedio su Gaza, nel 2007. Ne aveva 12 durante l’operazione Piombo Fuso, nel 2008-2009. Ne aveva 18 durante l’assalto del 2014 su Gaza. Ne aveva 29 quando Israele lo ha assassinato, il 10 agosto 2025.Ha vissuto tutta la sua vita in un territorio assediato e controllato da una potenza occupante. È diventato giornalista dopo essere cresciuto osservando il lavoro dei giornalisti palestinesi sul campo. In alcune foto del passato si vede lui bambino, radunato insieme con altri bambini accanto a dei giornalisti che stanno raccontando uno dei tanti eccidi subiti dalla popolazione di Gaza. È morto ucciso da una bomba, insieme a cinque altri suoi colleghi: Mohammed Qreiqeh, Ibrahim Zaher, Moamen Aliwa, Mohammed Noufal e Mohamed Al Khalidi. Una intera troupe di Al Jazeera colpita da un attacco mirato e annunciato.Erano mesi, infatti, che Anas Al Sharif sapeva di essere nel mirino dell’esercito. Le associazioni internazionali a difesa dei giornalisti avevano lanciato appelli per lui. Nel momento stesso in cui la tenda di Anas e dei suoi colleghi veniva bombardata, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu da Gerusalemme stava tenendo una conferenza stampa farsesca, un “briefing” meglio chiamarlo, ad alcuni giornalisti internazionali della stampa mainstream, per dichiarare i suoi prossimi piani. Ai giornalisti palestinesi li ha illustrati in un altro modo, invece: dilaniandogli la carne con le bombe.Israele voleva Anas Al Sharif morto perché era gli occhi e le orecchie di Gaza. Era uno di loro, un palestinese. Israele ha dichiarato che era un terrorista, sulla base di una logica ferrea, quella secondo la quale ogni palestinese è un terrorista perché tutti i palestinesi sono terroristi. Tutti gli abitanti di Gaza sono Hamas. Non servono prove, non servono arresti, non servono processi, non servono avvocati, giudici, istruttorie, gradi di giudizio, non serve più lo Stato di diritto. Se l’esercito israeliano ha deciso che sei un terrorista, lo diventi proprio perché sei stato dichiarato tale. E la tua condanna è già scritta: meriti la morte.Le calunnie che Israele ha riversato sui giornalisti palestinesi negli ultimi 22 mesi sono un vero e proprio paradigma. Sono accuse infondate che non solo delegittimano l’individuo ma minano la fiducia nel giornalismo, colpiscono tutta la categoria e creano un precedente molto pericoloso che sarà usato per giustificare l’assassinio di giornalisti ovunque.L’uccisione dei giornalisti da parte di Israele è sistematica, strategica, e ovviamente non ha niente a che fare con la loro presunta collaborazione a cellule terroristiche. Gli scopi principali, in questa fase del genocidio, sono tre: il primo è creare un blackout totale su quanto avverrà a Gaza, adesso che l’esercito si appresta a cercare di prendere il controllo di tutto il territorio. Israele non vuole mostrare né la barbarie dei soldati nei confronti della popolazione civile, né le difficoltà, le debolezze e i problemi del suo esercito. Non vuole che il mondo veda il male che fa ai palestinesi, ma non vuole che veda neanche tutti i modi in cui i bambini, le donne, gli anziani, gli adolescenti vanno avanti persino nelle condizioni più difficili. Non vuole che il mondo veda la forza dei palestinesi, oltre che la loro sofferenza.Il secondo scopo è distruggere le prove: ogni volta che muore un giornalista, con lui si fermano storie, nomi, documenti, foto, video che è complicato raccogliere e recuperare. Anas Al Sharif era un cronista instancabile: aveva raccolto, testimoniato e documentato migliaia di crimini. Migliaia di persone gli avevano affidato le loro storie dolorose e le prove dei crimini commessi dall’esercito. Era stato anche uno dei più importanti cronisti della fame e della carestia, colui che aveva mostrato al mondo le uccisioni sadiche dei bambini nei centri di distribuzione del cibo. Il suo ultimo servizio prima di essere assassinato documentava la morte per fame di un bambino, Saif Helles, mostrandone il corpicino scheletrico già defunto. Anas sarebbe stato senza dubbio uno dei più importanti testimoni contro Israele in qualsiasi tribunale internazionale.Il terzo scopo che Israele porta avanti assassinando i giornalisti sul campo è di tipo mafioso: Israele vuole punire i palestinesi colpendo le personalità che, come Anas, ne rappresentano maggiormente la voce e l’orgoglio. Lo si fece anche in Italia. In Sicilia, con Peppino Impastato, con Giancarlo Siani, con Giovanni Spampinato e tanti altri. La mafia uccide i giornalisti per punirli della loro insolenza, del fatto di non avere paura e di continuare a dire la verità. Ma uccide i giornalisti anche per spaventare la comunità intera, per mandare il messaggio più chiaro e preciso: nessuno è al sicuro, tutti i testimoni sono nel nostro mirino, la vostra comunità è debole, vi abbiamo in pugno. Anas al Sharif, come Hossam Shabat, come Shireen Abu Akleh, erano persone del popolo, amatissime dalla loro gente. Nel corso degli ultimi due anni, Anas si era mostrato davanti allo schermo devastato dal dolore per la vista dei bambini esangui, esausto perché gli mancavano le forze, felice durante il breve, illusorio cessate il fuoco di inizio anno. Le sue erano le gambe Gaza, la sua era la voce di Gaza, i suoi sorrisi, come quelli di Hossam, erano i sorrisi di Gaza. Lo hanno colpito per tagliare le gambe e strappare via la voce e ogni rimasuglio di sorriso al suo popolo. E lui lo sapeva. Sapeva di essere braccato. L’arroganza mafiosa cresce sempre quando si hanno le spalle coperte, e Israele ha le spalle coperte come mai nessuno Stato prima. Tutti i governi occidentali gli danno un continuo via libera. Non c’è stata nessuna conseguenza finora per aver assassinato Hossam Shabat, Hassan Islih, Ismael al Ghoul, Fatma Hassouna, Shireen Abu Akleh e altre centinaia di reporter… Non c’è stata nessuna conseguenza neanche per aver assassinato mille paramedici, il personale sanitario, i cuochi, gli insegnanti, tutte le persone cui era stato detto di evacuare in zone sicure per poi colpire con le bombe proprio quelle zone sicure. Non c’è stata nessuna conseguenza finora per aver ucciso di fame migliaia di persone. Nessuna sanzione, nessuna esclusione dalle competizioni internazionali, nessuna rescissione dei contratti di collaborazione con l’esercito israeliano, nessun arresto dei ricercati per crimini contro l’umanità.Israele vuole mostrare ai palestinesi di tenerli in pugno e di poterli punire a suo piacimento. I media occidentali continuano a trattare l’esercito israeliano come una fonte affidabile e a dare riverbero a tutto ciò che il governo dichiara, senza mai verificare le notizie che ricevono. Israele vuole avere il controllo di tutta l’informazione a livello mondiale: impedendo ai giornalisti stranieri di entrare a Gaza, vuole impedire che si possano smentire le sue bugie, e smontare la sua propaganda. Gli unici che sono rimasti a testimoniare la verità sono i giornalisti palestinesi. Ucciderli è uccidere la verità. La chiamano “terrorismo”, perché temono l’impatto della verità.Anas Al Sharif aveva dichiarato più e più volte di non essere affiliato ad alcuna organizzazione né fazione politica, aveva denunciato la sua uccisione imminente in anticipo, sapeva di essere come un condannato nel braccio della morte, condannato senza processo, giudicato colpevole senza sentenza. Nel mondo in cui vige la legge del più forte è così che funziona. Se accettiamo da lui un consiglio d’addio, che sia questo: «Vi esorto a non lasciare che le catene vi facciano tacere, né che i confini vi impediscano di agire. Siate ponti verso la liberazione della terra e del suo popolo, finché il sole della dignità e della libertà non risplenda sulla nostra patria usurpata».La sua morte è un monito per tutti quei giornalisti occidentali che, pavidi nei confronti dei forti e ipocriti nei confronti della verità, non hanno il coraggio di denunciare. Ma è anche un incoraggiamento ad agire per tutti quei giornalisti occidentali che hanno a cuore i loro colleghi, il loro mestiere, e soprattutto la verità. —In collaborazione con Federica D’Alessio