La Stampa, 13 agosto 2025
Una biografia di Papa Francesco
Tutto ha inizio una notte di pioggia della primavera 2013. Dopo l’accettazione, e la scelta del nome, il nuovo papa è condotto dal maestro delle cerimonie a cambiarsi d’abito, prima di ricevere il saluto e l’obbedienza dei cardinali che l’hanno appena eletto. «Nei giorni immediatamente successivi, a proposito di quel momento, viene diffuso un pettegolezzo interessato, amplificato persino nel corso di una diretta televisiva da chi voleva prendersi una rivincita sull’entourage ratzingeriano – ricostruisce Andrea Tornielli, direttore dei media vaticani, già firma de La Stampa, entrato in contatto con Jorge Mario Bergoglio in occasione del conclave del 2005 –. Secondo questa chiacchiera, Francesco avrebbe risposto in malo modo a monsignor Guido Marini che gli sottoponeva l’abito corale da pontefice». Nulla di più falso.È vero, ovviamente, che Bergoglio non aveva voluto indossare il rocchetto e la mozzetta rossa, la croce pettorale d’oro e le scarpe rosse, preferendo affacciarsi dalla loggia centrale di San Pietro soltanto con la talare bianca, mantenendo la sua croce pettorale d’argento e le scarpe nere. Ma non c’era stata nessuna scortesia né battibecco con il maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie. Il Papa lo raccontò a Tornielli qualche tempo dopo, rispondendo a una sua domanda: «Monsignor Marini mi condusse nella cosiddetta “Stanza del pianto” che si trova a ridosso della Sistina e mi mostrò a uno a uno gli abiti che avrei dovuto indossare. Lo ascoltai, lo ringraziai e poi gli dissi che ero affezionato alle mie cose. Avrei indossato la talare bianca, ma avrei tenuto la mia croce e le mie scarpe nere, che peraltro sono ortopediche. E lui accettò la mia decisione con molta disponibilità». Flash di un pontificato fuori dall’ordinario. Disarmare le parole, le menti, tutta la Terra. E fermare le guerre ridando forza alla diplomazia, al negoziato, alle organizzazioni internazionali. «Pace» è stata l’ultima invocazione di Bergoglio e la prima del suo successore Leone XIV. A raccoglierne il testamento spirituale è Francesco. Il Papa della misericordia, il libro di ricordi e aneddoti inediti scritto da Tornielli sul Pontefice arrivato «quasi dalla fine del mondo», che nel novembre 2019 da Nagasaki, città martire dell’atomica, affermò: «La pace è uno dei desideri più profondi del cuore umano, ma la stabilità internazionale non si costruisce sulla paura della reciproca distruzione o su una minaccia di annientamento totale». L’antidoto alla “logica di Caino” (cioè allo spirito malvagio della sopraffazione e al diritto della forza che prevale sulla forza del diritto) è un’etica globale di solidarietà e cooperazione. «Conservo un ricordo straordinario legato a un’immagine che ho potuto vedere da vicino – rievoca Tornielli –. È il capo di una Madonna lignea, ritrovato sotto le macerie della cattedrale di Urakami dopo l’esplosione della bomba atomica lanciata il 9 agosto 1945». 80 anni dopo, ammonirà Leone XIV, si riparla di utilizzo delle armi nucleari. Quel frammento era ciò che restava di una statua dell’Immacolata donata nel 1930 da san Massimiliano Kolbe, poi martire nel lager nazista di Auschwitz, durante la missione in Giappone. «Mi colpirono quei fori scuri negli occhi, che danno un’aura spettrale al volto dolce di Maria», aggiunge Tornielli. Francesco condannò non soltanto l’uso, ma anche il possesso delle armi nucleari che ancora oggi riempiono gli arsenali del mondo con una potenza tale da poter distruggere decine di volte l’umanità intera. «L’uso e il possesso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale. Saremo giudicati per questo», è il lascito di Bergoglio che anche durante la lunga e faticosa degenza al Policlinico Gemelli denunciò l’assurdità della guerra.Al centro del suo ministero la fraternità e la cura per l’ecologia umana. «Oltre a un pontefice fuori dal comune, era anche una persona speciale, generosa, umile, capace di mettersi in ascolto e di far sentire importante qualsiasi interlocutore avesse di fronte – ricorda Tornielli-. Le sue parole non erano mai dette con leggerezza e il suo interesse verso il prossimo era autentico sia nella dimensione pubblica sia privata». Degli innumerevoli colloqui, alcuni fotografano in un baleno lo stile-Bergoglio. Come quando Tornielli incontrò il Papa in un afoso giorno di luglio 2016: è il mese in cui, almeno teoricamente, il pontefice fa un po’di vacanza. Non è proprio così in quell’estate, con tre settimane segnate dal viaggio in Armenia e da quello in Polonia più qualche udienza straordinaria, come quella concessa a un folto gruppo di persone povere giunte in pellegrinaggio a Roma dalla Francia. «Per Francesco la vacanza consisteva nel rallentare un po’i ritmi, avere più tempo per la preghiera e la lettura, poter dedicare qualche ora in più agli incontri informali», evidenzia Tornielli, ricevuto a Santa Marta, la sua casa. Nello spazioso corridoio c’è un tavolo con dei libri e alcuni doni ricevuti– tra i quali spicca una grande croce di vetro soffiato decorata in oro e pietre dure – e qualche pasticcino. Nella cassapanca a fianco della porta d’ingresso della suite trasformata in (mini) appartamento papale c’è la statuetta di cartapesta di san Giuseppe dormiente, quella “pubblica”, a disposizione di chi vive accanto al pontefice e lo aiuta: è una devozione che accompagna da moltissimi anni Bergoglio, abituato a infilare sotto la base della statuetta biglietti contenenti richieste di grazie o problemi da affidare alla custodia del grande patrono della Chiesa, protagonista dei primi anni di vita terrena di Gesù di Nazareth, il custode della sua infanzia. C’è un altro san Giuseppe, quello “privato”, che Francesco tiene sopra un mobiletto del piccolo studio, sempre intasato di libri, incartamenti, documenti. E lì la confidenza sorprendente per un papa che ha visitato 66 nazioni e 49 città italiane: «Non mi è mai piaciuto molto viaggiare. Quando ero vescovo a Buenos Aires, venivo a Roma soltanto se necessario e, se potevo non venire, non venivo. Mi è sempre pesato stare lontano dalla mia diocesi. E poi io sono piuttosto abitudinario, per me fare vacanza è avere qualche tempo in più per pregare e per leggere, ma per riposarmi non ho mai avuto bisogno di cambiare aria o di cambiare ambiente». —