il Fatto Quotidiano, 11 agosto 2025
Fallaci e la sua “lettera”. Quel “bambino mai nato” 50 anni fa
ASCOLTACOMMENTILettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci, uno dei maggiori successi editoriali del secondo 900, usciva esattamente cinquant’anni fa. È il settembre 1975 quando Rizzoli, con una prima eccezionale tiratura di 80mila copie, manda in libreria il sofferto monologo di una donna che aspetta un figlio e che vive la propria maternità come una scelta personale. Un libro di un centinaio di pagine che infiamma un dibattito sull’aborto inaugurato mesi prima dal controverso intervento di Pasolini sul Corriere della Sera: “Sono contrario alla legalizzazione dell’aborto perché la considero una legalizzazione dell’omicidio.” Memorabile pochi giorni più tardi la provocazione dell’Espresso che mostra in copertina una foto scioccante di una donna incinta, nuda e crocifissa. In pochi mesi la Lettera conquista la palma di libro più venduto dell’anno macinando 300mila copie. Il primato permane anche nel 1976. A oggi vanta tre milioni di copie e decine di edizioni straniere. Tuttolibri pubblica una piccola inchiesta per spiegare, come recita il titolo: “Perché vende questa Fallaci.” Siamo alla metà degli anni 70 e la giornalista fiorentina sgomita in un microcosmo dominato dagli uomini. Non è arbitrario pensare che l’ombra della misoginia si allunghi in certi giudizi di sufficienza collezionati in carriera. Come capitato fatalmente l’anno prima, nel 1974, a Elsa Morante, autrice di un altro clamoroso bestseller come La Storia.
Classe 1929, partigiana, firma di punta del settimanale L’Europeo, Fallaci è l’intervistatrice per eccellenza: star di Hollywood, astronauti sulla Luna, potenti del pianeta (Intervista con la Storia un altro suo titolo fortunato). Idolatrata e avversata ieri come oggi – quando muore nel 2006 è salutata come una pericolosa fanatica in virtù dei postumi dell’11 settembre con il suo rigurgito anti-islamico di La rabbia e l’orgoglio – Fallaci racconta che Tommaso Giglio, direttore dell’Europeo le commissiona un’inchiesta sull’aborto: “Prenditi quattro mesi, fai quello che vuoi e vai dove ti pare ma torna con l’inchiesta”. Lei invece batte a macchina la sua Lettera (sebbene di recente è stato accertato che su un quadernetto datato 1967, rinvenuto dal nipote in un cassetto di biancheria, fossero già delineati ampi brani manoscritti del testo risalenti a una sua pregressa interruzione di gravidanza). “Stanotte ho saputo che c’eri: una goccia di vita scappata dal nulla. Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d’un tratto, in quel buio, s’è acceso un lampo di certezza: sì, c’eri. Esistevi. È stato come sentirsi colpire in petto da una fucilata”. A raccontarsi è una donna che parla al nascituro che ha in grembo. Pagina dopo pagina gli spiega il mondo, gli esseri umani, il bene e il male, come funziona la società organizzata. La futura madre è una giornalista indipendente rimasta sola perché il compagno si è dileguato alla notizia della gravidanza. Il medico la giudica moralmente, il datore di lavoro la mette in competizione con i colleghi. Quando la donna si concede un viaggio di lavoro perde il bambino e nella volontà di non volersi separare dal feto muore anche lei. Fallaci puntualizza: “Non sono io la donna del libro. Tutt’al più le assomiglio, come può assomigliarle qualsiasi donna del nostro tempo che vive sola e che lavora e che pensa”.
Il libro viene letto con fervore ideologico dalle opposte barricate di abortisti e anti-abortisti nonostante Fallaci si affanni a spiegare di non considerarlo “un libro sull’aborto. Preferirei dire il dilemma di nascere o non nascere. Preferirei parlare del fatto che è la donna a pagare il conto del dare la vita.” Fallaci si propone come narratrice ma nessun critico letterario si scomoda a leggerla. Le reazioni sono tutte militanti perché il libro si accredita come il pamphlet della giornalista di fama che distilla le sue idee. Natalia Aspesi su Il Giorno ci va giù duro: “A me non è piaciuto.” L’Unità scrive di “pagine ridondanti di retorica”, La Stampa si domanda se “Oriana Fallaci creda veramente aver fatto un favore alle donne con questo libro”. Miriam Mafai su Paese Sera è meno ostile: “Un romanzo venato di romanticismo”. Le vendite montano, i pollici verso dell’intellighenzia pure e a Fallaci tocca essere critica di sé stessa: “Le donne si indignano da una parte, gli uomini si arrabbiano dall’altra, gli abortisti mi maledicono perché concludono che io sono contro l’aborto, gli antiabortisti mi insultano perché concludono che io sono per l’aborto. E nessuno o quasi si accorge che cosa vuol dire il libro veramente. Nella rissa non hanno ragione né gli uni né gli altri, o hanno ragione tutti e due. Il libro è la saga del dubbio. Vuol essere la saga del dubbio”.