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 2025  agosto 10 Domenica calendario

Intervista a Frankie hi-nrg mc

Che poi lui spesso sorride, a volte ride. Che poi, per il resto, i toni li tiene bassi, quasi lievi. Come se le sue fossero canzonette, rime votate a cuore e amore, all’estate, al disimpegno, all’illusione immancabile, alla gioia perpetua.
Eppure Frankie hi-nrg mc, un giorno del 1992, solleva la cornetta, chiama Radio2, sente il “bip” della segreteria telefonica e inizia a mitragliare di parole un qualcuno qualsiasi dietro una realtà (quotidiana) ben reale: “Ma don Vito Corleone oggi è molto più vicino/ Sta seduto in Parlamento, è il momento/ Di sferrare un’offensiva terminale, decisiva/ Radicale, distruttiva, oggi uniti più di prima/ Alle cosche fosche attitudini losche/ Mantenute dalle tasse alimentate dalle tasche/ Basta una busta nella tasca giusta/ In quest’Italia così laida…”
Da quel giorno è cambiata la sua vita, è cambiato il rap italiano. “Siamo peggiorati noi”, parole sue.
Un inizio sprint, ma ha pubblicato solo 5 album: ha i cassetti pieni di lavori abbozzati?
No, butto quello che non mi convince. E non aspetto che il tempo possa ingentilire il mio sguardo nei loro confronti.
Su alcuni brani ha anticipato il decadimento, ha parlato di collusione, mafia, corruzione.
È uno degli obiettivi di un artista: intuire, attraverso una lettura dell’oggi, quello che potrà essere il domani.
Quando ha capito di essere un artista?
(Sospira, ci pensa, a lungo) Bah, non lo so… credo sia una definizione adatta a chi lo è realmente. Io ho iniziato a scrivere le mie cose, le ho proposte nella fiducia del mio gusto.
A partire dalla telefonata in radio.
Era un sabato sera e desideravo solo condividere la gioia di aver scritto un testo in italiano, pensato e realizzato in una notte.
Ha aperto una strada.
Sono solo il primo ad aver ottenuto successo, a essere uscito da una nicchia.
Criticato dai puristi.
È fisiologico.
Ha scritto una delle canzoni più importanti e amate degli ultimi decenni, Quelli che benpensano.
E non ne ero neanche pienamente cosciente, pensavo solo di aver realizzato un bel pezzo.
E poi?
È più il calendario a farmi rendere conto di quanto è amata ancora oggi.
Spesso gli artisti si stancano del loro maggior successo.
Fortunatamente non ho la sindrome di Satisfaction o l’angoscia da La mia banda suona il rock.
Bene.
Però per chi scrive canzoni, il fatto di essere sempre ridotti a un singolo brano, a volte può diventare frustrante; però quando il brano è così bello, uno può anche fare i conti con le frustrazioni.
Se ne fa una ragione.
Penso a chi ha ottenuto il successo con un brano non eccelso e lavora una vita intera per dimostrare di essere anche altro.
Chi era lei prima del clamore.
Un adolescente con spirito d’iniziativa.
In cosa?
Soprattutto nel trasformare gli hobby in lavoro.
Esempio.
A 14 anni ho lavorato un’estate intera come dimostratore di videogiochi per un negozio di Caserta; ero costretto in una vetrina, tutto il giorno, a testare le ultime novità. E mi pagavano pure.
Costretto, mica tanto.
(Ride) Effettivamente non era un mestiere usurante; da allora ogni occasione è stata buona per mettere a frutto le passioni.
Altri lavori?
Alla fine degli anni 80 mi sono improvvisato giornalista musicale per una rivista che si chiamava Skate, senza essere particolarmente istruito sul tema dello skate.
Sempre pagato?
Sì, e recensivo le uscite legate al rap.
Intraprendente.
Da sempre.
La sua urgenza.
Sfuggire alla noia. Non avevo particolare fame di denaro, né esigenze di spesa.
La noia è utile.
È una sensazione nella quale non bisogna sprofondare, ma toccarla permette di scovare gli sprint per andare ancora più in alto.
Era considerato un nerd?
Da tutti anche da amici e familiari.
Dentro casa?
Mia cugina mi aveva soprannominato “Utet”.
Perché?
Ogni tanto rispondevo a domande in maniera inaspettata.
A scuola come andava?
Bene nelle materie letterarie, peggio in quelle scientifiche. Sono stato rimandato.
Si occupava di politica?
No, perché spesso chi decideva le occupazioni o gli scioperi schiacciava tutto a seconda delle esigenze personali, magari per saltare un compito in classe.
È un punto di riferimento. Lo avrebbero mai detto?
Non lo so, non ho mai pensato che sarei potuto diventarlo.
Non ci credeva.
No, non mi ponevo la questione, non me ne fregava nulla.
E poi…
Qualcosa è cambiato dopo la mia prima esibizione in televisione, ad Avanzi; tempo dopo ho scoperto che quella performance rappresenta il kickstar per artisti importanti come Caparezza e Fabri Fibra. Ecco, questo mi inorgoglisce: è blasone.
Lei prima dell’“in onda” ad Avanzi.
Emozionato, quella trasmissione la guardavo, mi piaceva tantissimo. E appena sono arrivato negli studi ho incontrato una sfuggente, super schiva Sabina Guzzanti che entrava nei camerini; due ore dopo ne usciva come una sorridente e maliarda Moana Pozzi.
C’era Corrado Guzzanti, alias Rokko Smitherson.
E pure Antonello Fassari: lui mi accolse in maniera entusiasta, era un appassionato di rap, autore del brano Roma di notte; quel pomeriggio rappresenta il primo assaggio della mia vita.
Tradotto.
Entrare in contatto con artisti che stimo e rispetto e di cui scopro di essere oggetto di stima e rispetto.
Tipo, chi?
Franco Battiato, con lui è stato tutto surreale: mi invitano alla registrazione del brano dedicato alla raccolta fondi dopo il terremoto dell’Aquila (Domani). Arrivo a Milano. Entro negli studi. Vedo la PFM e già lì ero felice. Mi giro e in fondo al corridoio scorgo Battiato. Mi sorride, allarga le braccia, mi viene incontro e mi appella “maestro”. A quel punto mi inginocchio “al massimo sono un bidello”. Ecco, davanti a lui non capivo più un cazzo.
Fan.
Con La voce del padrone ha nutrito un’estate fondamentale della mia esistenza, un’estate con il walkman sempre nelle orecchie; (pausa) sempre in quello studio di registrazione poco dopo incontro pure Gianni Morandi, anche da lui trattato come uno di loro. In quel momento mi sono sentito un ragazzo fortunato, come canterebbe Jovanotti.
Alla pari.
Da artisti che sono affreschi su una cupola.
Perché un’estate fondamentale?
Avevo 12 anni e mi sentivo più adulto, gli amici avevano la moto, quindi uscivo con maggiore libertà. Avvertivo l’odore dell’amore, con gli ormoni che giocavo un ruolo; (pausa) ma dell’amore vivevo solo l’odore.
Altro incontro.
Lucio Dalla: ho utilizzato due suo brani, Il fiume e la città e Sylvie. Quando gli ho chiesto il permesso, mi ha stupito la risposta: “Sono lusingato che la mia vecchia musica possa servire d’ispirazione per i giovani musicisti. Accordo il permesso. Con la sola preghiera, se possibile, di scrivere da qualche parte che sono pezzi miei”.
A futura memoria.
È un dono della vita.
Rispetto all’odore dell’amore, diventar famoso ha reso la vita sentimentale più semplice?
Non ho grandi stime al riguardo.
Però?
Sicuramente, con la fama, si diventa più attraenti e non solo per le ragazze, anche per gli amici, quelli tra virgolette: successo e denaro sono compagnie fuorvianti.
È mai stato irretito dal binomio?
Sono stato adulato e in qualche occasione sedotto, ma la mia cronica incostanza ha fatto sì che non diventassi una rockstar.
I suoi pezzi sono molto di denuncia, li sente mai invecchiati?
No, perché il mondo quasi sempre è peggiorato rispetto a come li raccontavo; non è merito mio, ma colpa di tutti noi se quello che scriveva un giovane rapper è sempre valido.
Il giovane rapper ha cambiato il suo modo di vestire.
Ho imparato pure a utilizzare la giacca.
La cravatta?
Qui c’è lo stupore: la prima volta che ho deciso di indossarla, ho scoperto di saper realizzare il nodo; negli anni devo aver imparato solo nel guardare mio padre.
Jake La Furia, dei Club Dogo, oggi giudice a XFactor, si è dato un limite d’età per il rap: altrimenti si è ridicoli.
Spero cambi idea, non c’è limite.
Li guarda i talent?
(Silenzio) Li evito.
Com’è messo a ego?
Se è l’ego a rispondere, sicuro risponde con una bugia; (pausa) meno di zero.
Possibile?
In realtà ho un ego spiccato, mi piace dire quello che penso.
Questa attitudine l’ha pagata?
Magari rendendomi meno interessante agli occhi di chi ha progetti anche remunerativi.
Si riferisce alle major?
No, con loro il rapporto è sempre stato buono, mi hanno permesso di muovermi in spazi importanti.
Be’, il video di Faccio la mia cosa le hanno dato come regista Alex Infascelli.
E protagonista Asia Argento incendiaria con la propria bellezza.
Innamorato di Asia.
Impossibile non esserlo, sarebbe stato immorale.
Asia Argento e Alex Infascelli in quella fase della vita potevano venir considerati “pericolosi”…
Da certe esperienze non sono mai stato sedotto.
Bugia?
No, davvero, mai stato un vizioso.
Qual è l’accusa che le hanno rivolto maggiormente.
Credo nessuna.
Possibile?
Credo.
Ha partecipato due volte a Sanremo.
Lì il momento più rilassante è quando sei sul palco e canti; per il resto sei costantemente spostato, chiamato, tirato da chiunque. Il pubblico durante il Festival voracemente ti strappa pezzi di carne e di anima.
Poi?
Arriva la domenica, esci dallo studio di Domenica In e smetti di esistere. Non ti si fila più nessuno.
Una lezione.
Sì, di cosa significa il successo: la domenica di Sanremo ti dà la misura di quanto in realtà non conti un cazzo.
Dolore?
Per me no, il successo non è mai stato una droga.
Neanche nel momento di massimo successo?
Dopo Quelli che benpensano sono rimasto fermo sei o sette anni e non sopportavo tutto quello pseudo affetto che mi circondava.
Lei chi è?
Un altro che si spaccia per me.