il Fatto Quotidiano, 7 agosto 2025
Don Chisciotte, Sancho Panza e chi morì per vedere l’opera
L’altro giorno mi hanno invitato all’Arena del Sole, a Bologna, a leggere dei testi in una serata dedicata alla strage del 2 agosto.
Io non sono di Bologna, sono di Parma, e il 2 agosto la strage della stazione riguarda tutti, ma soprattutto, secondo me, riguarda i bolognesi. È una data, il 2 agosto, in cui la città si abbraccia, mi sembra, per lo meno la parte di città che non contesta le sentenze e non avanza piste palestinesi. Che in questo momento, mi viene da dire, i palestinesi, come colpevoli, è un momento che è una ipotesi, non so come dire, più suggestiva del solito, forse.
Eravamo in tanti, lettori, 89, divisi in tre gruppi, a me hanno dato un cartellino col numero 21, significava che ero il ventunesimo a leggere, e una cartellina con un testo da leggere, due minuti, più o meno, un testo che parlava di 5 delle vittime, e a un certo punto mi sono alzato, ho raggiunto il microfono, ho letto, mi sono allontanato dal microfono, mi sono seduto, e come me hanno fatto tutti i 23 della prima parte della serata, e quando abbiamo finito, dopo un’ora circa, ci siamo inchinati appena all’applauso del teatro e poi, gli altri non so cos’han fatto, io son tornato a casa a piedi, in agosto, in una Bologna non così deserta come ci si immagina Bologna in agosto, e intanto che tornavo a casa pensavo che era stata una serata stranissima.
A me piace leggere in pubblico, e leggo dei testi che mi piacciono, di solito, invece quella sera lì, non che fossero brutti, i testi, e non che non fossi d’accordo, ero d’accordo, ma non mi era piaciuto.
E mi è venuta in mente una cosa che diceva Lacan, che il significato è un sasso in bocca al significante. Cioè che quelle letture erano tutte sbilanciate dalla parte del significato, eravamo tutti significati poco significanti, quella sera lì, e ho il dubbio che non si capisca e anche io, devo dire, non ero sicuro di aver capito.
Dopo, 3 giorni dopo, il 4 agosto, al mattino, sono andato, a piedi, in una Bologna non così vuota come si potrebbe pensare, dalla mia commercialista, a portare i documenti del secondo trimestre del 2025 per l’Iva.
Sono un libero professionista. Mi piace molto la parola professionista. Quest’estate un libro che ho scritto è finito nella cinquina del premio Strega e, con gli altri 4, siamo andati un po’ in giro e a me tornavano in mente spesso due versi di un poeta italiano che dicono “Era un mondo adulto, si sbagliava da professionisti”, che è un po’ quello che abbiamo fatto quest’estate e che provo a fare un po’ tutti i giorni.
E il 4 di agosto, intanto che andavo dalla commercialista, ho sentito su Youtube un filosofo francese, si chiama Michel Onfray, che aveva letto il Don Chisciotte di Cervantes e diceva che Don Chisciotte è un personaggio che ha letto talmente tanti romanzi di avventura che crede che il mondo che lo circonda sia come nei libri che ha letto, e quando vede dei mulini a vento gli sembrano dei giganti, come si sa, e a Sancho Panza che gli dice che sono dei mulini a vento lui risponde: “Ti sembrano dei mulini a vento perché sei vittima di un incantesimo”.
Ecco, secondo Onfray alcuni intellettuali sono come Don Chisciotte, cioè sono persone che credono più nei libri che hanno letto che nel mondo che li circonda, e quando il mondo non corrisponde alle cose che hanno letto, negano il mondo e spiegano questa indisciplina del mondo con incantesimi e complotti, orditi per impedire alle verità espresse nei libri di essere universalmente riconosciute, rispettate, e affrontate, complotti e incantesimi per impedire, in sostanza, ai mulini a vento di essere dei giganti, perché sono, dei giganti, c’è scritto nei libri.
Sancho Panza, invece, che di libri non ne legge, ha, secondo Onfray, un rapporto col mondo più sano, più vario, non deve mettere tutto quello che vede in una gabbia predefinita, non ha gabbie predefinite, quello che fa è semplice, sta al mondo, che, se non sei schiavo dei libri che hai letto, ti diverti di più, dice Onfray.
Allora io ho pensato a due intellettuali che decodificano il mondo contemporaneo, David Parenzo e Nikolai Lilin, poi però, Parenzo lo conosco poco, non ho la televisione e non ascolto La zanzara, ho pensato che Parenzo non andava bene, come esempio, l’ho sostituito con Fiamma Nirenstein, che ho ascoltato per anni su Radio Radicale, Nikolai Lilin, l’ho ascoltato in questi ultimi anni su Youtube che parlava della guerra in Ucraina.
Ecco, Fiamma Nirenstein, a sentirla, sembra una che ha letto solo dei libri dove il governo di Israele si comporta benissimo le autorità palestinesi invece no, Nikolai Lilin uno che ha letto solo dei libri che esaltano il governo russo e schifano quello ucraino.
Allora, io, se dovessi scegliere, non vorrei essere un intellettuale, mi piacerebbe essere Sancho Panza, solo che non posso, essere Sancho Panza, perché, diversamente da Sancho Panza, di libri ne ho letti un po’, e l’unica possibilità che mi sembra di avere, per non spiegarmi il mondo con i complotti e con gli incantesimi, è leggere dei libri dove il mondo non è tutto di un colore.
E quando, il primo agosto, all’Arena del Sole, in quel pezzetto tutto significato, ho letto di Vincenzo Lanconelli, che è morto alla stazione di Bologna perché appassionato d’opera, aspettava un treno per Verona, doveva andare all’Arena, a me è venuto in mente un passo di un monologo di Raffaello Baldini, Zitti tutti, dove si parla di Giovannino ’d Matiòun, che “è andato a Bologna a vedere un’opera e non è tornato più, chiuso, che aveva visto il Faust, l’ultima cosa che ha visto è stato il Faust, nella sua vita, che poi non è neanche, sì, c’è quel valzer, ma non è una gran opera, dài, fosse stato il Rigoletto, almeno, la Forza del destino, non dico La traviata, che La traviata hai voglia, La traviata, ma anche l’Otello, che solo l’Esultate, orca, come lo faceva Del Monaco, che non l’ha più fatto nessuno dopo, e non lo farà più nessuno, l’ho sentito a Verona, io, all’Arena di Verona, ti faceva rizzare i capelli, ma anche la Lucia, Verranno a te sull’aure, quello è un duetto, per me è il più grande duetto, poi la follia, poi Tombe degli avi miei, non tiri il fiato nella Lucia, ma anche l’Andrea Chenier, che io, Come un bel dì di maggio, quella è una romanza, ce ne sono poche, che lui è condannato a morte, e canta, che si ricorda il suo amore, la sua giovinezza, perché adesso è venuto fuori, dappertutto, Mozart, Mozart, è di moda, Mozart, che è bravissimo, è un genio, Mozart, ma se senti l’intermezzo della Cavalleria, non lo so, perché Mozart è bravo, ma l’intermezzo della Cavalleria ti tocca lasciarlo stare, è una melodia quella lì, lì c’è dentro tutto… e uno va all’opera e muore, che è una cosa che, non lo so, io, è una cosa, che io non sono d’accordo, loro me la devono spiegare, ma come, uno va all’opera e deve morire?”, scrive Baldini in quel pezzetto che mi sembra un pezzetto così colorato, così significante, che si spiega da solo, mi sembra, ho pensato l’altro giorno a Bologna.