il Fatto Quotidiano, 5 agosto 2025
Modello Milano? Due miliardi di euro regalati ai costruttori: così il Comune ha rinunciato a pretendere oneri e servizi
C’è voluto un non-architetto e non-milanese come l’accademico dei Lincei Salvatore Settis per raccontare impietosamente (su La Stampa) il Sistema Milano: “Un totale capovolgimento delle ragioni della pianificazione. A dettare le regole era l’interesse privato dei pochi speculatori edilizi, e non quello di tutti i cittadini che il Comune dovrebbe far proprio”.
Questo metodo, glorificato da molti come scorciatoia per lo sviluppo della città, genera disuguaglianze, lede la democrazia che vorrebbe i cittadini tutti uguali di fronte alla legge. Ma ha anche un pesante costo economico, pagato dai milanesi in mancati servizi. Almeno 2 miliardi di euro. Proviamo a fare qualche calcolo.
Nell’ultimo decennio, Milano ha perso innanzitutto 107 milioni di euro, perché dal 2007 al 2023 l’amministrazione non ha fatto gli adeguamenti triennali degli oneri d’urbanizzazione previsti da una legge dalla Regione. Gli oneri sono quanto gli operatori immobiliari devono versare, per legge, alle casse del Comune per realizzare i servizi (fognature, marciapiedi, verde, asili nido…) resi necessari dall’arrivo di nuovi abitanti in una determinata zona della città. Il calcolo, provvisorio, è stato fatto dall’ingegnere e architetto Gabriele Mariani e dall’ex consigliera comunale del Movimento 5 Stelle Patrizia Bedori (un’attivista generosa e instancabile, recentemente scomparsa, a cui Milano dovrebbe riconoscenza): l’hanno inserito in un ricorso alla Corte dei conti, perché appuri se è stato arrecato un danno erariale (per la precisione di 107.631.483,32 euro) alle casse del Comune.
Ai 107 milioni di mancati oneri di urbanizzazione si aggiungono altri 100 milioni non incassati di oneri “a scomputo”, cioè quelli che per legge dovrebbero essere pagati direttamente dagli operatori immobiliari realizzando opere e servizi.
La molla è quella della “attrattività”: per attirare investimenti immobiliari, Milano ha tenuto bassi gli oneri, che sotto la Madonnina sono i più bassi d’Europa. In più, ha quasi azzerato le norme urbanistiche, considerando – contro la legge – “ristrutturazione” l’edificazione di grattacieli residenziali al posto di piccoli fabbricati che erano laboratori o uffici: così scatta uno sconto fino al 60% degli oneri. Difficile calcolare la perdita per la città, in mancanza del dato da cui partire: quante nuove costruzioni sono state fatte passare per “ristrutturazioni”, e per quale valore totale? Lo sanno solo gli uffici comunali.
Ma c’è comunque un’altra voce, e perfino più pesante, nella casella delle perdite: quella delle “monetizzazioni degli standard”. Chi costruisce deve cedere al Comune, per legge, una quota di aree per realizzare servizi per la città. A Milano, l’amministrazione non le ha pretese, accontentandosi di “monetizzarle”, cioè incassando denaro invece che aree. Ma – hanno scoperto i consulenti tecnici della Procura – gli operatori hanno pagato le “monetizzazioni” a prezzi di saldo, un quarto del loro valore. Con un accesso agli atti, Gabriele Mariani è riuscito a sapere che negli anni dal 2011 al 2023 la direzione Rigenerazione urbana del Comune di Milano “per monetizzazioni relative a interventi edilizi-urbanistici” ha incassato 440 milioni. Se davvero, come ritiene la Procura, sono un quarto del dovuto, l’incasso avrebbe dovuto essere 1,760 miliardi, con una perdita per il Comune di 1,320 miliardi non incassati.
Sommando dunque questa cifra di 1,320 miliardi ai 107 milioni di mancati oneri e ai 100 di oneri “a scomputo” non incassati, si ottiene un totale di 1,527 miliardi persi dalla città e regalati ai costruttori.
È un miliardo e mezzo che Milano ha lasciato agli operatori e ai fondi immobiliari, e che il Comune ha rinunciato a incassare. Quanti servizi si sarebbero potuti realizzare con quei soldi? Quanti asili nido si sarebbero potuti costruire? Quante piscine si sarebbero potute ristrutturare (a Milano sono inagibili quasi tutti i centri balneari comunali, per mancanza di soldi)? Quante abitazioni si sarebbero potute rendere abitabili, dei 2.500 alloggi popolari fuori uso che oggi non possono essere assegnati a chi ne ha diritto?
Il conto cresce se a questo miliardo e mezzo si somma la cifra che è stata scontata agli operatori facendo passare come “ristrutturazioni” le nuove costruzioni di grattacieli: una cifra di difficile calcolo per noi, ma che gli uffici comunali possono certamente ricostruire. Ma anche senza questa x che il sindaco potrebbe far calcolare ai suoi uffici, si arriva comunque ai 2 miliardi, se si aggiunge il mezzo miliardo a cui il Comune ha rinunciato dall’operazione scali ferroviari. Sono sette grandi aree che Fs ha “valorizzato” vendendole come fosse un immobiliarista privato, mentre un tempo erano state concesse dal Demanio alle Ferrovie dello Stato per sviluppare un servizio pubblico, quello dei trasporti. Il Comune ci ricaverà comunque solo una cinquantina di milioni, invece dei 500 che sarebbero dovuti, considerando il valore dell’operazione immobiliare. In più, Milano perderà la sua circle line: “L’edificazione delle aree ferroviarie”, ricorda l’ex assessore milanese ai Trasporti Giorgio Goggi, “era stata concessa in cambio dell’impegno di Fs a investire i proventi nel secondo passante ferroviario”. Cioè la linea ferroviaria metropolitana che avrebbe completato i collegamenti pubblici milanesi. Promessa dimenticata.
Naturalmente questi 2 miliardi e più sono calcolati sulla base di quanto è stato costruito a Milano nelle condizioni di estremo vantaggio per gli operatori garantite dal “Rito ambrosiano”, in nome dell’“attrattività”. Milano è la città prima in Europa per investimenti immobiliari, davanti a Monaco di Baviera e Amsterdam. Se le condizioni fossero state diverse, gli oneri d’urbanizzazione più alti, le monetizzazioni a prezzi di mercato e non di saldo, si sarebbe costruito di meno, con relativo calo delle entrate per le casse comunali. Ma quello che un buon amministratore avrebbe potuto e dovuto fare è una mediazione tra attrattività e servizi da assicurare ai cittadini, trovando un bilanciamento tra quanto concedere agli operatori per attirare investimenti e quanto pretendere da loro per offrire servizi alla città. Invece ha vinto la bulimia. Si è affermato il Sistema Milano, con suoi patti segreti tra costruttori, progettisti e dirigenti comunali. E un paio di miliardi, o almeno uno, che avrebbero davvero reso Milano più bella e vivibile, e meno diseguale.