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 2025  agosto 03 Domenica calendario

Intervista a Laura Morante

45 anni dal debutto cinematografico.
Oggetti smarriti credo sia introvabile.
Lo è.
Manca pure a me.
Possiede tutti i suoi film?
Solo quelli che mi piace avere e sono riuscita a ottenere.
Il primo set, quindi…
Sono arrivata nella totale inconsapevolezza: a quel tempo ero, sostanzialmente, ancora una danzatrice che aveva solo sospeso la sua attività; (prende tempo, riflette, in perfetto stile Morante) quel set l’ho vissuto con la leggerezza figlia dell’inconsapevolezza.
E la consapevolezza?
Quando è arrivata mi ha reso un po’ meno tranquilla.
Accade.
Allora non possedevo una gran cultura cinematografica, fino ai diciassette anni sono cresciuta in provincia, a Grosseto, e non c’era alcun cineclub, ci basavamo sulle grandi uscite, senza retrospettive. Però avevo già conosciuto Pasolini.
(Laura Morante appare come un’adepta di Conrad quando sosteneva: “Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?”. Lei dalla finestra guarda da una vita, studia da altrettanto. Osserva e fa suo. Osserva e sintetizza. Anche l’inatteso. E il cinema è l’inatteso)
Impressionata da Pasolini?
No, ero una bambina, avrò avuto sette o otto anni, anche quell’incontro l’ho vissuto a cuor leggero; (sorride, lieve) il secondo film l’ho girato con Bernardo Bertolucci (La tragedia di un uomo ridicolo) e durante il lunghissimo provino, con tanto di trucco, a un certo punto mi prese da parte: “Mi sembra che non ti rendi conto dell’importanza di questo ruolo”. Credo di essere arrossita e di aver balbettato “scusa…”.
Cosa aveva combinato?
Sul set c’era pure Victor Cavallo, mio amico, e tra di noi era uno scherzo continuo, goliardia semplice come lanciarsi le molliche di pane.
Quindi sul primo set non era intimorita neanche da Mariangela Melato…
No, perché sono cresciuta in una famiglia nella quale il solo idolo contemplato era lo scrittore, non l’attore o il regista, rappresentanti di un mestiere solo divertente.
Una deminutio.
E l’ho pensato per anni; non ho mai provato il mito degli attori, in generale mi suscitano un senso di tenerezza o di pena, raramente di ammirazione. O se sono degli stronzi, di rabbia.
Perfetto.
A quel tempo, per me, non c’era paragone tra un film e un libro.
E oggi?
Quando esco dalla lettura di un gran libro mi sento mutata, è un’esperienza indimenticabile. È difficile possa avvenire lo stesso con un film.
Quando legge?
Mai la sera, voglio la mente lucida, a tavolino, quando non sono distratta. Lettura e danza restano le mie maggiori passioni, mentre ho impiegato anni a capire il cinema.
La svolta?
Piano piano, un crescendo, fino a quando ho compreso che era un mestiere nel quale si poteva imparare; io venivo dalla danza e la danza era ed è disciplina, sacrificio, un lavoro duro, quotidiano.
Arriva il cinema e ribalta queste certezze.
Non sapevo fa’ niente, eppure mi venivano a prendere a casa, mi truccavano, coccolavano e mi pagavano meglio della danza. Il paese del Bengodi.
La fortuna non è sempre del tutto casuale.
Avevo un viso che interessava un tipo di registi.
Che buca lo schermo.
(Ride) Resta una fortuna senza merito, perché non sapevo nulla neanche di tecnica. Oddio, pure oggi…
Non dica così.
L’impressione che davo era di stare sul set controvoglia e non era esattamente vero.
Insomma, niente ansia.
Quando parlavo mi prendeva il panico e poi la maggior parte delle battute non mi convincevano.
Perché?
Le confrontavo con quelle dei libri.
Giusto.
Mi vergognavo di pronunciarle ed ero senza tecnica: non sapevo come entrare nel personaggio nonostante la battuta non mi appartenesse; (sorride) il mio angelo custode fu Laura Betti, nonostante la fama di caratteraccio: con me fu carina, protettiva, forse mi giudicava una sprovveduta, un agnello tra i lupi. Quindi mi protesse, tanto da telefonare sul set se non era presente: “Come la state trattando?”
Stupefacente.
Anni dopo, e già vivevo a Parigi, venne in Francia per girare un film. Squilla il telefono. Rispondo. E la sua prima battuta fu: “Ciao Laura, sono Laura: ti fa sempre schifo fare l’attrice?”
Una Betti inedita.
Forse le avevo generato un senso materno, forse non apparivo agguerrita o ambiziosa.
Era vero?
Assolutamente: una come me, oggi, verrebbe sbranata. Mentre a quel tempo esistevano registi e attori che amavano questo genere di personaggio, quasi allo stato brado.
Allora protetta non solo dalla Betti.
No, da una schiera di registi contro i produttori che non mi volevano né morta né viva. Ripeto: oggi non girerei neanche mezzo film.
Nei due film da regista ha coinvolto degli “irregolari” come Fantastichini.
Lotto per il mio cast, mentre ora si basano sui like, moda che mi fa impazzire; (cambia tono) avanti così il nostro mestiere si estinguerà come accaduto ad alcune famiglie nobili, sempre incrociate tra di loro, con il loro sangue diventato acqua. Non rischiano mai.
Sono più stronzi gli attori o i registi?
Più gli uomini delle donne: più spesso egocentrici e vanitosi.
Più i registi o gli attori?
Gli attori hanno un lato infantile che, magari, li rende capricciosi ma allo stesso tempo li assolve.
I registi…
Se sono degli stronzi lo sono fino in fondo. Nulla li salva.
È diventata regista.
Non mi sento tale.
Lo è.
Ho girato due film e mi sono divertita.
In particolare?
Amo dirigere gli attori. E con loro cerco di non usare metodi aggressivi, neanche se sono capricciosi, e accade, perché so che il capriccio nasce dall’insicurezza.
Da attrice le è successo di subire toni aggressivi?
Sì, e l’ho detestato.
È capricciosa?
Non credo. Sono emotiva.
Quando?
Se una battuta non mi convince, se non riesco a recitarla come vorrei, lì posso scoppiare a piangere. In realtà non sono abbastanza attrice.
Laura Morante non è abbastanza attrice?
Eppure è così.
Teresa Saponangelo al Fatto: “Morante rappresenta mondi inavvicinabili”.
Accidenti, lei è così brava.
Vede.
Sono un’attrice altalenante, a volte ho preso delle cantonate tremende, in altre posso risultare più originale di altri.
Un film sbagliato?
Non sono stata brava ne La bellezza del somaro di Castellitto.
Un film giusto?
Non mi dispiaccio ne La stanza del figlio e in Ferie d’agosto; poi aggiungo i miei film.
Secondo Carlo Verdone è una perfezionista.
(Sorride) Lui è un po’ come Pupi Avati: inventa molto, e ogni volta che racconta aneddoti su di me non ne riconosco neanche uno.
Narra che in L’amore è eterno finché dura lo ha costretto a un numero infinito di ciak.
Boh, può darsi; per il resto ho sentito il racconto del nostro primo incontro ed era una favola, quasi nulla di vero.
Torniamo ai registi aggressivi.
Per fortuna mi è capitato raramente; ricordo un incontro con Damiano Damiani, con il quale non ho mai lavorato, presente Michele Placido: durante il provino per La Piovra iniziò a dirmi: “Va bene, ma hai i capelli che cadono sempre davanti agli occhi, non riesco a vederti”. Una, due, tre, alla quarta ecco l’urlo: “E cazzo ho detto di…”. Io zitta. Alla fine ho replicato: “Lei erroneamente crede che questo sia solo un provino per l’attrice, invece lo è pure per il regista. E a me i registi che si comportano così, non mi piacciono. Me ne vado”.
E Damiani?
Mi ha guardato con gli occhi spalancati.
Com’è sopravvissuta a Carmelo Bene?
Lui era impossibile, possedeva la stessa crudeltà dei bambini, cercava di capire fino a che punto resistevi, però era affettuoso. Ed era totalmente privo di invidia, come nessun altro. Anzi, era in grado di ammirare.
Chi ammirava?
Eduardo De Filippo.
Vittorio Gassman?
Anche, ma credo non nei ruoli drammatici; poi ammirava Elsa Morante; Carmelo era un torturatore con l’innocenza di un bambino. Con lui ho rischiato di stramazzare.
Ecco.
All’epoca ballavo e lo seguivo, quindi dormivo due ore a notte. Qualcosa di terribile.
Quanto è durato il vostro rapporto?
Non è stato continuo e nel mezzo gli ho pure presentato una vertenza sindacale, l’ho vinta e gli hanno bloccato i contributi ministeriali per un anno. Nonostante questo mi ha ripreso.
Perfetto.
Avevo acquistato il regolamento dei lavoratori dello spettacolo, bussavo al suo camerino e una volta aperta la porta brandivo il libricino e intonavo “el pueblo unido…”.
E lui?
Gridava “fuoriiiii”
Provocatrice totale.
Certo.
Altro che timida.
Carmelo ripeteva: “Con lei non si sa come fare, perché in fondo è una pacioccona”.
Lo era?
Per niente, ma subivo per non dargli soddisfazione. Così mi licenziava, salutavo come fosse nulla, poi mi arrivava il telegramma dell’avvocato per intimarmi di tornare.
Come è arrivata a Bene?
Prestata dalla mia coreografa, Patrizia Cerroni. Poi ho ritrovato la danza.
L’addio alla danza è stato doloroso?
L’ho vissuto come una dissolvenza incrociata.
Qui c’è alta letteratura.
(Ride) Come danzatrice ritenevo di non poter arrivare dove avrei voluto.
Cosa le mancava?
Non lo so, però mi sentivo inadeguata. E lasciare la danza è stato un grande dolore.
Che libro ha sul comodino?
Non sono cattolica, ma tutte le sere rivolgo un pensiero a Fielding e lo ringrazio per aver scritto Tom Jones.
Con Nanni Moretti è tornata la pace?
No, ma nonostante questo gli rivolgo gli auguri di buon compleanno; però non sono in guerra con lui, ho solo risposto a una domanda su Cannes, se ero contenta di tornarci e ho precisato che per La stanza del figlio non ero stata invitata…
Le piacciono i Festival?
Mi prendono tutti in giro perché il tappeto rosso mi dà l’ansia. Se devo affrontarlo, corro.
Fa parte della mondanità.
Non sono neanche mondana.
Un supplizio.
Anni fa, a Cannes, ero sola perché il mio ex marito si era rifiutato di accompagnarmi. Una volta lì mi prende il panico, proprio perché sola, allora chiamo il concierge e chiedo di partire. Inutile. Torno in stanza e mi addormento, erano le due del pomeriggio. Mi sveglio tardissimo per la proiezione. Prendo il vestito, lo infilo al volo, niente trucco, corro e trovo le porte della sala chiuse.
Un disastro.
Poi alla cena tutti erano in coppia, io l’unica senza compagnia. Mentre mi stavo alzando ho sentito una mano sulla spalla: “Finalmente sei sola”. Era Karl Baumgartner (produttore) e insieme a lui ho passato una serata improbabile, inaspettata, divertente. Con tanto di furibonda rissa tra Johnny Depp e altri ospiti del Festival. Una rissa fenomenale.
L’inatteso.
Che sorprende.
Lei chi è?
(Silenzio) Non so rispondere alle domande da quiz. Se le domandassi la stessa cosa?
Un giornalista.
Allora sono un’attrice.