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 2025  agosto 01 Venerdì calendario

Il costo della vita a Gaza

Al prezzo della vita, o comunque a caro prezzo. In perenne ricerca di cibo, scampati alle frequenti raffiche mortali durante la distribuzione di aiuti, molti gazawi finiscono per ottenere il minimo per sopravvivere a prezzi esorbitanti. Un chilo di zucchero a 106 dollari. La farina a 12; i pomodori a 30. Un’enormità rispetto ai pochi centesimi di due anni fa, prima che scoppiasse la guerra. C’è poi il latte in polvere per neonati: 400 grammi per 51 dollari. In passato si poteva acquistare a circa 7 dollari e 40. Il listino prezzi, a Gaza è impazzito. Sono sempre più rari i tenutari di beni di prima necessità, che spesso vendono sottobanco aiuti umanitari saccheggiati: secondo fonti locali, nell’ultima settimana di luglio sono stati derubati 456 camion, rispetto ai 152 della settimana precedente. Così hanno fatto schizzare l’economia nella Striscia alle stelle. Il gasolio è arrivato a 36 dollari al litro; un pacco di 40 pannolini si paga 149 dollari, rispetto ai vecchi 8 dollari e 61. Sono gli effetti collaterali della mancanza di aiuti.
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La gente ha fame.
Nel 2006 un consigliere dell’allora primo ministro israeliano Ehud Olmert aveva detto: “L’idea è quella di mettere a dieta i palestinesi, ma non di farli morire di fame”. Calibrare le dosi di cibo per esercitare pressione su chi abita la Striscia. Sempre nello stesso anno la Cogat – l’agenzia israeliana che ancora controlla le spedizioni di aiuti a Gaza –, aveva calcolato 2.279 calorie a persona al giorno, cioè 1,836 chilo di cibo. La situazione, oggi, è talmente disperata, che le organizzazioni umanitarie – come racconta il Guardian – chiedono una razione minima ancora più piccola: 62.000 tonnellate di cibo secco e in scatola per 2,1 milioni di persone. Non più di un chilo al giorno. Sono folle disperate, quelle che si accalcano nella Striscia. Come i palestinesi che hanno cominciato a correre verso i veicoli delle Nazioni Unite ma sono stati raggiunti da alcuni membri dell’esercito israeliano che hanno aperto il fuoco, colpendo il suolo e alzando la polvere. Un avvertimento, spiegano dall’Ocha – l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari – che si occupa di coordinare gli aiuti a livello globale, e che ha diffuso il video. La portavoce dell’organizzazione, Olga Cherevko, ha detto che la sua squadra, impegnata nella distribuzione di beni, ha visto “decine di migliaia di persone affamate e disperate” in attesa; il grosso ostacolo – che ha generato perdita di tempo – sono state le due ore al posto di blocco israeliano prima di ottenere l’autorizzazione a procedere. Sulla distribuzione dei viveri si è espressa anche Medici senza Frontiere, commentando l’ipotesi che anche l’Italia si unisca ai lanci aerei di aiuti. Per Msf non è una strada praticabile: i velivoli riescono a trasportare molto meno delle 20 tonnellate di aiuti che può contenere un camion – si stima che su un aereo sia stipato l’equivalente di mezzo autoarticolato. Senza contare che 2 milioni di persone sono intrappolate in un’area che corrisponde al 12% dell’intera Striscia: questo aumenta notevolmente la possibilità che ci siano feriti se qualcosa atterra in quella zona. “La soluzione più efficace, dignitosa e su ampia scala è aprire i varchi di terra dove tutto è già pronto per entrare, ed è l’unica strada da percorrere, hanno detto. Prosegue il conteggio delle vittime dell’offensiva israeliana: fonti mediche hanno dichiarato che almeno 27 palestinesi sono stati uccisi ieri in seguito agli attacchi delle forze israeliane. Dall’inizio del conflitto il bilancio è di 60.249 morti e 147.089 feriti.
“Vedo Gaza e piango”, ha detto monsignor William Shomali, vescovo ausiliare del patriarcato di Gerusalemme e braccio destro del cardinale Pierbattista Pizzaballa, aggiungendo che, oggi il primo pensiero è la necessità di cibo, di nutrire “un popolo affamato e allo stremo delle forze”.