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 2025  agosto 10 Domenica calendario

Nel 2050 l’Italia avrà 5 milioni di abitanti in meno

Pochi, vecchi e soli. Detto così mette un po’ di angoscia. Dunque, proviamo subito a rassicurare: quello che i numeri paiono dire dell’Italia nel 2050 è semplicemente una previsione quantitativa, cioè informa su come saremo e non è un’anticipazione di come staremo.
D’altronde la tendenza è in atto da anni, quello che sarà domani è in parte già vero oggi, e la fotografia del futuro possibile ha senso se la si osserva per capire quali sfide ci aspettano e come gestirle, non per presagire scenari oscuri. Fatta questa premessa, veniamo alle cifre. La fotografia più aggiornata di quello che potrà essere la popolazione del nostro Paese tra 25 anni alla luce delle tendenze demografiche – senza considerare ovviamente cambiamenti geopolitici o economici, l’evoluzione tecnologica o altro – è stata diffusa a fine luglio dall’Istat attraverso il report Previsioni della popolazione residente e delle famiglie con base 1/1/2024. Uno scenario segnato da fattori noti: la bassa natalità, l’invecchiamento, le trasformazioni familiari.
Come perdere Roma, Milano e Bari
L’Italia nel 2050 avrà circa 54,7 milioni di abitanti, 4,3 milioni in meno rispetto al 2024. In pratica è come se si volatilizzassero contemporaneamente le città di Roma, Milano e Bari. L’emorragia però riguarderà soprattutto il Mezzogiorno, che perderà 3,4 milioni di abitanti, in particolare giovani e famiglie, mentre il calo al Nord sarà di circa 200mila persone e al Centro di 700.000. Si tratta di uno scenario mediano, all’interno di una forchetta di previsioni con ipotesi minime e massime. L’evoluzione, in ogni caso, è chiara: le persone abiteranno prevalentemente nei centri urbani, cioè vicino ai servizi e alle opportunità, mentre le aree interne e i comuni periferici e più piccoli potranno sperimentare un isolamento ancora maggiore rispetto a oggi. Con il rischio, oltretutto, di generare una circolo vizioso in cui la riduzione dei servizi e l’esodo di popolazione finiscono per alimentarsi a vicenda.
Più persone che gravitano sulle città può anche voler dire una fase di maggiore dinamismo, questione che si confronta però con l’evoluzione delle generazioni. L’età media nel 2050 salirà a quasi 51 anni, dai 46,6 attuali, e il Sud passerà dall’essere l’area oggi più giovane a quella più anziana (51,6 anni in media). Il destino del Mezzogiorno sembra essere quello di una lenta e progressiva “senilizzazione”, fenomeno descritto dalla Svimez nel suo rapporto 2024: nel prossimo quarto di secolo il Sud vedrà diminuire del 35% la generazione degli under-15 e aumentare del 30% gli over-65. Le regioni più colpite ci si aspetta siano Basilicata, Molise, Sardegna, che potrebbero perdere un quinto della propria popolazione.
In calo gli «attivi», immigrazione incerta
I giovani, insomma, andranno a concentrarsi al Centro-Nord. I “pochi” che l’Italia potrà contare, in ogni caso. Perché il grande tema di questa fase storica è il “degiovanimento” del Paese, secondo il neologismo coniato dal demografo Alessandro Rosina, cioè l’assottigliamento delle generazioni più giovani, con una conseguente perdita di rilevanza sociale e politica. Un abitante ogni tre nel 2050 avrà più di 65 anni (34,6%), poco più di uno ogni dieci (l’11,2%) ne avrà meno di 14, mentre nella fascia 15-64 anni ci saranno meno di 30 milioni di persone (il 54,3%), con una perdita di ben 7,7 milioni di popolazione in età da lavoro. Tra 25 anni, in pratica, anziani e bambini insieme saranno tanti quanti coloro che potranno essere occupati. Chi sosterrà, lavorando e soprattutto pagando tasse e contributi, le pensioni, la sanità, l’assistenza, l’educazione? Si potrebbe pensare agli immigrati, ma su questo fronte è difficile fare previsioni. È possibile che da qui al 2050 arrivino in Italia 5 milioni di stranieri. Ma una previsione così a lungo termine è debole, perché non sappiamo come cambierà il mondo e, soprattutto, se un territorio in depopolamento sarà una meta ambita per gli stranieri più qualificati.
La sfida del welfare e dei conti pubblici
Lo scenario economico e fiscale che si prospetta è denso di incognite. Nella sua testimonianza alla Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti della transizione demografica, il vice capo del dipartimento Economia e statistica della Banca d’Italia, Andrea Brandolini, ha spiegato che qualora restassero invariati i tassi di occupazione e di produttività, l’inverno demografico potrebbe costare 9 punti di Pil da qui al 2050. In sostanza, riducendosi la base imponibile, la pressione sulle finanze pubbliche richiederà molta attenzione. Secondo le più recenti previsioni della Ragioneria generale dello Stato la spesa sanitaria è destinata a crescere di un punto di Pil, per arrivare al 7,2% e stabilizzarsi. Quanto alla spesa pensionistica, questa toccherà il picco al 17% nel 2040 per poi cadere rapidamente al 16% nel 2050 e al 13,9% nel 2070. Triste pensare che gli scenari di finanza pubblica sono destinati a riequilibrarsi quando la generazione dei baby boomers sarà passata a miglior vita. La sfida demografica obbligherà l’Italia, dunque, a concentrare l’attenzione politica sull’immigrazione, l’innalzamento dell’età pensionabile, la maggiore partecipazione al lavoro. E investire sulla natalità? È giusto e necessario, anche se la bassa fecondità che interessa l’Italia da oltre trent’anni ha un po’ complicato le cose: oggi le donne tra i 15 e i 49 anni sono 11,5 milioni, nel 2050 si ridurranno a 9,1 milioni. Il calo delle potenziali mamme, cioè, ha assunto proporzioni tali che la tendenza di fondo della dinamica naturale della popolazione è ormai irreversibile: se anche tra 25 anni il tasso di fecondità risalisse dagli 1,18 figli di oggi a 1,59, i nati sarebbero comunque solo 500mila l’anno, a fronte di 800mila decessi. Insomma, è doveroso provarci, ma serviranno miracoli.
Famiglie ristrette e più persone sole
Anche per le famiglie la trasformazione sarà significativa, nel senso di un assottigliamento della loro dimensione, ma pure di un infragilimento dovuto alla minore tenuta dei legami. Con la solitudine a fare da sfondo. Entro il 2050 i nuclei familiari aumenteranno di poco, a 26,8 milioni (+1%), però si tratterà sempre più spesso di single. Per fare un esempio, ogni dieci case, quattro saranno abitate da persone sole (41,1%), poco più di due da coppie con figli (21,4%), ancora due da coppie senza figli (21,2%), una da madri sole (9%, in aumento del 18%). Il resto da padri soli (3,1%) o coabitanti (3,2%). In pratica coppie con figli e senza figli si equivarranno: le prime passeranno dai 7,6 milioni di oggi a soli 5,7 milioni, in calo del 24%, mentre le coppie no kids da 5,4 a 5,7 milioni, un aumento del 6%. La condizione della solitudine riguarderà soprattutto gli anziani: oggi gli over-65 che vivono da soli sono 4,6 milioni, nel 2050 diventeranno 6,5 milioni, e di questi 4,6 milioni avranno più di 75 anni. Quali problemi comporterà questo in fatto di bisogni assistenziali, di cura, ma anche di autonomia e indipendenza?
Da qui al 2050 l’Italia si trova di fronte a una sfida epocale. Il cambiamento non sarà necessariamente negativo. Ma quello che si decide oggi determinerà il benessere delle future generazioni.