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 2025  agosto 10 Domenica calendario

Ecco perché Netanyahu perderà la poltrona. Intervista a Sergio Della Pergola



La guerra a Gaza, l’isolamento internazionale, le tensioni con l’alleato americano, l’economia in affanno (pur con la Borsa in salita), il Paese diviso, l’esercito sotto pressione, i riservisti al quarto turno e, soprattutto, 50 ostaggi ancora là sotto (30 morti e 20 presumibilmente vivi). Le decisioni che hanno portato fino a qui sono state prese da Benjamin Netanyahu e, stando ai sondaggi più recenti, una larga parte degli israeliani le considera “sbagliate”. Sbagliate al punto che persino quelle “giuste” rivendicate dal governo – l’eliminazione di leader di Hamas, lo smantellamento delle infrastrutture del gruppo terrorista, il contenimento di Hezbollah, il rallentamento del programma nucleare iraniano e l’indebolimento dei proxy regionali – non bastano a fermare il crollo del consenso. Se si votasse oggi, il premier non avrebbe una maggioranza: dei 120 seggi della Knesset (il Parlamento) ne prenderebbe 49, l’opposizione 61. «Proprio per questo Bibi governerà ancora a lungo», osserva – disincantato come sempre – Sergio Della Pergola, professore emerito all’Università Ebraica di Gerusalemme e tra i più lucidi osservatori della realtà israeliana.
Perché?
In Israele il presidente della Repubblica non ha il potere di sciogliere il Parlamento, nemmeno se non c’è più una maggioranza: deve essere la stessa Knesset ad auto-sciogliersi. E questo non sta accadendo proprio perché i sondaggi dimostrano che, se si andasse alle urne, il governo Netanyahu subirebbe una grossa disfatta. Nessuno vuole le elezioni se sa che finirà per perderle: se ne staranno tutti saldamente attaccati alle loro poltrone.
La destra messianica di Itamar Ben-Gvir ha posizioni impresentabili e pretese insostenibili. Tiene in scacco Netanyahu. Per quanto può reggere questa dinamica?
Negli anni Ottanta, l’esercito israeliano dava la caccia sulle colline di Hebron alle bande criminali del partito Kach di Meir Kahane, ultra-sionista e anti-arabo, che era fuori legge. Oggi l’eredità di quel partito è stata raccolta da Otzma Yehudit (Potere ebraico), la formazione messianica di Ben-Gvir. Mai si sarebbe potuto immaginare che questo tizio, proprio lui che staccò il logo dalla macchina di Yitzhak Rabin e disse: «Abbiamo preso il logo, prenderemo anche te» (Rabin fu poi assassinato nel 1995 da un ebreo estremista), più volte arrestato, sarebbe stato nominato ministro della Sicurezza nazionale. Un’aberrazione di cui è responsabile Netanyahu. Il premier è un abilissimo e spregiudicato navigatore politico, totalmente impermeabile agli interessi del Paese, quindi, sì, se lo saprà tenere accanto, Ben-Gvir, per restare al governo. Netanyahu è sotto processo, sta cercando di tirarla per le lunghe il più possibile. E dalla sua ha la legge israeliana, che è molto curiosa: chi è sotto processo, non può fare il ministro, non può fare nemmeno l’autista del ministro, ma può fare il primo ministro. Bibi fa il primo ministro. E ha messo insieme con efficacia tre interessi: il suo a restarlo, quello degli ultranazionalisti messianici (Ben-Gvir e Smotrich) che puntano all’annessione di tutti i Territori, e quelli dei Haredim (gli ultraortodossi di Shas e United Torah), che hanno un unico obiettivo: spillare il massimo dallo Stato, qualunque sia il governo, visto che vivono di sussidi. È un tavolo a tre gambe, ma sta in piedi. Oltretutto, molti di questi sono talmente incapaci che non hanno una collocazione sul mercato civile, quindi chi li stacca da dove sono?
L’opposizione?
Ci sono figure interessanti, che adesso però non sono in Parlamento. C’è Naftali Bennett, che è stato premier per un breve periodo nel 21-22 e che potrebbe avere un buon risultato elettorale (nei sondaggi è attestato a 23 seggi), arrivando a guidare l’opposizione. E c’è l’ex capo di Stato maggiore Gadi Eisenkot, che in questa guerra ha perso un figlio, Gal Meir, di 25 anni, e due nipoti. Eisenkot ha fatto parte della formazione centrista Unità Nazionale di Benny Gantz, ma a giugno si è dissociato e ha espresso la volontà di correre con una lista indipendente, o di aggregarsi a Bennett. Credo raccoglierebbe molti consensi (le stime parlano di 8 seggi). Quanto a Gantz, anche lui ex ramatkal, è una brava persona, dice cose giuste, ma non è riuscito a gestire politicamente il capitale di 40 seggi che aveva tre anni fa nei sondaggi, ed è sceso a 4.
Quando nel 2021 Bennett aveva disarcionato Netanyahu, creando una maggioranza di governo molto ampia, per la prima volta nella storia di Israele un partito arabo era entrato in coalizione. Adesso, facendo i conti in base ai sondaggi, il voto degli arabi potrebbe non essere dirimente, ma insieme portano, pur sempre, dieci deputati. La guerra a Gaza può aver modificato la loro inclinazione?
Intanto mi faccia sottolineare che nel “Paese dell’Apartheid” sono attivi politicamente, e fortemente in competizione gli uni con gli altri, ben tre partititi arabi. Due sono entrati in Parlamento: Ra’am di Mansour Abbas, che riconosce apertamente la realtà inamovibile dello Stato israeliano e vuole rappresentare gli interessi del suo elettorato all’interno del sistema; e Hadas-Ta’al, che in realtà è una coalizione di altri piccoli “sottopartiti” e che, sempre riconoscendo l’appartenenza allo Stato di Israele, ha una sola linea: essere all’opposizione di chiunque formi un esecutivo. Poi c’è Ballad, che significa “Patria” e che, sorpresa!, esprime le istanze del nazionalismo palestinese radicale. Nega l’esistenza dello Stato di Israele. C’è stato un tentativo di metterlo fuori legge, ma la Corte Suprema ne ha dichiarato la legittimità democratica. Quindi, ha concorso alle elezioni del 2022: non ha superato la soglia di sbarramento del 3,25%, ma continua ad avere agibilità politica sulla scena pubblica israeliana. In ogni caso, per rispondere alla domanda, no: non credo che il conflitto abbia spostato le liste arabe dalle loro posizioni.
Avigdor Lieberman è il leader di Israel Beitenu. Era stato lui, a lungo il ministro più fidato di Netanyahu, a dare inizio alla lunga catena di elezioni, nel 2019, sfidando Bibi sul tema della leva dei Haredim ed uscendo dal governo. Come si posizionerebbe oggi?
Lieberman ha un’interessante linea trasversale: è molto nazionalista e, insieme, molto liberale sulle questioni che riguardano i diritti civili. Pur essendo decisamente di destra, si è espresso a favore di uno “scambio” di territori con i palestinesi e quindi, implicitamente, della nascita di due entità politiche. Oggi fa chiaramente parte di una maggioranza anti-Netanyahu.
A giugno il governo ha rischiato di cadere proprio sulla questione dell’esenzione della leva degli ortodossi. Può succedere di nuovo?
Sì. I Haredim pretendono una legge di esenzione totale dal servizio militare, il resto della popolazione trova la cosa assolutamente immorale, il governo, per stare in piedi, deve concederla. Due mesi fa, gli ultraortodossi di Shas, che non stavano ottenendo garanzie sulle loro richieste, hanno fatto una manovra “creativa”, dimettendosi dall’esecutivo ma non dalla coalizione. Gli altri ultraortodossi di United Torah sono proprio usciti dal governo, sottraendo i loro 7 seggi. Ma poiché l’anno scorso Gideon Sa’ar aveva lasciato l’opposizione portando al governo i suoi 4 deputati, e diventando ministro degli Esteri, Netanyahu, è rimasto in piedi con una maggioranza di 61 seggi. E ci rimarrà. L’attuale Parlamento è in ferie fino all’ottobre del 2025, quando riaprirà con l’imperativo categorico di avere una legge sulla coscrizione dei Haredim. Ma se anche il governo dovesse cadere, il calendario elettorale gioca a favore di Bibi: si dichiareranno nuove elezioni, per organizzarle si arriverà a febbraio- marzo, poi ci saranno le consultazioni. Ci ritroveremo a giugno del 2026. La scadenza naturale della legislatura è a ottobre: Netanyahu riuscirà praticamente a completare il suo mandato. Nonostante una totale débâcle politica internazionale, nonostante il collasso strategico in cui ha precipitato Israele, e con tutti i risvolti pesantissimi, tragici, fuori e dentro il Paese, che abbiamo considerato e che probabilmente ci attendono.

Brevi bio dei personaggi principali
YAIR GOLAN Nato nel 1962 a Rishon LeZion, è un generale della riserva. Nel 2024 è stato leader del Labour. Nel 2024 si è accordato con il partito di sinistra Meretz per creare la nuova formazione I Democratici
YAIR LAPID Nato a Tel Aviv nel 1963, guida il partito centrista Yesh Atid Ex giornalista e conduttore Tv, è leader del dell’opposizione dal gennaio 2023 È stato premier ad interim da giugno a dicembre 2022
BENNY GANTZ Nato nel 1959 a Kfar Ahim, è stato Capo di stato maggiore delle Idf dal 2011 al 2015 Ha fondato i partiti centristi Blu e Bianco e Unità Nazionale Nel 2020 è entrato in un governo di unità nazionale con il Likud, ma ne è poi uscito
GADI EISENKOT Nato nel 1960 a Tiberiade, è stato Capo di stato maggiore delle Idf dal 2015 al 2019 Entrato in politica, nel 2022, ha aderito al partito centrista Unità Nazionale. L’ha lasciato e pensa a un suo gruppo
NAFTALI BENNETT Nato a Haifa nel 1972, è stato premier nel 2021-2022. Prima di entrare in politica, è stato militare e imprenditore. Ha da poco registrato un nuovo partito di centro-destra, laico e pragmatico: “Bennett 2026”
AVIGDOR LIEBERMAN Nato nel 1958 a Chisinau, in Moldavia, guida il partito di destra Yisrael Beitenu, la cui base, all’inizio, erano gli immigrati provenienti dall’ex Urss. È nazionalista in politica estera, ma laico e liberale
BEZALEL SMOTRICH Nato nel 1980 a Haspin (Alture del Golan), è leader del partito messianico di estrema destra SionismoReligioso, pro-colonie e contro uno Stato palestinese Vive nell’insediamento di Kedumim (Cisgiordania)
ITAMAR BEN-GVIR Nato a Gerusalemme nel 1976, è leader del partito messianico di estrema destra, ultranazionalista, Potere Ebraico, ed è ministro della Sicurezza nazionale Vive a Kiryat Arba, un insediamento vicino a Hebron (Cisgiordania)
BENJAMIN NETANYAHU Nato a Tel Aviv nel 1949 da genitori ebrei laici, è primo ministro di Israele dal dicembre 2022, e precedentemente lo è stato dal 2009 al 2021 e tra il 1996 e il 1999. Leader del partito conservatore Likud, è il premier più longevo nella storia di Israele: più di 17 anni al governo del Paes