Avvenire, 9 agosto 2025
Quando il calci osi fa letteratura
C’è stato un tempo, anche dopo che Gianni Brera (1919-1992) è volato nel mondo dei più, in cui il giornalismo sportivo, area storie di cuoio, ha avuto dei degnissimi interpreti. Franco Bonera e Alberto Cerruti, ne sono due esempi magistrali, in cui la passione, la competenza e la buona scrittura, partendo dal lavoro al quotidiano, alla “Gazzetta dello Sport” che li ha lanciati e resi firme note al grande pubblico dei lettori, hanno nobilitato quella che in pochi, come loro, qui da noi tengono ancora faticosamente in vita: la letteratura sportiva. I due “gemelli del gol” di piazza Cavour e poi di via Solferino (sedi storiche della Gazzetta), classe 1951 Bonera, 1952 Cerruti, giunti al termine della loro prima vita redazionale ora si raccontano in due memoir a specchio, entrambi editi da Ultra Sport. Bonora in Pezzi di colore. I campioni e le grandi firme degli anni Settanta nei racconti di un giornalista cresciuto con loro (pagine 267, euro 18,50), mentre Cerruti lo fa con Dal vostro inviato. Mezzo secolo in rosa con i grandi del calcio (pagine 149, euro 15,00). Due talenti entrati a far parte della grande scuola della Rosea da under 25 pretondelliani. Bonera, il 26 agosto 1970, previa profezia della sua maestra elementare fece il suo debutto in redazione non ancora maggiorenne: «A 19 anni, cinque mesi e un giorno mi presentai alla porta della Gazzetta dello Sport, al quarto piano di un imponente edificio di piazza Cavour 2 che fin dai tempi del fascismo veniva chiamato Palazzo dei Giornali». L’enfant prodige Bonera, che promise lacrime e sangue per la Gazzetta, rinunciando anche all’università (bugia per il quieto vivere, poi si sarebbe laureato in Scienze Politiche con una tesi su Indro Montanelli) entrò di diritto nel mitico stanzone del calcio dove ad accoglierlo c’erano quei maestri del giornalismo sportivo degli anni ’70: i cinquantenni Angelo Rovelli e Franco Mentana senior (papà di Enrico, che firma la prefazione di Pezzi di colore), l’indecifrabile Garavaglia e i due quarantenni Mino Mulinacci e Giorgio Contarini. Lì dentro si aggirava anche il sulfureo Maurizio Mosca, ma il suo maestro di “pezzi di colore” era «un ospite saltuario dello stanzone del calcio che rappresentava il mio ideale di giornalista della Gazzetta, Gianni Mura». Il colorismo di Mura ha ispirato Bonera, che diede il benvenuto a Cerruti, il quale a 22 anni, coronava il suo sogno di ragazzo «disposto a lavorare gratis senza chiedere nulla». Il 2 maggio 1974 firma il suo primo contratto da praticante retribuito (157.419 lire per i primi tre mesi di lavoro). Il ’74 è l’anno dello scudetto della Lazio di Chinaglia e Maestrelli e anche quello dei Mondiali di Germania e grazie all’assenza del “gemello” Bonera, inviato a Stoccarda al seguito dei tifosi italiani che andavano ad assistere alla gara contro l’Argentina (pezzi rigorosamente di colore) Cerruti riesce a piazzare la sua firma per una intervista al neomilanista Egidio Calloni. “Lo sciagurato Egidio” coniato dalla mente epigona di mastro Brera (grande falso storico, nel suo primo campionato al Milan Calloni segnò 11 gol in 26 partite, quanti ne realizzò il Pallone d’Oro George Weah al debutto in rossonero nel campionato 1995-‘96) segna l’inizio ufficiale della carriera del giovane Cerruti che ben presto diventerà inviato di punta al seguito della carovana Azzurra, a cominciare dal Mundial ’82 vinto dall’Italia di Enzo Bearzot. Il Milan di Rivera intanto aveva chiuso le porte di Milanello a Bonera, reo di aver pubblicato un pezzobomba in cui il Golden Boy dall’alto ormai della sua diecitudine e prossimo alla seconda vita da dirigente, si era lasciato andare a critiche al vetriolo contro il sistema. Con la complicità del direttore Gino Palumbo, l’ostracismo di Bonera poi si risolse con un’intervista meno esplosiva, ma comunque colorata. Al cromatismo di Bonera, che poi dopo l’addio alla Gazzetta (con ritorno per la fondazione di “Sport Week”) ha fatto anche le fortune dei rotocalchi che ha diretto, Cerruti opponeva la predisposizione al ritratto del calciatore e al racconto emozionale. Valga per tutti i ritratti editi e inediti quel Tardelli cameriere e promessa del Pisa che gli versa una tazza di tè addosso e poi se lo ritrova in Spagna campione del mondo con l’urlo alla Munch dopo il gol alla Germania. Cerruti è anche un segugio della notizia e ottimo uomo di relazioni. Grazie alla fiducia guadagnatasi con “El Caudillo” Daniel Passarella, capitano dell’Argentina intervistato dopo il suo passaggio alla Fiorentina, Cerruti riuscirà ad arrivare a Diego Armando Maradona: lo raggiungerà a Barcellona dove gli rilascerà «la prima intervista dopo i due mesi di isolamento per l’epatite virale». Quando il 5 luglio 1984 Maradona si presenterà al San Paolo per diventare il re di Napoli Cerruti è già uno dei pochi giornalisti di fiducia de El Pibe de oro che ricambierà la sua professionalità prestandosi al gioco, ormai dimenticato, del campione che risponde alle telefonate dei lettori. Bonera e Cerruti sono due testimoni diretti di uno sport che era sicuramente più umano e di un calcio ancora di poesia, perché animato da uomini e non da aziende che vanno in campo.
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