Avvenire, 7 agosto 2025
Il blu che colorò il Fuji
«Un’aria trasparente, un cielo senza nubi, un mare che vira dal blu all’indaco al vinaccia cupo al nero». Così scrive lo storico Paul Faure riferendosi al mare visto dai greci al tempo della guerra di Troia, nel 1.300 a. C. Ma non ha cambiato colore da allora. Non ha cambiato colori, visto che può assumerli tutti. «Il mare canuto», dice Omero nel libro XII dell’Iliade, ma non solo là. E non manca mai di fare effetto: gli epiteti che chiamiamo esornativi, così ricorrenti, colgono nel segno come detti per la prima volta, rinnovati nel flusso delle parole contigue: le «concave navi» e «Itaca ventosa», «Ulisse ingegnoso». Altrove il mare è viola o «colore del vino», l’espressione che più colpisce. Vale a dire, secondo l’ipotesi più plausibile, tendente al nero o nero del tutto. La singolarità per noi è che un nome per dire “blu” non c’era fra i greci di allora. Ciò significa che il blu era percepito diversamente, come accentuazione del celeste o dell’azzurro, colori usati in ogni caso più per gli occhi delle dee che per l’aspetto del mare. Nel poema della guerra il suo aspetto dovrà perlopiù contribuire allo spavento. I greci del tempo di Omero – cinque secoli più tardi della guerra di Troia – del mare avevano un’esperienza millenaria e molte ragioni per temerlo. Per questo navigavano a vista di costa, se possibile, e da maggio a ottobre come tutti gli altri popoli del mediterraneo. Che il mare sia anche verde e quasi di ogni altro colore – per esempio turchese: azzurro per certi occhi, verde per altri – questo accade piuttosto fuori che dentro i poemi antichi, che fra l’altro amano più la ripetizione che la variazione. Del «mare canuto» si parla nella seconda similitudine che nel XII libro sceglie la neve per soggetto. E il diffidente lettore si insospettisce: aveva appena letto l’ennesima comparazione con leoni e cinghiali, chiedendosi se non fossero una trascuratezza, quelle ripetizioni (le nostre orecchie schizzinose amano più la variazione). E ora si imbatte in quella neve duplicata: «Come le falde di neve cadono fitte...». Continuando a leggere – nella versione di Rosa Calzecchi Onesti – si ricrede: «... i venti addormenta, e versa e versa, fino che copre/ le cime dei monti alti e i picchi elevati/ e le pianure erbose e i grassi arati degli uomini...». Pensa che l’osservazione secondo cui anche Omero sonnecchi sia vera e comprensibile, ma si sveglia dopo due versi. I fiocchi cadono, bianco su bianco, sulla schiuma delle onde che lambiscono la spiaggia: «Perfino in riva del mare canuto cadon le falde, sui golfi e le punte,/ e l’onda dove lambisce le ferma”. Il mare è bianco dunque per la schiuma delle onde. Se lo è molto, vuol dire che sono tante e alte e quel mare è meglio vederlo da lontano. Spaventa quando è troppo bianco, difatti, e molto scuro. E nero è quando si avvicina la notte. Se la pittura di paesaggio esistesse ancora avrebbe fatto un passo più in là di Cézanne, che ritrae il Mont Sanct-Victoire di tutti i colori esistenti senza uscire dalla verosimiglianza. Lo ritrae quasi tante volte quante Rembrandt ritrae se stesso, catturato dal profilo, mutevole anche quello, dalle linee e pieghe intermedie, e con l’intento inconsapevole di esaurirne i colori. Impresa impossibile e ammirevole. Pochi minuti più tardi saranno cambiati. Quello che in un pittore moderno e occidentale chiamiamo ossessione – le ninfee di Monet, il giardino d’acqua inesauribile dei suoi ultimi anni – diventa qualcos’altro nei pittori giapponesi che attrassero gli impressionisti. Se il monte Fuji è ritratto molte più volte che le note “Trentasei”, sia da Hokusai sia da Hiroshige, le ragioni eminentemente pratiche intrattenimento del destinatario, commercio, turismo – sfumano l’ossessione fino a farla sparire. A volte spicca sullo sfondo, il Fuji, e a volte quasi non c’è. A volte occupa l’intera scena. Assume colori diversi ma tendenti all’uniforme, salvo la punta quasi sempre bianca. Un monte dipinto è color terra, tendenzialmente, o verde scuro? Ma anche grigio o giallino, tutto bianco, rosso scuro... E un monte boscoso in autunno? Le montagne cambiano aspetto come il mare omerico, secondo la luce e le ombre, gli occhi, l’immaginazione e il desiderio dei pittori. E quando scoprirono il blu di Prussia – da poco inventato chimicamente a Berlino -, che innamorò Hiroshige e sconvolse la pittura nipponica, il Fuji si ricoprì, molte volte, del solo colore che gli mancava.