Avvenire, 7 agosto 2025
Il 5 maggio del 1941 alla Sapienza di Roma scoppiò un Sessantotto
Il 5 maggio del 1941 alla Sapienza di Roma scoppiò un Sessantotto. No, non un Quarantotto, avete letto bene, si trattò proprio di una protesta studentesca che ricorda – in proporzioni numeriche minori, ma con una dose di coraggio notevole – quella che avrebbe fatto tremare il sistema quasi trent’anni dopo. A riportare i fatti è un fascicolo dell’archivio storico dell’ateneo, significativamente intitolato “Manifestazioni per il 18”, dove 18 non sta per una data, tantomeno per un anno dell’era fascista, bensì per il celebre “18 politico” agli esami, cavallo di battaglia dei movimenti studenteschi successivi. Quel giorno il Guf (Gruppo universitario fascista) aveva organizzato una celebrazione del “maggio radioso” del 1915, che vide irrompere i goliardi che nell’istituto di Chimica, in quello di Matematica e nella Facoltà di Lettere lanciarono slogan per il 18 politico, lasciarono scritte sui muri, vennero alle mani con il personale e danneggiarono le strutture, infine si impadronirono di una bandiera dell’Università e la portarono in corteo fino a piazza Venezia. In parecchi furono arrestati. Si giustificarono – riporta una relazione al Senato accademico del 25 settembre – sostenendo che agitare quel vessillo era un segno di fedeltà al regime contro quegli studenti che si erano resi colpevoli della protesta e di un ulteriore affronto: un lancio di strisce di carta «ingiuriose» verso Mussolini e contenenti slogan tipicamente goliardici. Ma anche con esplicite prese di posizione politiche come “Abbasso il Duce”, “No alla guerra”, “Viva la pace”, “Abbasso la Germania”. Alla fine tra studenti e operai antifascisti gli arrestati furono 42, tra i quali Antonio Giolitti, Franco Lucentini, Romualdo Chiesa e Rosario Bentivegna, il gappista futuro attentatore di Via Rasella. Per via della presenza del nipote dell’eminente politico liberale furono graziati. Ma la manifestazione ebbe risonanza anche fuori dai confini. Radio Londra parlò di «una rivolta della gioventù studentesca italiana, la prima, contro l’alleanza dell’Italia con Hitler». L’episodio – una delle poche azioni antifasciste di cui rimane traccia, tra quelle portate avanti nell’Ateneo inaugurato nel 1935 da Mussolini – è riportato nel saggio di Giulia Campanelli su fascismo, Resistenza e università nell’archivio della Sapienza, contenuto nel volume collettaneo «Ringraziando fascisticamente». Cronache di ordinaria quotidianità nelle carte d’archivio delle Università del Ventennio, curato da Daniela Novarese ed Enza Pelleriti (il Mulino, pagine 442, euro 44,00). Il volume, inserito nella collana del Cisui (Centro interuniversitario per la storia delle università italiane), riprende e sviluppa suggestioni emerse in un convegno tenutosi a Potenza nel 2022 su “Fascismo e periferie. Poteri locali e strategie di governo”. In particolare il volume si vuole confrontare con il “rovesciamento di paradigma” dal centralismo al policentrismo proposto da Guido Melis, uno dei maggiori conoscitori dell’amministrazione dello Stato fascista (suo il libro La macchina imperfetta, il Mulino, 2018). Ciò significa far emergere – scrive nella prefazione Gian Paolo Brizzi, presidente del Comitato scientifico del Cisui – «da un’Italia che il potere centrale volle rappresentata in modo monocorde» quante fossero «le sfumature del colore nero delle camicie indossate in ogni occasione pubblica sia dagli studenti, sia dai rettori delle università».
Sono una trentina i contributi al volume che spaziano dall’educazione militare, alla “mobilitazione” della gioventù attraverso i Guf, alle vicende – analizzate ponendo la lente su atenei di tutta la penisola fino alle colonie – di alcune discipline tradizionali come quelle economiche, giurisprudenziali, scientifiche (la chimica) letterarie (il latino) e di altre create sotto il regime come Sconeze politiche e Architettura. Fino ad aspetti come la retorica usata nei discorsi inaugurali dei rettori, i metodi attraverso i quali venivano insinuate nelle menti le teorie razziste o con cui venivano indirizzate in senso fascista le tesi di laurea. Tutto analizzato attraverso le carte d’archivio, il cui scavo è il punto di forza del volume. Da esso emergono documenti come quello rinvenuto a Messina e citato nell’Introduzione di Novarese, docente proprio in quell’Ateneo, che ha promosso questo progetto di studi: una circolare del ministro Francesco Ercole a tutti i rettori d’Italia, in cui su sollecitazione dell’ufficio stampa del Capo del governo, si lamentava come stessero nascendo degli enti foto e cinematografici autonomi svincolati dal controllo autorizzativo del regime. Un segno che «certamente l’amministrazione universitaria (come altre) non sempre fu sollecita nell’aderire alle indicazioni ministeriali, mostrando, anche all’interno di un regime dittatoriale, un disallineamento tra norma e prassi», scrive Novarese. Insomma, guardando nella vita concreta, le aule e le istituzioni universitarie furono tutt’altro che un monolite, anche se spesso viene ricordato che i docenti a non giurare fedeltà a fascismo furono solo dodici.
Dai saggi emerge anche il mutamento nell’atteggiamento dei giovani – quelli che secondo la celebre definizione di Ruggero Zangrandi, hanno compiuto un “lungo viaggio attraverso il fascismo” – plasticamente rappresentato dal passaggio dal deferente saluto fascista che dà il titolo al volume – rivolto in due lettere di studenti messinesi al rettore e al Duce – a un anodino «con deferenti saluti» nella Sicilia ormai in mano alleata. Il focus della raccolta sono gli studenti, che vennero sempre più inquadrati nei Guf, ma in molti alla fine aderirono, come si è visto, alla Resistenza, a riprova di quanto fu detto in seguito su quelle organizzazioni come “palestra di antifascismo”. Certo, la situazione fu a macchia di leopardo, per motivi territoriali e per la presenza non di un solo fascismo, bensì di molti fascismi. Ma da questo carotaggio, che promette ulteriori sviluppi, nota nelle conclusioni Antonella Meniconi (La Sapienza), emerge tutta la «discrepanza tra le aspirazioni totalizzanti del regime e la quotidianità accademica, non sempre rispettosa dei diktat del Ministero filtrati pedissequamente dai rettori».