repubblica.it, 30 luglio 2025
Jude Law: “Invecchiare non mi spaventa, anzi. Basta fare il ‘bello’, arriveranno ruoli più intensi”
a debuttato in teatro a 5 anni, in tivù a 17, a 27 ha ottenuto la prima candidatura agli Oscar (per Il talento di Mr. Ripley) e a 32 è stato eletto “Uomo più sexy del mondo” da People. Jude Law, attore inglese caratterista per natura, ammette che un po’ si è avvantaggiato e un po’ si è scontrato con questo aspetto fisico che lo ha incasellato subito nella categoria dell’attore da poster o del “ragazzo dei sogni”. Grazie anche a film come L’amore non va in vacanza, Ritorno a Cold Mountain e Closer, in cui faceva capitolare Natalie Portman e Julia Roberts.
Un successo che oggi – a 52 anni, 70 film e serie e 7 figli – guarda con un misto di orgoglio e nostalgia: “Ora che i capelli se ne stanno andando e che quelli che ho ancora in testa diventano grigi, posso dire che è stata al tempo stesso una benedizione e una maledizione. Di certo non ho scelto io di interpretare il ‘bello’, ma non posso negare che parecchi ruoli mi siano stati offerti proprio grazie al mio aspetto. E mi è andata bene così. Però come attore mi sento più realizzato adesso e credo che il futuro mi porterà ruoli ancora più intensi. Invecchiare non mi spaventa, anzi. È vero però che sulle mie colleghe attrici la pressione è più forte, per loro ancora oggi è difficile lavorare dopo una certa età. Fino a non molto tempo fa veniva dato per scontato che un protagonista maschio ultra 60enne potesse avere al fianco una fidanzata 20enne. Una disparità di trattamento che non mi è mai piaciuta, ma di cui sono sempre stato consapevole”.
David Jude Heyworth Law, classe 1972, figlio di due insegnanti che gli diedero quel secondo nome (che poi ne ha fatto la storia) ispirati da Hey Jude dei Beatles, è appena tornato al cinema con L’ultima regina – Firebrand, del regista Karim Aïnouz, in cui è Enrico VIII. Un marito brutale (nella parte della moglie, Caterina Parr, c’è Alicia Vikander) e un despota ubriaco, obeso e in via di putrefazione. Letteralmente, perché il sovrano era affetto da piaghe maleodoranti, ruolo talmente impegnativo che, ammette, ci è voluto tanto a uscirne. All’ultimo festival di Venezia, invece, era arrivato in concorso con The Order (ora in streaming su Prime Video), che ha interpretato e prodotto. Mentre in primavera è apparso (sdentato) in Eden di Ron Howard, con una scena di nudo full-frontal da lui commentata così: “Sfidante”. Dopo Star Wars: Skeleton Crew su Disney+, tornerà il 13 settembre in un’altra serie, stavolta targata Netflix, Black Rabbit, di cui è coprotagonista e produttore, con Jason Bateman, storia di due fratelli che si rincontrano a New York. Uno pronto a rovinare la vita all’altro, proprietario di un ristorante di successo. Ci sono tutte le premesse perché diventi un binge-watching, con due rivali così.
Torniamo a Enrico VIII. Per lei, attore inglese, è stato un onore o una sfida interpretare un personaggio così?
“In realtà il regista era più interessato a raccontare l’uomo e non il sovrano. Il film ha al centro la sua relazione con l’unica moglie riuscita a sopravvivergli, una vera storia di violenza domestica. Ho letto una trentina di libri sul monarca per prepararmi e, alla fine, i fatti storici che vengono riportati sono sempre gli stessi. È stato piuttosto scioccante prendere atto che tutti sappiamo chi è stato questo brutale re e assassino, mentre non conosciamo quasi nulla di quest’ultima moglie che gli è stata accanto. E che non ha fatto uccidere”.
Nel film è quasi irriconoscibile, come ha fatto considerato che ha raccontato di non amare trucchi e protesi?
“È vero, faccio il possibile per non usarli. Mi sono fatto crescere la barba, ho modificato l’attaccatura dei capelli. Non potendo però ingrassare tutti quei chili nel giro di qualche mese, abbiamo utilizzato tute e costumi per imbolsire il corpo. Mentre mi sono abbuffato di pasta e gelati quanto bastava per riuscire a gonfiare la faccia. Però la cosa a cui tenevo di più era riuscire a rendere lo stato mentale di Enrico VIII. Ho parlato con i medici per capire che cosa significhi avere ulcere purulente come le sue e mi hanno spiegato che il dolore è insopportabile. Come sia sopravvissuto per dieci anni senza veri antidolorifici e anestetici è inspiegabile. Per quello beveva tantissimo. Parliamo di un uomo folle di suo, cresciuto sentendosi dire di essere secondo solo a Dio, reso ancora più instabile dall’alcolismo”.
Com’è cambiato il suo approccio a questo mestiere da quando abbiamo imparato a conoscerla, ovvero dai suoi vent’anni?
“Amo recitare per non essere me stesso, avere l’opportunità di incarnare altre personalità e perdermi in loro. Anche se i primi tempi, posso essere onesto, volevo solo lavorare: “Mi pagate? Accetto”. Non è che mi domandassi più di tanto se fosse un ruolo buono o meno. Poi, ho cominciato a voler dimostrare il mio valore, mentre gran parte dell’attenzione che ricevevo era legata al fatto che ero un bel ragazzo. Ma sapevo che una bella faccia non bastava per durare a lungo. In questo ambiente tutti attraversiamo alti e bassi”.
C’è stato un momento particolarmente difficile?
“Alfie: era costato molto ed era andato male. Quello stop, dopo una serie di film di successo, è stato come un risveglio. Ho capito che le cose non vanno sempre lisce. Col passare degli anni, poi, ti rendi anche conto che ci sono un sacco di altri attori più giovani e altrettanto bravi, pronti a emergere. Ancora oggi mi capita di pensare che la mia carriera potrebbe finire all’improvviso. Forse anche per questo mi sto dando più da fare come produttore: invece di limitarmi ad aspettare sul divano che arrivi la proposta giusta, preferisco crearmi da solo le opportunità che cerco”.
Ormai sui set si lavora con un intimacy coordinator. Rimpiange il fatto che quando era più giovane una figura del genere non esisteva?
“Di certo ti fa sentire più a tuo agio, in qualche modo al sicuro. Preparare una scena di sesso è come studiare la coreografia per una lotta. L’obiettivo è essere credibili, senza che nessuno si faccia male. In L’ultima regina ci sono momenti di intimità anche molto violenti. È stato difficile per me girare quelle scene e sì, è stato d’aiuto avere un professionista a guidarci”.