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 2025  luglio 30 Mercoledì calendario

Kamchatka, la penisola di fuoco usata come rampa di lancio da Stalin nel 1945

Una penisola grande quasi come l’Italia, con una popolazione di appena 300 mila abitanti. Una gelida regione subartica, parzialmente sotto la neve da ottobre a maggio. Una terra costellata da 160 vulcani, un quinto dei quali ancora in attività. Un paradiso terrestre per la fauna, con una delle maggiori presenze di orsi bruni nel pianeta. Un inferno da cui era quasi impossibile scappare, per i detenuti rinchiusi nelle sue prigioni a cielo aperto. E un epicentro di spaventosi megasismi e tsunami.
Questa è la Kamchatka, il territorio dell’Estremo Oriente russo colpito stamani da un terremoto di 8,8 gradi che ha scatenato onde alte 5 metri nell’oceano Pacifico dalle coste del Giappone alle isole Hawaii. Una delle aree più selvagge e più segrete della Russia: usata come rampa di lancio da Stalin nell’agosto 1945 per l’invasione dell’arcipelago giapponese delle Kurili, dopo la Seconda guerra mondiale fu dichiarata da Mosca “zona militare” e rimase chiusa ai cittadini sovietici fino al 1989 e agli stranieri fino al 1990, alla vigilia del crollo dell’Urss. Adesso ci arriva qualche avventuroso turista, attirato dagli sport invernali.
Confino per i dissidenti
Per la remota posizione geografica e il clima rigido, durante il millennio del regno degli zar la Kamchatka resta a lungo inesplorata: la prima spedizione russa che la raggiunge a cavallo e in carrozza è del 1639. Missioni successive si scontrano con i Coriacchi, un minuscolo gruppo etnico asiatico stabilitosi da secoli nella Siberia nord-orientale (oggi ne sopravvivono circa 10 mila). Soltanto nel 1713 Pietro il Grande apre una rotta navale verso la Kamtchatka. Tra ammutinamenti, ribellioni e assassinii, bisogna aspettare il 1756 affinché le insurrezioni degli indigeni nativi cessino del tutto. Nell’Ottocento le autorità russe cominciano a utilizzare questa vasta area come luogo di confino per i dissidenti: ne fornisce una testimonianza nelle sue memorie il conte di Beniowski, un ribelle slovacco. Più tardi Anton Cechov racconta con orrore in un libro di viaggio la realtà dei campi di prigionia nella vicina isola di Sakhalin: penitenziari senza recinzioni o pareti, perché evadere significa andare incontro a morte quasi certa per fame e freddo, una caratteristica che sarà mantenuta dal Gulag dell’era comunista. Anche se il conte slovacco riuscì miracolosamente a scappare.
Strade di ghiaia e sterrato
Nel 1867, la Russia vende l’Alaska agli Stati Uniti per la modica somma di 7 milioni di dollari (l’equivalente di 120 milioni odierni), ritenendola priva di valore, senza immaginare che pochi anni dopo gli Usa vi avrebbero scoperto miniere d’oro e giacimenti di petrolio: di conseguenza la Kamchatka perde d’importanza come porto di passaggio per il continente nord-americano e il suo sviluppo di arresta. Lo testimonia tuttora il fatto che il suo capoluogo, Petropavlosk, fondato nel 1740 dal navigatore Vitus Bering (che diede il suo nome allo stretto braccio di mare fra Russia e America), non è raggiungibile via terra al di fuori della Kamchatka, un primato condiviso soltanto con la città di Iquitos nel Perù: dal resto della Russia vi si arriva esclusivamente in battello o in aereo. Petropavlosk, dove vive metà della popolazione della regione, e gli insediamenti nella parte centrale della Kamchatka sono collegati da un’autostrada, il cui manto è tuttavia asfaltato solo nella parte meridionale e in prossimità dei centri abitati: la parte settentrionale è ricoperta solamente di ghiaia. Le altre strade della penisola, che non sono molte, sono per lo più sterrate e percorribili soltanto in jeep o suv.
La “penisola di fuoco”
Nonostante la tundra artica e una temperatura che in inverno varia tra -5 e -10 al sud, -12 e -20 al nord, in Kamchatka non mancano praterie erbose e foreste di pini e betulle, dove prospera una ricca fauna: oltre agli orsi (ce ne sono 4 ogni 100 chilometri quadrati), anche lupi, volpi polari, linci, ermellini, pecore delle nevi, renne, alci, aquile e falchi. I suoi fiumi ospitano la più grande diversità di specie di salmoni al mondo. Il suo mare è popolato di orche, balene, foche e trichechi. Ma la caratteristica per la quale è diventata un patrimonio dell’Unesco sono i vulcani, tra cui il Kljucevskaja Sopka, a 4750 metri il più grande in attività dell’emisfero boreale, e il Kronockij, con il suo cono perfetto considerato dai vulcanologi “il più bello del mondo”, che le hanno procurato il soprannome di “penisola di fuoco”. È anche la penisola dei terremoti e degli tsunami: a causa della vicina fossa delle Kurili, fra le più profonde del mondo con i suoi 10500 metri di dislivello, la Kamchatka è spesso vittima di megasismi. Quello odierno è il secondo più forte mai registrato nella regione, dopo i 9,3 gradi del terremoto del 1737.