la Repubblica, 30 luglio 2025
Vita da Astrologo: “Io tra Harry Potter e i miei girotondi”
È la voce dei primi due volumi della saga Harry Potter, il longseller mondiale di J.K. Rowling: almeno tre milioni di persone, ed è una stima al ribasso (l’intera serie nel nostro Paese ha venduto undici milioni di copie), hanno scoperto la storia del maghetto nella sua traduzione. Ma Marina Astrologo è anche interprete: da trent’anni, sui palchi dei più importanti festival italiani, accompagna i grandi della letteratura e della saggistica mondiale. Gli studi in Filosofia a Roma, mai terminati, l’incontro con l’inglese da ragazzina attraverso le canzoni dei Beatles: il primo agosto Astrologo compie 70 anni mentre Harry Potter e la pietra filosofale,il primo romanzo della saga, torna di nuovo nella top ten della classifica dei ragazzi. Dalla Puglia, dove sta passando qualche giorno di riposo, ripercorre la sua storia, seduta sotto a una pergola di uva pizzutella, e racconta i suoi incontri decisivi con David Grossman, Zygmunt Bauman, Ian McEwan e tanti altri e altre. Ma anche la sua esperienza più politica, dare vita nel 2002 al movimento dei Girotondi.
Astrologo, da traduttrice qual è il libro che le è rimasto più nel cuore?
«Forse potrei dire quelli che mi hanno fatto più tremare: sicuramente il primo Bauman che ho tradotto. È un ricordo che non mi ha mai lasciato».
Lo ha conosciuto?
«Bene. Dopo David Grossman è l’autore che ho interpretato di più in pubblico. Per me è un’icona della cultura europea. E un grande gentiluomo».
Ci racconti.
«Faceva il baciamano senza la minima affettazione. Trattava tutti con la stessa, squisita cortesia. Gli ho visto fare delle cose incredibili: un giorno all’Auditorium di Roma era sul palco, un palco molto alto. Per mettersi allo stesso livello di chi gli chiedeva un autografo o una stretta di mano, si è addirittura sdraiato: aveva già più di ottant’anni!».
Parlava di Grossman.
«Il primo incontro a Milano, tantissimi anni fa, e la gioia di continuare a tradurlo in pubblico, l’ultima volta a giugno a Roma. Si è davvero creato un rapporto di fiducia con lui e l’editore italiano».
Aneddoti? Ricordi?
«Uno molto buffo. Stavamo andando all’Aquila dopo il terremoto. Viaggiavamo insieme sul sedile posteriore di una macchina. David si era appisolato. Solo che a un certo punto si è addormentato pure il nostro autista e siamo finiti fuori strada: dopo abbiamo scoperto che aveva passato una notte insonne per pene d’amore. Però non vorrei parlare solo di grandissimi autori uomini».
Autrici?
«Ho interpretato una volta Toni Morrison e più volte Margaret Atwood… due monumenti! Ma tra le molte, l’autrice alla quale sono più legata è forse Suad Amiry, un’architetta palestinese che hascoperto una straordinaria vocazione di scrittrice umoristica e memorialistica».
J.K. Rowling?
«Mai incontrata. Tradurre i primi due volumi è stata un’esperienza interessante. Poi dal terzo, quando Rowling ha deciso che tutte le traduzioni dovevano uscire in contemporanea in tutto il mondo, ogni libro è diventato un lavoro a più mani: che hanno fatto, benissimo, altri».
Ian McEwan?
«La prima volta a Roma, moltissimi anni fa: mi trovai di fronte questo giovanotto magro e occhialuto tutto vestito di nero. L’ultima volta l’ho visto a Mantova. Credo sia l’autore al quale ho visto fare la trasformazione più radicale: èdiventato un bel gentiluomo settantenne inglese con magnifici cappelli a falda, gran conoscitore dei vini italiani e con un côté mondano che all’inizio o non aveva o nascondeva molto bene. Il suo è un inglese ricchissimo, colto, magnifico».
A proposito di inglese: non è la sua prima lingua straniera.
«La prima che ho imparato è il francese. La parlavano in casa mio padre, italiano nato per caso in Belgio, e mia madre. L’inglese l’ho studiato benissimo a scuola, nella scuola pubblica italiana dei miei tempi. E non ho cessato di approfondirne la conoscenza, anche grazie alla musica: ricordo che con mio padre traducevamo i testi diSgt. Pepper’s dei Beatles».
Lei nel 2002 ha fondato i Girotondi. Cosa ha significato quell’esperienza e cosa rimane oggi?
«I Girotondi sono nati in occasione di una cena a casa mia, a Roma. Con Silvia Bonucci, mio marito Edoardo Ferrario, e Nanni Moretti da lontano, con preziosi consigli e contatti. Un’esperienza indimenticabile, la dimostrazione che è possibile cambiare un po’ le cose muovendoti insieme a quelli che la pensano come te. All’epoca non avevamo i mezzi che ci sono oggi eppure siamo riusciti a raggiungere un sacco di gente. Ne faccio tesoro, chissà che prima o poi non torni di nuovo utile».
Il suo incontro con la traduzione?
«A Filosofia, quando un professore mi chiese di tradurre un trattato di pensiero politico americano di fine Settecento: la scrissi tutta a mano. Da lì si è aperta una strada. E considerato che non ho mai frequentato la scuola interpreti, devo tutto al fatto di essere sempre stata un’avida lettrice».
Attimi di panico sul palco?
«Una volta, durante un incontro con un autore ebreo americano: ricordo la sensazione di non capire assolutamente nulla. Black-out totale. Per fortuna è durato poco, e all’improvviso è tornata la luce».
Momenti di imbarazzo?
«Una volta un’intervistatrice ha fatto infuriare V. S. Naipaul al punto che dopo una sola domanda voleva abbandonare l’incontro. Siamo andati avanti grazie al provvidenziale intervento mediatore della moglie».
Autori o autrici che non vorrebbe più interpretare?
«Tutti quelli e quelle che ti danno le spalle senza capire che se non vedi e non senti è un po’ difficile tradurre. Non faccio nomi… Chissà, forse preferirebbero avere a che fare con l’Intelligenza artificiale».
Vive l’IA come una minaccia?
«Devo ammettere che alcuni sistemi di traduzione danno ottimi risultati e non vanno affatto svalutati né disprezzati. Ma per quanto riguarda l’interpretazione, impensabile fare a meno dell’empatia, dell’apertura all’altro essere umano. Ogni incontro con un’autrice o un autore è diverso, ti sorprende, è una sorta di happening. Per giunta, non tutti hanno voglia di mettersi a nudo».
Scrittori timidi?
«Jonathan Safran Foer, forse: non chiuso, più che altro serio e preciso. Molto più aperta la sua ex moglie, bravissima scrittrice, Nicole Krauss».
Si è mai emozionata sul palco?
«Quando interpreti parli in prima persona. È inevitabile che la voce ti si spezzi in gola quando David Grossman allude a “quello che ci è successo”, la perdita del figlio, rimasto ucciso nell’ultimo giorno di ostilità in una delle mille guerre di Israele».
Se potesse interpretare un grande autore del passato?
«Uno solo? Stendhal. Anzi facciamo due: pure Nabokov».