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 2025  luglio 29 Martedì calendario

Il regalo di Trump alla Cina: negato il transito in Usa al presidente di Taiwan

Si può trattare anche su Taiwan. Sembra questo, il messaggio in arrivo da Donald Trump, dopo l’indiscrezione del Financial Times secondo cui la Casa Bianca avrebbe negato un transito a New York al presidente taiwanese Lai Ching-te. Un segnale inquietante per Taipei, preoccupante per gli alleati asiatici di Washington, insperato per Pechino, proprio mentre i negoziatori di Stati Uniti e Cina si stanno parlando a Stoccolma per prorogare la tregua sui dazi e organizzare un vertice tra Trump e Xi Jinping in autunno.
Andiamo per ordine. Un paio di settimane fa, il presidente del Paraguay Santiano Pena annuncia la prossima visita di Lai, durante un forum bilaterale ad Asuncion, alla presenza del ministro degli Esteri taiwanese Lin Chia-lung. «Ci stiamo preparando per riceverlo nel giro di 30 giorni», dice Pena, che non fornisce una data precisa ma localizza la visita di Lai nel mese di agosto. Il Paraguay è uno dei 12 Paesi rimasti a mantenere relazioni diplomatiche ufficiali con la Repubblica di Cina, nome ufficiale di Taiwan. Così come il Belize, altra meta del tour in America latina programmato da Lai.
Come accade in questi casi, il presidente taiwanese compie dei «transiti» sul territorio statunitense. Un termine che viene utilizzato nonostante il periodo trascorso su suolo americano superi le 24 ore, pur lontano da Washington. È una prassi di lunga data. La precedente presidente taiwanese, Tsai Ing-wen, ne ha fatti ben sette (nonostante le restrizioni dell’era Covid) tra il 2016 e il 2023. L’ultimo dei quali, successivo alla visita a Taipei di Nancy Pelosi, ha portato a estese esercitazioni militari cinesi intorno a Taiwan.
Secondo anticipazioni di stampa, Lai avrebbe dovuto effettuare un doppio transito, sulla via dell’andata e del ritorno: uno a New York, l’altro a Dallas. Dopo il doppio passaggio tra Hawaii e Guam dello scorso dicembre, nel periodo di transizione tra l’amministrazione Biden e l’amministrazione Trump, sarebbe stato un salto di qualità. Primo motivo: un passaggio sul territorio continentale è ritenuto più significativo. Secondo motivo: sarebbe stato il primo dal ritorno di Trump alla Casa Bianca, che nel dicembre 2016 dopo la sua prima vittoria era diventato il primo presidente eletto degli Stati Uniti a parlare con un leader taiwanese in carica.
Stavolta, però, Trump ha mostrato assai più cautela sul dossier Taiwan, che ha sostanzialmente evitato di maneggiare nel tentativo di negoziare un accordo commerciale con Pechino. E da qui nascerebbe il no al passaggio da New York, con Trump interessato a mantenere un clima favorevole al negoziato, mentre lo stesso Financial Times non chiarisce se gli fosse stato negato anche il passaggio a Dallas.
Il ministero degli Esteri di Taipei e l’ufficio presidenziale di Lai hanno entrambi negato la ricostruzione del quotidiano britannico, sostenendo che non c’erano piani di visite all’estero «nel prossimo futuro», anche per «gli sforzi in corso per la ripresa dopo il disastro causati da un tifone nel sud di Taiwan, i negoziati sui dazi reciproci con gli Stati Uniti e la relativa situazione internazionale».
La realtà è però che il viaggio era stato già annunciato dal Paraguay. Di fatto, la visita non sarebbe stata cancellata, ma rinviata a dopo il vertice fra Trump e Xi. Il segnale, comunque la si guardi, è davvero rilevante. «La cancellazione del sorvolo pianificato da Lai da parte dell’amministrazione Trump per il bene delle relazioni tra Stati Uniti e Cina è il tipo di segnale che il sostegno di Trump a Taiwan è transazionale e condizionato, non stabile», commenta Lev Nachman della National Taiwan University. A seconda dell’effettiva dinamica sul rinvio del transito, la vicenda segnala che la Casa Bianca affronta con un approccio transazionale anche un tema centrale della politica estera americana. Ne scaturisce un triplice messaggio che può avere conseguenze rilevanti. Per Taiwan si potrebbero amplificare i timori di essere usati come pedina all’interno dei rapporti Usa-Cina. Per gli alleati asiatici degli Stati Uniti (Giappone, Corea del Sud e Filippine) aumenta l’inquietudine sull’instabilità dell’impegno regionale americano.
Per la Cina si tratta di un segnale che si può negoziare persino su un tema su cui sembrava impossibile farlo. Certo, il futuro incontro Xi-Trump sarà uno spartiacque e qualora (come peraltro probabile) non si arrivasse a un “grande accordo”, il sostegno statunitense a Taiwan potrebbe tornare a essere più esplicito. Ma lo snodo attuale resta e condizionerà le future dinamiche del triangolo scomposto Pechino-Washington-Taipei, in maniera simile (eppure potenzialmente opposta) della famosa telefonata fra Trump e Tsai che mise in guardia Xi.