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 2025  luglio 29 Martedì calendario

Bruce Weber una fotografia chiamata desiderio

C’era una volta un bambino che spiava la felicità dall’alto di una scala. Quando i genitori, una bellissima coppia di Pittsburgh, davano un party, lui doveva rimanere confinato, in pigiama, al piano di sopra. Allora scriveva bigliettini disperati: «Posso venire a divertirmi con voi?», li piegava come aeroplanini di carta e li lanciava dalla tromba delle scale. Restavano laggiù, sul pavimento, non letti, mentre da sotto salivano le risate degli ospiti e il tintinnio dei cubetti di ghiaccio nei bicchieri.
Alle soglie degli ottant’anni, Bruce Weber può dire di aver avuto la sua porzione di drink col ghiaccio. E abbondante: è stato uno dei più celebrati e meglio pagati fotografi di moda del Novecento, uno dei pochi ad aver firmato due Calendari Pirelli. Fotografo di fiducia per Calvin Klein, ha ritratto soprattutto per Vogue la bellezza e la celebrità, insomma il party della vita alla fine se l’è goduto. Ma tutto questo, forse, per via del desiderio di scendere quella scala. E adesso, quand’è venuto il momento di raccontarsi in un libro, ovviamente pieno di fotografie, ammette con candida nostalgia: «Questo è il mio libro di aeroplanini di carta».
C’è lui bambino in copertina, un ragazzino magrolino che legge un libro assieme a un orso. E c’è di nuovo un orso accanto a lui nell’ultimo autoritratto del volume. Del resto, fece posare Liz Taylor, il suo mito, mentre dà un bacio sul muso a un grizzly – lei per nulla spaventata. E lui stesso è un po’ orso, un corpulento (benché abbia fatto, in gioventù, il modello), barbuto omone con perenne bandana in testa, una specie di pirata bonaccione. Ha voluto chiamare My Education (Taschen) la sua autobiografia, quarantesimo volume dellasua carriera. Debiti da pagare, molti: coi genitori, che lo escludevano dalle feste ma per il dodicesimo compleanno gli regalarono una Argus C3 35mm e così segnarono il suo destino. Con la sua indimenticata maestra, Lisette Model (madrina anche di Diane Arbus), sofisticata e irriverente scrutatrice di corpi. Col suo mentore, Richard Avedon. Con la gentilezza del photoeditor che, lui giovanissimo americano a Parigi, gli commissionò il primo servizio di moda, e che quando lui gli portò pellicole in cui non era rimasto impressionato niente, per colpa di un obiettivo rotto, gli disse: «Be’, riprova».
C’è un senso di gratitudine sincera in ogni pagina del libro, abbastanza raro in una fotostar, verso gli incontri, le relazioni, le amicizie, le parentele (a cominciare dalla moglie Nan Bush, fotografa e stilista); si può dire che sia un libro corale, che inizia con pagine di abbracci e di famiglie, e si chiude su una collana di ritratti di bambini. In mezzo, tutto il glamour che potete immaginare. «Puoi dire di aver raggiunto il benessere quando guardi i luoghi che ami, le persone che ami e gli animali che ami attraverso una lente».
Ora, non è una favola. La storia di Weber è quella di una carriera luccicante (e molto esposta: come altri grandi fotografi di moda e di nudo, ebbe le sue noie per alcune denunce #metoo, risolte tuttavia senza danni), di un viaggio attraverso quel pianeta dei desideri irraggiungibili che è la cultura fashion, corazza cesellata del mercato del lusso. Sulla cui crosta però ha lasciato un suo segno particolare. Celebrante di una sorta di culto per la bellezza scultorea e androgina dei corpi, indifferentemente maschili (può dire di aver sdoganato il nudo maschile nei giornali di moda) o femminili (o, se per questo, anche transgender), bianchi o neri, celebri o sconosciuti, Weber non solo sfuma il confine di genere in una sorta di pansessualismo, masembra anche essere riuscito in un ossimoro: colare quella bellezza in un canone omogeneo e universale, senza che ciò cancelli l’identità dei titolari di quelle splendide membra.
E questo non vale solo per i modelli e le modelle che ha celebrato (Kate Moss e Stella Tennant su tutte). Quasi tutte le fotografie riportano, in didascalia, nomi e cognomi dei soggetti. E le celebrità, spesso, sono messe in posa con amici, amanti, figli. Le fotografie di Weber sono molto popolate. Per una delle sue edizioni di “The Cal”, come gli addetti ai lavori chiamano il Calendario Pirelli, stipò una trentina di modelle in dodici scatti. Gli piacciono le relazioni. La sua fotografia del cuore è quella dell’incontro di David Bowie, accompagnato dalla moglie Iman, con Nelson Mandela: dove il Duca Bianco non riesce a controllare un sorriso timido di ammirazione e soggezione.
«Quando fai una fotografia, è sempre bene che ci sia un po’ di nervosismo» è il motto di Weber. Per questoama il lavoro dei grandi fotografi delle relazioni umane. Regista, amante del cinema italiano, ha dedicato un docufilm al nostro a lungo misconosciuto e straordinario Paolo Di Paolo, di cui scoprì per caso a Roma i ritratti delle stesse star del cinema che preferiva. E ovviamente Weber ha una teoria, come tutti i grandi fotografi, sulla fotografia. «La prima volta che vedi qualcuno, sai che non sarà mai più così. Il mistero e la gioia della fotografia stanno in questo, che consente a quell’istante di non essere dimenticato». Semplice, no?
Che poi la fotografia di moda e di pubblicità sia il contrario, cioè la costruzione di un momento come eterno e assoluto, in fondo non è una contraddizione. La fotografia, come la moda, come la pubblicità, è sempre ricerca del desiderio e assieme negazione del suo compimento. Ogni immagine è un aeroplanino di carta con un messaggio di desiderio, precipitato sul pavimento di un party nell’indifferenza degli ospiti.