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 2025  luglio 28 Lunedì calendario

«Sospeso nel vuoto a 75 anni la scienza dovrà studiarmi. E poi la sera vado in osteria»

Mauro Corona, la foto di lei che penzola sull’insegna della Ferrata delle Aquile, altopiano della Paganella, ha fatto il giro della rete.
«Ed ero pure mezzo slegato, imbragatura al minimo, ma io sono pazzo. Ho settantaquattro anni, mi sia concessa una profezia: prima o poi questo continuo sfidare la paura mi fregherà».
Sta dicendo che ogni giorno, consapevolmente, rischia la vita?
«Forse. Credetemi, a me piacerebbe svegliarmi una mattina in maglietta, bermuda e giornale e andare in spiaggia a Jesolo, ma ogni giorno mi ritrovo con questa voglia matta di avere paura. Perché io lassù, sulla Paganella, avevo paura, anzi terrore».
Eppure.
«Lo devo fare, voglio avere paura per poterla vincere, devo sfidarmi, devo dimostrare a me stesso, quotidianamente, che valgo qualcosa. Ci sono giorni in cui le cose che ho scritto le brucerei tutte, come anche le sculture. Giorni in cui non mi piace quello che faccio. Solo scalando le montagne riconquisto ogni volta l’autostima».
A pochi giorni (il 9 agosto, ndr) dai 75 anni?
«Ma io sono figlio della montagna. Mi alleno arrampicando ogni giorno per tre o quattro ore, mangio pochissimo, zuccheri zero, i carboidrati solo se il giorno dopo devo scalare il Cervino. Carne sì, quella sempre. Formaggio, uova. Certo, poi alla sera vado in osteria e festa finita».
Aveva bevuto anche la sera prima dell’impresa sulla Paganella?
«Sì, avevo bevuto, anche se ormai le bevute leggendarie sono roba del passato. In fondo sono uno che vive in verticale, la vita orizzontale mi va bene, ma solo per poco».
La Ferrata delle Aquile, sulla parete est della cima Roda, è pericolosa?
«Le ferrate in generale non sono pericolose, perché si presume che uno le affronti come si deve. Il casco prima di tutto. Fondamentali, poi, sono i moschettoni: prima ne piazzi uno ben saldo e poi piano piano togli l’altro e così via. I rischi si annidano dove non te lo aspetti. Innanzitutto, nei fulmini: quel tracciato li richiama come un parafulmine. E quel giorno ce n’erano eccome, il cielo luccicava».
E poi?
«I camosci, i cervi, i gracchi alpini. Metti che un camoscio muova una pietruzza e che questa sposti una pietra più grossa e così via: basta un niente e ti ritrovi sotto una cascata di pietre».
L’adrenalina la mantiene giovane? Lei ha il fisico di un quarantenne.
«E meno male, con tutto quello che mi sono bevuto. Ho deciso che un giorno donerò il mio corpo alla scienza: gliene ho fatte di tutti i colori, ho vissuto condizioni estreme. Mi sono ubriacato, sono caduto più volte dalle cime, ho scalato le montagne con vento e neve. Eppure, nonostante tutto questo, oggi arrampico come quando ero giovane e andavo a fare pazzie con Manolo. Ma è genetica, sa? Mio nonno Felice era così. È stato grazie a lui che ho cominciato a fare roccia e oggi posso dire che la montagna mi ha insegnato due cose».
Fuori la prima.
«È come il successo: quando sei arrivato in cima non puoi fare altro che scendere, non puoi più salire. È coscienza del limite. E la seconda è si può sempre risalire una cima già scalata. È un grande conforto».
La prossima cima?
«Tra qualche giorno faccio il Campanile di Val Montanaia».
Corona, sia sincero: in quella fisicità esibita nelle foto non c’è anche una punta di narcisismo?
«I settantacinque anni ormai pieni mi ricordano di non diventare mai ridicolo. Però onesto sì. Non voglio essere uno sborone, voglio solo vivere quello che mi sento addosso con pienezza. Il problema è quando hai voglia di fare come diceva Machiavelli, toccare ogni volta il fondo per risalire sempre. Sono il Machiavelli del nord est».