Corriere della Sera, 28 luglio 2025
Iran, giustiziati i prigionieri politici Hassani e Ehsani. In un mese 81 condanne a morte eseguite dalla Repubblica islamica
Era l’alba a Karaj, una città a nord di Teheran, quando nella prigione di Ghezelhesar, Mehdi Hassani, 48 anni, e Behrouz Ehsani, 69, sono stati giustiziati. Non sono bastati i video disperati dei figli, gli appelli dei Premio Nobel, quelli degli intellettuali che chiedevano aiuto alla comunità internazionale. Ieri, appena è sorto il sole, i prigionieri politici membri dell’organizzazione dei Mojahedin del Popolo sono stati uccisi. Piange e singhiozza la figlia di Hassani, Maryam, che in un video postato sui social dice: «Confermo la morte di mio padre. Nessuno di noi se lo aspettava: aveva chiesto a mia sorella di fargli visita lunedì. Avevamo speranze».
Della loro morte, ne ha dato notizia l’agenzia di stampa della magistratura, Mizan, che ha elencato le accuse contro i due uomini: «Inimicizia contro Dio; ribellione armata; appartenenza al gruppo terroristico Mek con lo scopo di compromettere la sicurezza del Paese, associazione a delinquere e collusione».
Hassani ed Ehsani sono stati condannati a morte dopo un verdetto della Sezione 26 della Corte rivoluzionaria della capitale iraniana. Gli avvocati raccontano che il processo è durato cinque minuti, senza alcuna assistenza legale. Nei tre anni di detenzione hanno subito minacce, torture e lunghi periodi di isolamento. Finché il 26 gennaio scorso sono stati spostati dalla prigione di Evin, a Teheran, a quella di Ghezelhesar: un trasferimento che ha fatto temere un’esecuzione imminente.
Le accuse contro Hassani ed Ehsani includono «la fabbricazione di un lanciarazzi portatile e di un mortaio», l’aver preso di mira «cittadini, case, strutture amministrative» e «aver turbato l’ordine sociale e la sicurezza».
Dopo la fine della «Guerra dei 12 giorni» con Israele, il regime degli ayatollah ha intensificato la repressione contro gli attivisti e i prigionieri politici spesso accusati di «collaborazione con il nemico». Solo tre settimane fa, un’altra agenzia di stampa che si chiama Fars, affiliata al Corpo delle Guardie Rivoluzionarie, ha definito le esecuzioni di massa avvenute nel 1988 «un’esperienza di successo» e ha chiesto che venisse ripetuta per «dare una lezione» ai nuovi oppositori.
Almeno altri 54 prigionieri politici sono condannati a morte. Tra questi ci sono Pakhshan Azizi, Abbas Daris, Sharifeh Mohammadi, Ahmadreza Jalali, Milad Armoon, Adnan Ghobishavi, Varisheh Moradi e Abdolghani Shahbakhsh.
Tra il 22 giugno e il 22 luglio ci sono state 81 esecuzioni, con un aumento del 170% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Nelle giornate del 20, 21 e 23 luglio, la Repubblica islamica ha giustiziato 21 persone: tra le vittime sei uomini appartenenti alla minoranza dei baluci. Salgono così a quota 1459 le esecuzioni sotto la presidenza del cosiddetto «riformista» Masoud Pezeshkian.