La Stampa, 28 luglio 2025
Incidente delle Frecce "Il pilota va prosciolto" Indagini sull’aeroporto
Il maggiore dell’Aeronautica militare Oscar Del Dò non c’entra con la morte della piccola Laura Origliasso. La bambina è morta all’età di cinque anni fra le fiamme provocate dallo schianto al suolo dell’Aermacchi MB-339 “Pony 4” delle Frecce Tricolori guidato dall’ufficiale. Il velivolo era precipitato al confine tra Caselle e San Francesco al Campo intorno alle 17 del 16 settembre di due anni fa, incendiando l’automobile sulla quale viaggiava la bambina con la famiglia. L’estraneità del pilota deriva dal fatto che – essendo radicata negli inquirenti la convinzione che la causa della caduta di quell’aereo sia da addebitare a un birdstrike (un volatile finito nel monomotore del velivolo che ha causato l’arresto delle turbine) – qualsiasi sua eventuale manovra (di Del Dò) non avrebbe evitato l’impatto con l’auto sulla quale viaggiava la piccola insieme al fratellino e ai genitori.
Da qui parte il ragionamento che ha guidato nei giorni scorsi la procuratrice Gabriella Viglione, capo dell’ufficio giudiziario (e la sostituta Valentina Bossi) a chiedere l’archiviazione dall’accusa di omicidio colposo per l’ufficiale-pilota. C’è ancora tempo per un eventuale opposizione delle parti offese (i genitori della bambina, tutelati dal legale Luigi Chiappero) e un gip dovrà decidere se accogliere la richiesta dei pm o meno, ma la strada pare abbondantemente tracciata.
Nessuna responsabilità avrebbe potuto avere Del Dò perché l’incidente – è questa la conclusione cui è giunta la procura – non è dipeso da un eventuale errore nella conduzione dell’aeromobile, ma da un fattore esterno sul quale nulla l’ufficiale avrebbe potuto fare se non ciò che ha fatto. La prova regina appoggia su due architravi. La prima: l’audio della scatola nera nel quale il pilota dice distintamente «Bird strike, ho fatto un bird strike». C’è poi – e siamo al secondo elemento – tutta una sfilza di parametri di cui vi è traccia scrupolosa all’interno del “registratore” dell’aereo che – lette nel complesso e analizzate da un punto di vista tecnico – indicano la genesi dell’arresto del motore in un corpo estraneo penetrato dentro l’elica. Una serie infinita di dati numerici su temperatura, giri e caratteristiche del motore che non lascerebbe adito ad alcun dubbio e che sono finite nella relazione del super-consulente della procura, l’architetto Mauro Esposito.
Questo però è solo un pezzo dell’inchiesta. Nella richiesta di archiviazione inoltrata agli uffici i pm di Ivrea sottolineano come «altre indagini siano necessarie per verificare eventuali terze responsabilità». Che saranno di certo colpose, tanto per cominciare. E non dolose. Ma che puntano dritto verso le dotazioni di sicurezza e le pratiche preventive di tutti coloro che sono chiamati a rispondere della responsabilità dello scalo. O che ne hanno titolo anche indiretto. Ecco perché gli accertamenti in corso stanno riguardando il terminal di Caselle.
Alcune cose sono già emerse in questi lunghi 22 mesi di indagini. Sono agli atti dell’inchiesta i report effettuati dal dipendente deputato alla “dissuasione” dei volatili sulla pista che pure quel pomeriggio intervenne. E che scrisse come nelle ore precedenti prima che le Frecce si alzassero in volo, sulla lingua di asfalto di Caselle ci fossero fino a 170 tra gabbiani e corvi.
È stato fatto abbastanza per allontanarli? Per quanto si apprende in ambienti investigativi, il giorno della tragedia i falconieri lavorarono fino alle 15. Altro fronte sul quale i pm stanno effettuando accertamenti sono da ricondurre alle dotazioni, ai livelli di formazione e all’efficienza di intervento del distaccamento dei vigili del fuoco dell’aeroporto. Non tanto per comprendere – come si presume sia – che sia stato fatto tutto ciò che si poteva fare per intervenire tempestivamente sul luogo della tragedia, ma quanto per verificare che i livelli di operatività e mezzi fossero all’epoca – e fino ad oggi – congrui a garantire piena sicurezza dello scalo in caso di necessità.