La Stampa, 28 luglio 2025
Ritirata africana
A forza di non morire c’è sempre qualcosa da raccontare. Per esempio la ritirata, la fuga dei francesi dall’Africa. Dopo due secoli di soperchierie, saccheggi e massacri fisici e culturali era ora che la FranceAfrique sparisse come merita, senza patetica cerchia di piangenti e senza nessuna benedizione. Ricordate De Gaulle: la Francia senza l’Africa è un paesuccio, una potenza di terzo ordine? Bene. Adesso è certificato, la profezia è, finalmente una realtà! Il Generale aveva inventato una geniale, finta decolonizzazione, finte indipendenze accovacciate sotto il consueto tran tran: Parigi comanda gli altri obbediscono. Finito. Defunto. Anche i trinceristi patetici ma tignosi (e pericolosi) dei rimasugli di Grandeur dovranno rassegnarsi.
Le colonie di quella che un tempo era l’Africa equatoriale francese, con il ritiro dal Senegal del contingente militare che presidiava le eventuali mattane dei sudditi, sono uscite dalla Storia. Restano alcuni dettagli di questa indelicata “fraternité’’ in via anch’essi di liquidazione: il francese sostituito con le lingue locali e, ultimo e definitivo, la abolizione del franco Cfa con cui Parigi ha messo un nodo scorsoio attorno all’economia di questi eterni poveri. Ci vorrà tempo ma accadrà.
Restano due francobolli: il Gabon e Gibuti, giusto per mandare la Legione a perfezionare l’abbronzatura. In Africa, in Algeria, i francesi di Luigi Filippo erano arrivati nel 1830 facendosi largo a furia di massacri, l’anticipazione di un metodo. È una fine senza gloria, miserabile come la Storia che qui è stata scritta e riscritta a gusto e comodo dei padroni, un mondo di violenza che ha ritmato instancabilmente la distruzione di tutto ciò che esisteva prima. Non ci sono date da stampare sulle bandiere o le lapidi, o i macroniani filari di parole da pronunciare, perché non c’è nulla da dire su una sconfitta così totale.
Nessuna potenza coloniale, neppure il Portogallo che pure era anch’esso un Paese del Terzo mondo, ha sottosviluppato l’Africa con la astuta metodicità, la ferocia predatoria, l’arroganza razzista della Francia. Il tutto ben nascosto sotto l’ipocrisia più sfacciata. Gli ultimi a seppellire le rodate bugie dei presidenti di destra e di sinistra, Mitterrand, Chirac, Sarkozy, Hollande, Macron, sono stati i senegalesi. Il Senegal, il fedelissimo Senegal! dove è stato creato “l’evolué’’ da manuale, il suddito obbediente, integrato, più francese dei francesi replicato mille volge, Senghor, il presidente poeta. Ormai quei sudditi non esistono più, le nuove generazioni hanno compreso a caro prezzo che bisogna cacciar via i “monsieur afrique’’e i loro soci in affari, i collaborazionisti travestiti da presidenti “democratici’’ con cui si faceva a metà del bottino. Arriveranno altri ladroni, certo, i russi, i cinesi, ma ora lo sanno, hanno scoperto il gioco, saranno loro a dettar le regole. E questo vale anche per le seduzioni dei vari Piani Mattei, delle interessate carità firmate Unione europea.
Quello che resta di questa “fraternité’’ francese è un giudizio senza appello: Paesi afflitti dalla carestia e dalla guerra, l’eredità voluta di faide tribali ed etniche, moltitudini di migranti disperati, jihadismi, da Al Qaida all’Isis, che punteggiano le carte del Sahel di califfati, i soldati russi nei fortini della Legione, e i cinesi che esercitano, per ora, il loro imperialismo degli affari e delle materie prime. L’eredità francese è anche una avversione radicata e profonda verso i bianchi che coinvolge tutto l’occidente, considerato corresponsabile dello sfruttamento e del predominio di classi dirigenti corrotte e feroci.
Ad approfittare di questa colossale bancarotta storica e politica sono i jihadisti che applicano ora nuove ambiziose tattiche come isolare e assediare le città. Nel Mali i miliziani del “Gruppo di sostegno all’Islam e ai mussulmani”, la branca saheliana di Al Qaeda, sta svuotando metodicamente decine e decine di villaggi. Accusati di aver collaborato con l’esercito tutti gli abitanti, uomini donne bambini, devono andarsene. I nomi non ci dicono niente: Kassa Berda, Kassa Saou, Darou, Beledaga Dagodji... Non esistono più: vuoti, abbandonati, l’aria ronza, la sabbia si arroventa, in una luce e in un silenzio che grida. Dagodji era un bel villaggio, grazie ai soldi degli emigrati c’era una scuola, un serbatoio dell’acqua: è scomparso. A Talataye al mercato del sabato venivano allevatori e commercianti da tutto il Sahel. I combattenti dello Stato islamico del grande Sahara «hanno bruciato tutto per costringere gli abitanti a partire. Anche gli uccelli», dicono, sono scappati da Talataye...
I fuggiaschi sono almeno 700 mila, tutta l’architettura territoriale del Mali sparisce. I gruppi jihadisti impongono le loro leggi: sharia, tassazione, emiri. Un amico fuggito da Dagodji mi annuncia: ho tenuto le chiavi di casa mia. Un giorno tornerò per ricostruire... Nel 1948 i palestinesi si affidavano alla stessa speranza...
Ogni villaggio che diventa un fantasma senza uomini è un frammento di memoria che scompare, tradizioni, racconti, riti funebri, le feste del raccolto e della semina... Ecco che cosa hanno lasciato due secoli di fraternità francese. —