Il Messaggero, 28 luglio 2025
Per non pagare l’Imu c’è chi butta giù il tetto E i ruderi aumentano
Anno dopo anno aumenta, lungo la penisola, il numero dei ruderi. Una corsa senza fine. Soltanto nel 2024 i fabbricati registrati al catasto come «unità collabenti» sono cresciuti dell’1,5 per cento. E il balzo è addirittura del 126 per cento se paragonato all’epoca pre-Imu, l’imposta sugli immobili introdotta nel 2011. «Un’emergenza ignorata», la definisce Confedilizia. L’associazione dei proprietari di casa monitora da anni il fenomeno. Gli ultimi dati dell’Agenzia delle Entrate non fanno che confermare la tendenza. In 14 anni i fabbricati considerati come ruderi sono passati da 278.121 a 629.022.
Per circa il 90 per cento si tratta di edifici di proprietà di persone fisiche. Magari case in campagna o nei paesi, ricevute in eredità, che in teoria andrebbero a pesare sulle tasche, perché su di esse si deve pagare l’Imu, senza badare troppo allo stato in cui si trovano.
IL CATASTO
«Questi edifici si trasformano in ruderi spesso per il solo passare del tempo, ma in molti casi anche per azioni volontarie dei proprietari, come la rimozione del tetto, per sfuggire alla tassazione patrimoniale», nota l’associazione. L’Imu si applica anche a immobili dichiarati «inagibili o inabitabili», purché non ancora formalmente classificati come ruderi. L’unico vantaggio per i proprietari di questo tipo di immobili è una riduzione dell’imposta dovuta.
Sui ruderi, invece, il discorso è diverso: cause come un tetto crollato li rendono completamente inutilizzabili, in condizioni tali da annullarne il valore. Passano così a un’altra categoria catastale e sono per questo esenti dall’Imu.
Una mappa del fenomeno vede primeggiare le aree rurali e la provincia. Una precedente rilevazione di Confedilizia, basata sui numeri del 2023, vedeva nelle prime tre posizioni le province di Frosinone, Cosenza e Messina. Nel Frusinate, per esempio, il numero di immobili accatastati come ruderi era di circa cinque volte superiore a quello della Città Metropolitana di Roma (oltre 31.000 contro 5.700).
L’aumento dei ruderi è su scala nazionale. Ai primi posti ci sono realtà come Torino, Cuneo, Foggia, Reggio Calabria, Lecce, Benevento, Ferrara, Rimini e Verona. Si tratta di zone del Mezzogiorno o di territori del Nord, specie montani, che hanno sofferto il declino economico e demografico.
Anche nelle metropoli, tuttavia, le registrazioni al catasto nella cosiddetta categoria F2 sono in aumento.
«È una situazione insostenibile», ha dichiarato il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa. «Il patrimonio immobiliare privato, che dovrebbe essere valorizzato, è invece in molti casi abbandonato a sé stesso. E il quadro non può che peggiorare, vista la presenza dell’Imu che, come tutte le patrimoniali, è un’imposta progressivamente espropriativa del bene colpito, specie quando si tratta di immobili privi di mercato e il drastico taglio degli incentivi fiscali per interventi edilizi. Occorre intervenire».
LE PROPOSTE
L’associazione formula anche delle proposte. Una è l’esenzione dall’Imu nelle zone della penisola colpite dallo spopolamento.
Intanto anche la giurisprudenza si occupa del fenomeno. Nelle scorse settimane la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto alle agevolazioni per la prima casa anche per gli immobili accatastati come ruderi. L’importante è che poi l’edificio venga trasformato in abitazione entro tre anni dall’atto.
Secondo i giudici, finché il fabbricato non viene demolito e quindi cancellato dal catasto, mantiene la possibilità di essere riqualificato per viverci. Alla base dei bonus, infatti, ci sarebbe non tanto la condizione dell’immobile, quanto la volontà di chi compra di renderlo la propria casa.