Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  luglio 27 Domenica calendario

Intervista a David McDermott

David McDermott è un artista che esplora i temi della bellezza e del miracolo, andando oltre le promesse della tecnomodernità.
Ha vissuto a Dublino, lavorando come artista per più di 35 anni?
«Sono un pittore a olio. La parola “artista” è stata distrutta negli ultimi 50 anni, diventando un titolo senza valore».
Nato però in California?
«A Hollywood, dove però sono rimasto solo per tre settimane. Sono cresciuto nel New Jersey, in una famiglia operaia. Mio padre veniva dalla Croazia, in origine mi chiamavo Kačić, ma poi mi hanno cambiato cognome in McDermott».
Kačić è un nome ebraico?
«Mia nonna diceva che mio padre era ebreo e aveva la mappa di Gerusalemme in faccia. Credo che fosse stato in un campo di concentramento, ma quando avevo chiesto a mia madre se aveva un tatuaggio sul braccio, non mi ha risposto. Mia madre veniva da una vecchia famiglia del Sud americano, mio bisnonno era stato giudice della corte suprema dei confederati».
Perché ha deciso di andarsene in Irlanda?
«Perché non faceva pagare le tasse agli artisti. La Costituzione irlandese dice che qualunque modo in cui un artista spende il suo denaro va a beneficio del popolo irlandese».
Quando viveva a New York, era amico degli artisti più straordinari dell’epoca?
«Oh, vero, ma mi dedicavo sempre ai miei esperimenti con il tempo. L’idea è che tutto il tempo deve esistere nello stesso momento. Il vecchio concetto di spostarsi in avanti nel tempo, lasciarsi il passato alle spalle, è molto superato».
È vero che a New York viveva senza luce elettrica?
«Vero, con qualche milionario che si faceva portare dallo chauffeur in limousine a casa nostra, suonava il campanello, e il mio partner scendeva le scale e gli parlava, perché non avevamo il telefono. Amo il passato».
Veste come nel passato?
«Chiunque può farlo, quello è il minimo, ma potresti avere anche una stanza, una casa, una tenuta. Questi multimilionari potrebbero creare interi villaggi e città immerse in una delle mie epoche preferite. Adoro il periodo dal 1926 al 1935, un momento meraviglioso, appena prima del collasso. Quando mi ero trasferito a New York, era ancora una città degli anni ’20, perché non ci avevano quasi più investito dei soldi».
Che tipo di artista è lei?
«Non bravissimo. Ho convinto il pubblico a pensare che sono meglio di quello che sono, tutti gli artisti lo fanno».
In cosa consiste la sua arte?
«In questo momento la mia pittura è una rivolta contro l’arte moderna. È durata per più di 100 anni, ma sta per collassare. Prima, c’era un movimento estetico nato intorno al 1850 e durato fino al 1930. Un movimento estetico unisce l’astrazione e gli stili decorativi da tutto il mondo, e nel XX secolo ci si ispirava all’archeologia, allo stile assiro-babilonese. I modernisti lo odiavano. Era un’arte inventata per l’uomo comune, in modo che anche le persone ordinarie potessero avere l’arte».
Cosa fa?
«Dipingo le montagne, tutte le montagne più famose: il Fuji, il Vesuvio, il Monte Rosa, le Dolomiti, il Sinai».
Perché?
«Perché alla gente piacciono le montagne. Ora sto dipingendo i più importanti monumenti costruiti dall’uomo, sto lavorando sul Taj Mahal. Nel XX secolo, nessuno l’ha dipinto. Mi hanno detto che esiste una celebre foto della prima moglie di re Carlo, Diana, seduta davanti al Taj Mahal, ma null’altro».
Ha viaggiato molto?
«Non ho preso un aereo per 30 anni. Faceva parte di un esperimento artistico. Ci vogliono 30 ore per andare da Dublino a Milano via terra, e due giorno da Dublino al Marocco. Ho fatto 20 volte la traversata dell’Atlantico. Ho vissuto uragani invernali a bordo di navi merci, e viaggiavo sulla Queen Elizabeth quando per poco non ci era ribaltata, avevo visto l’acqua avvicinarsi».
Si è spaventato?
«No. La cosa più pericolosa che avessi mai fatto era stata andare in una grotta glaciale in Svizzera. Amo la Svizzera perché ti protegge, come un castello, sembra impossibile che qualcuno possa rubarti la valigia».
Dove dipinge?
«Ho viaggiato quest’anno, ma ho dipinto ogni giorno a St. Moritz, nella galleria di Vito Schnabel, per finire i quadri per la mostra, molto complicati ed elaborati. Ora faccio soltanto gli acquerelli piccoli. Voglio dipingere la cattedrale di San Basilio a Mosca, quella con le torrette, è stupenda. E poi dipingerò la Sfinge».
Il suo modo di vivere fa parte della sua arte?
«Credo che l’unica cosa che abbiamo sia la nostra vita, e dobbiamo renderla straordinaria. Pensate a tutti questi miliardari: quanto costerebbe comprare Venezia? Se potessi possederla, se ne potrebbe fare un esperimento temporale incredibile. A Venezia usavo solo le gondole, costava tantissimo, ma non come adesso. Io adoro il passato».
Sta per venire presentato a re Carlo?
«È quello che la donna che ho incontrato oggi mi ha detto. Doveva presentarmi al principe William e a Kate, che dovrebbero acquistare i miei dipinti del Taj Mahal. Non è una che parla a vanvera, e ha detto che mi avrebbe presentato a re Carlo».
Mi sembra eccitato dalla prospettiva.
«Io mi trovo nelle mani di persone molto potenti. Non spenderei tutto quel denaro per mandare i missili su Marte. È follia, non riescono a tenere puliti gli oceani e vogliono andare su Marte e sganciare bombe atomiche sul Nord per creare l’acqua».
La preoccupa?
«No, perché sono vecchio, e quando sei vecchio diventa tutto uno spettacolo. L’unica cosa a cui pensano i contemporanei è espandere, ingrandire, ingigantire».
Lei invece vorrebbe rimpicciolire?
«Sì, mi piace l’idea».
Ma nel mondo c’è molta più gente.
«Purtroppo, ed è il vero problema, perché l’unico motivo di esistere per molti è quello di avere figli. Soprattutto per le donne, e tutti si danno da fare per avere bambini. È davvero triste».
Cosa? Avere bambini?
«È il loro unico motivo, e poi i maschi che giocano a calcio, è davvero incredibile, guardano un pallone rimbalzare. Mia nonna diceva che dovrebbero guardare il governo, non una palla che va avanti e indietro».