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 2025  luglio 27 Domenica calendario

Restaurato il Giotto vaticano sopravvissuto al Rinascimento

Non è molto grande, giusto 50 centimetri di larghezza per altri 50 di altezza. Ma è Giotto, e vederlo dal vero è un’autentica rarità. Il frammento di affresco che raffigura due santi, a lungo creduti San Pietro e San Paolo, e che in origine decorava la basilica di San Pietro in Vaticano (probabilmente nella zona dell’abside) dal 29 luglio si troverà esposto all’Opificio delle pietre dure, a Firenze, dove rimarrà fino al primo novembre prima di tornare nelle mani del suo proprietario.
Si tratta dell’unico pezzo conosciuto del lavoro che Giotto e la sua squadra realizzarono ai primi del Trecento nella perduta basilica costantiniana a Roma – poi totalmente smantellata tra Cinque e Seicento per fare posto a quella nuova progettata da Bramante e Michelangelo – e dopo un restauro condotto tra il 2016 e il 2019, che l’ha riportato letteralmente a nuova vita, sarà visibile dal pubblico in un’occasione che si può ben definire unica.
Non sappiamo con chi siano identificabili i due personaggi del cosiddetto “frammento vaticano”, ma il loro profilo sobrio e solenne, così come la maestria dell’esecuzione, rimandano alla mano del maestro toscano, la cui presenza a Roma, probabilmente durata anni, è testimoniata solo da un documento datato 1313, e dai racconti di Vasari e Ghiberti sulle sue imprese al servizio del Papa, per cui lavorò anche ad Assisi.
Le figure sono più piccole del reale e sembrano appartenere a un ciclo narrativo, ma non sappiamo con esattezza quando questo lacerto fu messo in salvo: la demolizione dell’antica San Pietro fu infatti un processo lungo, durato oltre un secolo. Ciò che è certo però – perché lo leggiamo in un’iscrizione sul retro – è che nel 1610 l’opera venne donata da Pietro Strozzi (canonico della basilica e segretario di papa Paolo V) a Matteo Caccini, esponente di una famiglia romana trasferita a Firenze. Questi lo fece incorniciare ed esporre, non si da dove, nel 1625. Probabilmente fu in questo momento che il lacerto murario fu trasformato in un quadro da cavalletto, affogato in un letto di gesso e circondato da uno sfondo ridipinto, poi ulteriormente scurito ai primi del Novecento con un trattamento organico a base di colle e cere il cui esito, a distanza di tempo, è stato l’effetto di una “nebbia grigiastra”.
Il lungo restauro dell’Opificio ha rimosso questi strati e patine scurenti che avevano compromesso profondamente la leggibilità. Ora si vedono di nuovo i volti dalle linee nette, e i tratti, come nasi e labbra, marcati da decisi segni neri e rossi. Le indagini a infrarosso hanno evidenziato l’articolazione delle ombreggiature, coerente con le modalità esecutive tipicamente giottesche.
Dunque, pur essendo solo un frammento, l’opera di nuovo leggibile apre un potenziale filone di studio. «Ora si possono fare confronti con altre opere di Giotto e tentare ipotesi cronologiche che prima erano puramente aleatorie» spiega Renata Pintus, direttrice del Settore pitture murali e stucchi dell’Opificio. La storica dell’arte Serena Romano definisce il frammento vaticano «un miracolo che restituisce alla conoscenza pubblica quello che senza troppe cautele si può definire un grande inedito pittorico di Giotto».
L’opera è esposta al pubblico per concessione dei proprietari, eredi della famiglia Caccini, che preferiscono rimanere anonimi, e ciò accade per il ciclo Caring for artcon cui, nel 2025, si celebra il cinquantesimo anniversario dell’istituto di restauro fiorentino diretto da Emanuela Daffra.
L’ultima volta che i santi di Giotto sono stati visti dal pubblico era il 2015, durante l’Expo di Milano, in una mostra a Palazzo Reale curata da Serena Romano e Pietro Petraroia. La pittura era però così provata dai segni del tempo, che da Milano fu trasferita direttamente a Firenze, tra le mani dei professionisti dell’Opificio delle pietre dure.