Corriere della Sera, 26 luglio 2025
Intervista a Helen Mirren
Helen Mirren dà appuntamento sul divano nero nell’ufficio del sindaco di Guagnano, borgo salentino circondato da vigorose vigne di Negroamaro. Veste completamente di bianco, lo stesso colore dei suoi capelli portati corti all’altezza delle spalle. Ha appena raccontato, dinanzi a migliaia di persone accorse per vederla, il suo amore per il Salento, la terra dove ha scelto di abitare, ormai da diciassette anni, col marito Taylor Hackford, regista hollywoodiano che ha diretto Ufficiale e Gentiluomo, L’Avvocato del Diavolo, anch’egli premio Oscar. Più tardi ballerà sul balcone del Municipio come una ragazza alla quale scintillano gli occhi dalla felicità.
Compie ottanta anni. Che effetto le fa?
«La vita è un viaggio costante e continuo, nel corso del quale si entra in nuove fasi, si tratta di un processo naturale. Io, sinceramente, non ho dato mai una grossa importanza ai compleanni, nemmeno a quelli che finiscono con uno zero».
Quindi non ha paura di invecchiare?
«Qualche brivido il numero 80 me lo dà, però bisogna essere grati di arrivare a questa età. È semplice: si muore giovani o si invecchia, va accettato».
Ha assistito alla finale di Wimbledon. Per chi ha tifato?
«Ovviamente per Jannik! Davanti a noi c’erano due ragazzi italiani con la bandiera tricolore. Io e mio marito non sopportavamo di sentire tutti quegli incitamenti a Carlitos e abbiamo urlato a squarciagola il nome di Sinner. È stato bellissimo».
Lei è nata e cresciuta a East London. Che giovinezza è stata?
«Mio padre suonava la viola prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Durante il conflitto guidava le ambulanze. Dopo, suonare fu impossibile, perciò iniziò a fare il tassista. Per svolgere quella professione bisognava superare il test della cosiddetta “Knowledge”, ovvero conoscere tutte le strade della città praticamente a memoria. Lui, che proveniva da una famiglia aristocratica russa, aveva Google Maps nel cervello».
Furono anni duri anche per la giovane Helen, vero?
«Non avevamo quattrini per il cinema, il teatro, in casa eravamo privi della televisione. Quando avevo 15 anni, mia madre mi condusse, però, ad assistere a una produzione amatoriale dell’Amleto e io uscii da quel luogo completamente trasformata. Da quel momento capii che io volevo fare l’attrice recitando solo ed esclusivamente testi di Shakespeare. Tanto è vero che il mio primo ruolo fu quello di Cleopatra. Il fatto di poter dare vita sul palcoscenico alle storie scritte dal Bardo divenne la mia ragione di vita».
Da allora ha vinto un Oscar per la sua interpretazione in The Queen, Golden Globe, la Coppa Volpi a Venezia, vari Bafta. È soddisfatta oppure ha ancora un sogno di recitazione irrealizzato?
«Un’attrice non è mai appagata, cerca sempre nuove sfide. Passare dal teatro al cinema e poi alle produzioni televisive significa mettersi alla prova con metodi di lavori diversi, richiede un differente dispendio di energie e questa alternanza mi stimola. Però da qualche anno sento l’esigenza di tornare al mio vecchio amore, il teatro e dunque Shakespeare».
La sua prova in The Queen fu regale. La vera Regina Elisabetta non le ha mai espresso privatamente la sua opinione su quella interpretazione che appassionò il mondo intero?
«Ricevetti un invito per il tè nella sua tenuta di Ascot. Io pensavo che fosse uno dei suoi eventi classici aperto a trecento invitati. Invece, quando mi presentai, eravamo appena in cinque, la Sovrana, io, Filippo di Edimburgo e altri due membri della Royal family. La vera Elisabetta non disse nulla sul film, ma credo che il fatto stesso di essere stata invitata a condividere un momento così intimo con lei valesse quanto un apprezzamento».
La Regina vide il suo tatuaggio sotto il pollice della mano?
«Sono due lettere V incrociate tra loro, significano “uguale e opposto”. Siamo essere umani, dunque contraddittori. Per me vuole dire che bisogna considerare che gli altri possono essere diversi da te, ma questo non significa per forza che non abbiano i tuoi stessi valori. È la mia filosofia di vita».
Vive in Italia, nel lembo orientale meridionale più estremo, da diciassette anni.
«Sono stata sedotta in generale dalla cultura italiana. Non intendo le chiese, i musei, Dante e Fellini che ovviamente amo. Quel che mi piace è la vita quotidiana e ordinaria. Il fatto di essere straniera mi permette di saltare un gradino, di guardare le cose negative con un leggero distacco e maggiore compiacenza. Il mio italiano migliora ogni giorno di più che passo qua, anche se ancora non lo parlo benissimo. Ho girato il film Caligola a Roma dove per tre mesi ho trascorso il mio tempo libero soltanto con i cittadini della capitale. Mi ero intestardita a voler capire cosa dicevano alle cene, nelle feste».
Lo capì alla fine?
«Sì, gli italiani adorano parlare di vestiti e cibo!».
La si incontra in macelleria a comperare la mortadella, promuove raccolte di fondi per salvare le torri costiere, si presenta negli ospedali a vistare le donne colpite dal cancro.
«Faccio parte della comunità di Tiggiano, lo splendido paese del Basso Salento in cui vivo. Vado in bicicletta, siedo in piazza a prendere il cappuccino a mezzogiorno, compro quel che mi serve al supermarket. Sono normale, uguale agli altri, una compaesana. È così che si vive la profonda semplicità di una realtà. Io qui sono una donna italiana».
Però ci sarà qualcosa che non le piace degli italiani?
«Beh, siamo chiacchieroni, facciamo tanto gossip. Però quanta generosità umana! Ho vissuto per quindici anni in Provenza, imparando bene la lingua francese. Ma non c’è paragone con la bontà della gente di qui che ci ha aiutati moltissimo quando abbiamo iniziato i lavori di ristrutturazione della masseria e lo fa ancora adesso».
Si definisce una contadina.
«Io e Taylor coltiviamo ottocento alberi di melograno, produciamo succo biologico spremendo i frutti a mano. Io mi occupo anche dell’orto, raccolgo i pomodori e gli altri ortaggi. Adoro il mio giardino. Il segreto del nostro matrimonio quasi trentennale è proprio compiere lavori manuali insieme».
E poi combattete per salvare gli ulivi martoriati dalla Xylella ormai da dieci anni.
«Con l’Organizzazione no-profit Save the Olives in otto anni abbiamo salvato sinora 500 esemplari pluricentenari tramite gli innesti. Abbiamo allestito una serra dove alleviamo nuove specie di ulivi resistenti al batterio, insieme a scienziati e agronomi. Per me è terribile che ci siano ragazzini salentini che non hanno visto il patrimonio verde quando era sano».
Torniamo all’amore. Prima di Taylor quale è stato il più importante?
«Ho amato per quattro anni Liam Neeson. Con Taylor, che incontrai sul set de Il Sole a Mezzanotte, recitando per lui anche in Love Ranch però, siamo diventati un team, rafforzato dall’immenso amore per l’Italia, dal nostro progetto anche agricolo di sporcare le nostre mani nella terra».
Lei lo ha tradito… con Checco Zalone.
«Vidi i suoi film in aereo, non capivo bene le parole, però fui conquistata dal modo di muoversi e gesticolare. Volli conoscerlo, divenimmo amici. Perciò dissi subito sì per La Vacinada, accettai di filmare il video nella mia masseria. Lui fu molto professionale, io insistetti per interpretare la contadina che di fatto sono».
Nuota ancora quando c’è la luna piena, sotto la torre costiera di Corsano?
«Quando arrivai qui per la prima volta e vidi la luna calare dentro il mare di Tricase Porto, mi innamorai perdutamente. Le sere d’estate salentine sono intrise di placida magia. Mi piace gettarmi dagli scogli, non sono una tipa da spiaggia».
Un rimpianto ce l’ha?
«Mia madre non ha visto tutto quello che ho fatto. Lei, donna londinese, lasciò la scuola a quindici anni per lavorare in fabbrica, sarebbe stata felice dei miei ruoli drammatici e di vivere nella mia masseria italiana. E poi avrei voluto conoscere Anna Magnani, il mio mito».