Corriere della Sera, 26 luglio 2025
Dal Tibet all’Afghanistan. Il mister italiano che allena candidandosi via mail
È un altro calcio e sono altri mondi, quelli attraversati negli ultimi dodici anni da Vincenzo Alberto Annese, il nuovo allenatore della nazionale dell’Afghanistan. Per comprenderli, bisogna decollare con la fantasia di Ludovico Ariosto ed Emilio Salgari e farsi trasportare dal sentimento del calcio di Eduardo Galeano e Osvaldo Soriano. L’avventura di Annese è singolare, forse unica, perché comincia nel Baltico e passa per il Caucaso, l’Africa, il Medio e l’Estremo Oriente, i Balcani, l’America centrale, il subcontinente indiano, il Sudest asiatico, fino a fermarsi, per il momento, in Afghanistan. Dove i giocatori, e non solo loro, sono «i leoni del Khorasan», macroregione che comprende parti di Afghanistan, Iran, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan – ecco perché occorre più l’atlante che non l’almanacco del calcio —, e che è sempre stata l’area più geopoliticamente strategica qualunque fosse Il Grande Gioco (Peter Hopkirk, Adelphi).
Annese ha 41 anni, ha giocato in serie C con il Martina Franca e il Venezia, ma è stato costretto a mollare molto presto per problemi fisici. Nato a Molfetta, dove da sempre la popolazione maschile è quasi totalmente composta da marittimi, non si è imbarcato su un mercantile. Si è invece laureato a Foggia in Scienze motorie, si è specializzato a Verona ed è diventato allenatore a Coverciano. E oggi è di fatto il molfettese che più ha girato il mondo senza aver mai preso il mare. Annese ha navigato solo su Internet. E quando si è imbarcato è stato su voli a lungo raggio.
Le ricerche in rete
Scovava in Rete quelle società rimaste senza l’allenatore o il vice e mandava il proprio curriculum. Non ha mai avuto un procuratore, e non lo ha nemmeno oggi. Le società che lo hanno chiamato lo hanno fatto rispondendo direttamente alle sue mail. Lui poi ha fatto in modo di cogliere l’opportunità e ha conosciuto altra gente, che gli ha aperto altre porte. «Ho sempre avuto questa fissazione di diventare allenatore – dice Annese —, e non mi è mai passata». La prima volta in panchina come «mister» dell’Afghanistan è stata il 10 giugno scorso contro la Siria, per le qualificazioni della Coppa d’Asia. Una sconfitta, zero a uno. «Abbiamo giocato ad Al-Hofuf, in Arabia Saudita – spiega Annese —, perché lo stadio di Kabul non ha ancora ottenuto il benestare della Fifa. Ma sono ottimista, la squadra c’è».
Anche in Cisgiordania
Allenare la nazionale dei Talebani non turba i sonni di Annese. «Spesso mi chiedono di politica, religioni e conflitti armati – dice —, solo perché i Paesi in cui ho allenato non appartengono al calcio miliardario e sono in guerra. Ma io guardo questi Paesi e la loro gente attraverso le emozioni che il calcio è ancora capace di creare anche in contesti difficili. Oggi l’Afghanistan non è un posto pericoloso. Sentivo di più la pressione “ambientale” quando allenavo l’Al Khalil, la squadra palestinese di Hebron, in Cisgiordania, sette anni fa. Eppure, allora lì non c’era il mattatoio che c’è oggi. Nonostante questo, quando il campionato fu sospeso per il Ramadan e io ne approfittai per andare in Germania a guidare la nazionale Under 18 del Ghana in un torneo, gli israeliani mi fermarono alla frontiera e non mi fecero più rientrare. Perché, chiesi. Sapete bene chi sono e cosa faccio. “Appunto – mi risposero —. Tu stai facendo qualcosa a favore della Palestina, e questo non va bene”. Non ho più raggiunto la squadra. Peccato, perché stavamo per vincere il campionato. E invece alla fine siamo arrivati terzi».
Prima della formazione palestinese, Annese aveva allenato il Bechem United, squadra della massima serie ghanese, da cui l’Europa attinge molti e ottimi giocatori. E anche lì, altro che Afghanistan. «In Ghana il mio stipendio era di mille euro mensili – racconta —. Ma dopo le prime quattro gare, tutte perse, avevano deciso di licenziarmi. Senonché alla quinta giornata vinciamo, e poi di nuovo, e poi ancora. Infiliamo una serie di risultati positivi, persino con l’Aduana Stars, nella “trincea” di Dormaa Ahenkro, al confine con la Costa d’Avorio, e mi pregano di rimanere. Ma ciò che accadde con l’Aduana sembra un’invenzione letteraria. Ci fischiano tre rigori contro. Il primo calciato fuori, il secondo parato dal portiere, il terzo finito sul palo ma fatto ripetere, e poi di nuovo calciato fuori. L’Aduana non riusciva proprio a far gol. Poi, a due minuti dalla fine, segniamo noi. L’arbitro convalida il gol solo dopo essersi guardato intorno, forse sperando che uno dei guardalinee nello stadio ammutolito segnalasse una irregolarità. Arriviamo terzi in campionato e poi vinciamo la Coppa del Ghana. E a me triplicano lo stipendio».
Sul Baltico
La prima volta di Annese fu nel 2013, grazie a un ex calciatore italiano, Giuseppe Greco, centrocampista di gran classe che tra gli anni 70 e 80 ha giocato in serie A con Ascoli, Torino e Lazio. Non fu una raccomandazione, ma un caso. Un caso però «cercato» attraverso Internet, perché Greco a fine carriera si trasferì in Lituania, a Kaunas, e in seguito è diventato presidente dell’Alytus Dainava. Annese gli scrive, Greco lo chiama e gli affida il ruolo di allenatore in seconda. «Non mi sembrava vero – dice il c.t. dell’Afghanistan —. Al confronto, sia della Lituania sia degli altri Paesi in cui ho allenato, l’Italia è un posto chiuso, dove il merito è una chimera, perché per emergere devi “conoscere qualcuno”. E dove imperversano dirigenti e direttori sportivi che da veri avvoltoi garantiscono un posto in squadra ai ragazzi i cui genitori offrono soldi e favori vari».
Dopo la Lituania, a ruota, la Lettonia – dove Annese salva il Saldus dalla retrocessione in terza serie – e l’Estonia, al Paide Linnameeskond, serie A, dove fa il vice di Meelis Rooba, mito del calcio estone. Soldi sempre pochi, ma vuoi mettere la soddisfazione, per esempio, di vincere due titoli nazionali in Armenia con la squadra del Banants di Abovyan, che con i suoi 48 mila abitanti è pure più piccola di Molfetta? Oppure allenare in Indonesia, sull’isola di Giava, il Psis di Semarang, città di un milione e mezzo di abitanti e non meno di 40 mila spettatori a partita, con uno stipendio di settemila euro al mese? «Mi accolsero come fossi Mourinho – dice Annese —. Ma quando dissi che ci serviva un altro attaccante, il presidente non gradì e litigammo. Io mi dimisi, ma lui non poté uscire di casa per una settimana perché la gente e i tifosi erano tutti dalla mia parte. L’Indonesia però è stato il posto migliore e più sereno in cui finora io abbia vissuto».
L’India e l’ultima sfida
Ci sarebbe tanto altro da raccontare, perché Annese ha allenato anche in Kosovo (il Liria di Prizren, serie A), le Nazionali del Belize e del Nepal e ha insegnato calcio in Cina, dove ha scritto un piccolo manuale intitolato «1-4-3-3», il suo schieramento tattico preferito, che è stato tradotto in cinese mandarino e ha venduto ventimila copie. Ma è grazie al «passaggio in India» che Vincenzo Alberto Annese diventa «Annese l’Afghano». Perché è in India che comincia a guadagnare come un allenatore «vero»: 350 mila euro annui a Kozhikode, dove allena il Gokulam Kerala e vince due campionati di fila; e poi quasi un milione di euro con la squadra di proprietà di John Abraham, star di Bollywood, il North East United di Guwahati, «una delle città più brutte e inquinate che abbia mai visto». E l’Afghanistan, paga bene? «Cinquecentomila euro fino a marzo prossimo». Contratto rinnovabile? «Dipenderà dai risultati. A cominciare dalla prossima gara contro l’Iran di Taremi (il centravanti dell’Inter, ndr), il 29 agosto in Tagikistan. Potreste venire a vederci. Iran-Afghanistan: suona bene per una partita di calcio, no?».