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 2025  luglio 26 Sabato calendario

La Consulta: l’Asl cerchi macchinari per il fine vita se chi lo chiede è paralizzato

La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile, in caso di suicidio assistito, la questione di legittimità della somministrazione del farmaco da parte di una persona diversa dal richiedente. La pronuncia risponde ad un ricorso di una donna toscana di 55 anni, «Libera», paralizzata dal collo in giù che, pur avendo i requisiti per accedere al suicidio assistito, non è in grado di autosomministrarsi il farmaco. Più nel dettaglio, secondo la Corte, «il giudice a quo non ha motivato in maniera né adeguata, né conclusiva, in merito alla reperibilità di un dispositivo di autosomministrazione farmacologica azionabile dal paziente che abbia perso l’uso degli arti», ossia una pompa infusionale attivabile con comando vocale o tramite la bocca o gli occhi.
In sostanza, per il reperimento del macchinario, occorreva andare oltre il livello regionale e coinvolgere «organismi specializzati operanti, col necessario grado di autorevolezza, a livello centrale, come, quanto meno, l’Istituto superiore di Sanità, organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale». La sentenza precisa che dove questi «dispositivi potessero essere reperiti in tempi ragionevolmente correlati allo stato di sofferenza della paziente», la donna «avrebbe diritto ad avvalersene».
Immediate le reazioni su un tema che continua a far discutere la politica e le associazioni. «Chiamata a pronunciarsi sull’aiuto al suicidio di una persona priva dell’uso degli arti – ha detto Alfredo Bazoli, presidente dei senatori del Pd —, la Corte dice con chiarezza ciò che noi sosteniamo da tempo, e cioè che la persona ha il diritto di essere accompagnata dal servizio sanitario nazionale nella procedura di suicidio assistito».
Sul fronte opposto, il senatore di Fratelli d’Italia Ignazio Zullo, capogruppo FdI in Commissione sanità del Senato, sostiene che con questa sentenza «si chiude ad ogni tentativo delle opposizioni di introdurre in Italia l’eutanasia. Per questo noi puntiamo molto sul potenziamento delle cure palliative e su un Servizio sanitario nazionale che si attenga ai suoi fini istituzionali, ovvero all’assistenza e alla cura della persona e non all’erogazione della morte».
Suicidio assistito
Questa posizione è respinta dal presidente del consiglio regionale toscano, Antonio Mazzeo per il quale «la Corte Costituzionale ribadisce che la libertà di autodeterminazione della persona nel fine vita è una situazione giuridica tutelata, e il Servizio sanitario nazionale deve essere parte attiva nel garantire questa scelta, soprattutto per chi è più fragile e non può esercitarla in autonomia».
Tirano invece un sospiro di sollievo, dice Antonio Brandi, presidente di Pro Vita & Famiglia onlus, «decine di migliaia di malati e disabili e di loro familiari di fronte alla decisione della Corte Costituzionale di non aprire all’eutanasia attiva». Ed esultano anche gli avvocati della signora Maria e del signor Vanny, malati sottoposti a trattamenti di sostegno vitale, contrari all’eutanasia e ammessi come parti al processo costituzionale all’udienza dell’8 luglio scorso. Ma per l’Associazione Coscioni, da sempre impegnata nelle battaglie per garantire il diritto al suicidio assistito, la Consulta non è entrata nel merito della questione. «La Corte non ha preso una decisione sull’eutanasia per mano di un medico. Ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità dell’articolo 579 del codice penale per difetto di motivazione circa la reperibilità dei dispositivi di autosomministrazione». Sempre ieri l’Accademia dei Lincei ha definito «irragionevole» lasciare l’iniziativa su questo tema alle Regioni perché servirebbe una legge nazionale.