Tuttolibri, 26 luglio 2025
La bontà del pane "stanco" prima del sorpasso delle nuove merendine
Il pane non si butta mai. Parto da questo assunto, reperibile nella Bibbia alimentare, scritta dalle generazioni che ci hanno preceduti, per alcune considerazioni specifiche: prima di oggi è esistita una cucina basata non sulla fantasia, o la ricerca di chi la esegue, qualità maturate in prestigiosi ristoranti a Dubai o Copenaghen, ma determinata da precise e stringenti motivazioni del tutto ineludibili; alcune di ordine strettamente ambientale, riguardanti la reperibilità dei prodotti, e la stagionalità di questi, e che quindi definirò geografiche. Altre ragioni ancora erano invece di provenienza culturale, appartenevano alle tradizioni dei popoli, e potremmo per questo definirle antropologiche. Ma per fare prima le chiamerò storiche. Quindi ambiti legati a geografia e storia, come a scuola, due sfere che hanno dato origine ad un mondo culinario fatto non da professionisti, ma dalla gente normale, che oltre al lavoro svolto quotidianamente nella propria società familiare, inoltre doveva pure cucinare. Persone (in genere donne) che non avevano tempo, modo, e nemmeno l’idea e i relativi percorsi mentali, per reperire i funghi Matsutake o la carne Wagyu dei manzi massaggiati, ma che preparava con quello che c’era nelle condizioni e nel posto in cui si trovava, una cucina sempre fattibile con al centro il concetto del decoro economico, con pietanze realizzate all’interno della soglia di una spesa ragionevole ed etica, qualità che il cibo moderno ignora completamente. Credo che la decadenza morale della ristorazione sia cominciata quando in cucina sono comparsi gli chef, figure demoniache (in genere uomini) che hanno fatto più danni del COVID, e che vanno annoverati fra i grandi nemici dell’umanità, assieme alle guerre, le malattie infettive, il cambiamento climatico, e l’inquinamento ambientale. Ma andiamo avanti.
Il pane non si butta mai, dicevo all’inizio, tenetelo a mente per la lettura di ciò che segue. Che a livello di spuntini fuori pasto le cose sarebbero presto cambiate l’avevano capito già mia madre e mio padre fin dagli anni ’50; allora infatti cominciò la diffusione sul mercato interno nazionale delle famose merendine industriali confezionate. La prima fu il “mottino” Motta, ben noto ai miei genitori, e, nel decennio successivo, il Buondì Motta, una specie di colomba pasquale in piccolo, che conservava la glassatura superiore al gusto di amaretto e lo zucchero in granelli lunghi della sorella maggiore più blasonata. Seguito a breve distanza dal pandorino. E dalle brioss alla marmellata. Assieme a marmellatine compatte, incartate una ad una della Zuegg, chiamate “fruttino”. Sarà per la spinta decisiva data dal Merendero Talmone, ma dagli anni ’70 in avanti questi preparati segnano il sorpasso sulle merende casalinghe; è il periodo delle “fiesta”, “girella”, trancini e saccottini. Poi i “biancorì” & “ciocorì”, più le creme spalmabili tipo Ciao Crem, o Ergo Spalma, i wafer Maggiora, TinTin fuoripasto Alemagna, Carrarmato e Cingolato Perugina, il Mars, il Rider, il Bounty al cocco da tenere in frigo. L’inizio di un mondo e la fine di un altro, quello degli spuntini autoprodotti, dei quali ogni famiglia deteneva i suoi brevetti, delle tipologie originali di fuori-pasto, una specie di tradizione casalinga tramandata senza ostentazioni ma con dignità, delle preparazioni che non avevano la rilevanza del pranzo della domenica, ma che costituivano elementi collaterali di una cultura alimentare senza buchi, nella quale era tutto programmato da usanza e consuetudini.
Delle tante, tantissime merende casalinghe una delle più straordinarie è senz’altro il pandorato romano, creazione di potenza alimentare atomica, reperibile ancora nei menù di qualche trattoria attenta alle tradizioni del territorio, e che trovava origine dal pane dell’altro ieri, il quale si definiva non raffermo o stantio, parole brutte da attribuire ad un alimento sacro, ma più affettuosamente “stanco”. E non doveva essere un pane generico, tantomeno l’antipatico pancarrè, ma la pagnotta proprio. Nemmeno una pagnotta qualunque, l’indicazione più corretta era il pane di Lariano, paese al limitare dell’area dei Castelli Romani, che panifica un antico impasto popolare di farine semi-integrali, preparato con i lieviti madre, e lievitato due volte, e cotto, infine, nei forni alimentati con legna di castagno, che lascia al composto un aroma dolce meraviglioso.
Predisposte le fette di pane tagliate spesse un dito o poco più, queste vanno dimenticate ad ammorbidirsi nel latte. Conviene metterle tutte stese in un contenitore, una pirofila va bene, e lasciate così finché non avranno assorbito tutto per bene. Questa prima parte del processo può durare anche un’ora o due, non c’è fretta. Le fette bagnate vanno poi passate nell’uovo, precedentemente sbattuto con sale e pepe, e infine fritte all’olio. Che è ancora meglio il burro, nemmeno ve lo devo dire. È una ricetta formidabile, estremamente economica ancora ai nostri giorni, il pane costa cinque euro al chilo, il latte due e mezzo al litro, e per sei uova bastano due euro. Il pane poi c’era sempre. Il latte pure, nelle case delle famiglie, l’ultimo che rientrava, prendeva il latte dal lattaio. In genere erano i padri, anche se il latte è una cosa materna, io l’ho visto sempre portare dai padri. Le uova non mancavano mai, si prendevano ai mercati rionali dall’ovarolo, che era un banco che vendeva solo quello. E così nasceva il pandorato, di un colore meraviglioso e di una bellezza assurda, incartato nella stagnola, accompagnava sia i bambini nelle merende durante i loro giochi, che i padri nei cantieri, o nei turni di lavoro. E quando le merendine nella plastica cominciarono a fagli concorrenza, le famiglie presero ad incartare il pandorato nelle bustine di plastica pure a casa. Era buono così, senza niente, mangiato su un muretto o sulle panchine per strada.
Alle volte, con due fette di pandorato era possibile pure che ti facessero un panino, e allora volavi in cielo come i palloncini: pane fritto all’uovo e in mezzo il prosciutto. O la mortadella. O alici e mozzarella. Se ne faceva di più per farlo rimanere apposta, e ne trovavi sempre qualche fetta a riposare nel forno spento, lasciata da mani amorevoli e invisibili. Il pane non si butta mai, figurarsi il pandorato; che ci davano da mangiare una cosa preziosa, lo capivi anche solo dal nome.