Tuttolibri, 26 luglio 2025
Mick Jagger capo dei Drughi sul set mancato di Tinto Brass
Anthony Burgess, che è sicuramente uno dei talenti più poliedrici della letteratura inglese del Novecento, ha visto la violenza scandire gran parte della sua vita. Non solo per quanto ha visto combattendo sul fronte orientale, nella Malesia contesa palmo a palmo ai giapponesi, ma anche perché sua moglie è stata sequestrata e violentata da tre soldati americani ubriachi. Avendo vissuto esperienze del genere, è evidente che la violenza entri prepotentemente in ciò che in modo mirabile racconterà. Ma un altro tema è molto presente un tutte le sue opere: il tema del controllo statale, del “grande fratello”, del potere esercitato senza nessuna legittimazione e basandosi soltanto sui rapporti di forza. Insomma: se si parte da queste considerazioni, si può capire come il suo capolavoro A Clockwork Orange sia la coniugazione a livelli altissimi di questi due elementi.
La versione cinematografica che tutti noi conosciamo, quella proposta da Stanley Kubrick e capace di rendere il suo interprete Malcom McDowell uno degli attori più famosi al mondo, accentua ancora di più questa lettura psicanalitica-politica. Tant’è vero che il film ebbe notevoli problemi di censura: a Ovest furono in molti a considerarlo un film “comunista” (come ebbe a scrivere l’anonimo recensore di Il candido), a Est furono ancora più drastici perché il film fu vietato (parlava del mondo occidentale, ma certi comportamenti il regime sovietico li conosceva abbastanza bene).
Chissà come sarebbe andata se però il regista fosse stato un altro. Eh sì, perché questa opzione fu fortemente presa in considerazione qualche anno prima, nel 1969. All’epoca Tinto Brass aveva girato il suo film londinese più importante, Nerosubianco, ambientato nel mondo della pubblicità con una bella signora che decide di risolvere la propria crisi coniugale iniziando una relazione con un prestante uomo di colore.
Dario Argento, che all’epoca era un giornalista di Paese sera, lo intervista poco prima della lavorazione e Brass gli rivela di essersi messo in contatto con la Paramount per fare il casting del film, e per l’uomo di colore aveva pensato a due pugili, Cassius Clay e Sugar Ray Robinson. La cosa non è poi andata in porto ma i rapporti con la Paramount sono continuati. Tant’è vero che la major americana, una volta assicuratasi i diritti del romanzo di Burgess, si rivolse proprio a Brass per offrirgli la realizzazione del film tratto da quel best seller. Li aveva convinti il talento visivo di Brass, l’estetica pop così presente proprio in Nerosubianco, il modo cinico con cui descriveva l’ambiente della pubblicità.
Brass accettò con entusiasmo l’offerta e si recò subito negli Stati Uniti per trattare. Fu trovato subito l’accordo economico e la Paramount fu anche molto colpita dal fatto che Brass volesse fare un film anarchico, iconoclasta, con molte scene forti e (per usare le sue parole) «adatto sia al mercato d’essai sia a quello più popolare». Anche l’attore che Brass voleva come capo della banda dei Drughi era molto gradito alla Paramount: si trattava nientemeno che di Mick Jagger, il leader dei Rolling Stones che già da tempo aveva mostrato un grande interesse per il cinema più creativo e sperimentale lavorando con Mario Schifano e con Jean-Luc Godard. Insomma, sembrava proprio che l’operazione fosse cosa fatta e che il film di lì a poco sarebbe entrato in produzione.
Non fu così. Brass aveva un progetto cui teneva moltissimo, una sorta di fantasy underground per il quale aveva sotto contratto Tina Aumont e Gigi Proietti. Si trattava di raccontare le tematiche del ’68 (antiautoritarismo, rivoluzione sessuale, furia iconoclasta, critica all’ipocrisia borghese...). Doveva uscirne fuori un pastiche forse ancora più radicalmente antipotere del progetto ispirato al romanzo di Burgess. E quindi il regista disse alla Paramount: va bene, faccio Arancia meccanica ma solo dopo aver realizzato L’urlo (questo era il titolo decisamente munchiano del progetto di Brass). Alla Paramount non la presero affatto bene, le voci dicono che fu data indicazione ai portieri che avrebbero dovuto in futuro bloccare ai cancelli degli stabilimenti quel regista italiano che tanto aveva osato. L’urlo si fece, non ebbe grande successo e Brass ricorda senza rimpianti (anzi, con un certo divertimento) questo suo secco no alla proposta hollywoodiana.
Quindi niente Mick Jagger e Tinto Brass, la palla passò a Stanley Kubrick. E paradossalmente non si trattava neanche di una prima scelta perché il regista americano dopo il successo di 2001:Odissea nello spazio aveva un progetto riguardante Napoleone. Ma non trovò un produttore perché tutti erano spaventati dal flop commerciale di Waterloo, il kolossal diretto da Serghei Bondarchuck con straordinarie imponenti sequenze di massa proprio come le avrebbe volute Kubrick. Il regista voleva raccontare il potere e le sue nevrosi, Arancia meccanica gli parve un ripiego interessante. Nacque così il secondo film, dopo Un uomo da marciapiede, vietato ai minori di 18 anni a essere candidato all’Oscar, un successo clamoroso in tutto il mondo capace di rendere famoso chi vi aveva lavorato e di diventare un modo di esprimersi per i titolisti dei giornali che da allora lo citano quando devono raccontare situazioni di “ultraviolenza” gratuita e al tempo stesso feroce.
Pur essendo, come abbiamo visto, una seconda scelta per il regista, Stanley Kubrick mise nel film gran parte del suo genio. E fu anche molto aiutato da Malcom McDowell, in particolare per la scena più famosa del film: il pestaggio compiuto a passo di danza sull’aria di Singin’ in the Rain. Il contrasto tra la musica spensierata tratta dal musical di Stanley Donen e Gene Kelly e la disturbante violenza esercitata dai Drughi è sicuramente un passaggio chiave del film ed è ovviamente assente dal libro perché fu improvvisata da McDowell sul set, con Stanley Kubrick pronto a riprendere il geniale suggerimento.
Gene Kelly non la prese affatto bene: anni dopo incontrò McDowell a una festa, lo fissò severo e se ne andò senza salutare.