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 2025  luglio 25 Venerdì calendario

Kessisoglu: “A teatro ringiovanisco con mia figlia. Via di casa, ho ribaltato la mia vita”

Sono più vicino ai 60 anni che ai 50, ma percepiti sono 20, forse 30», prova a barare sui numeri Paolo Kessisoglu, 56 anni oggi, subito prima di mettere in fila ricordi e nuovi progetti di oltre 30 anni di carriera. Un “compleanno di lavoro” che l’attore e conduttore tv genovese festeggerà nella sua città d’adozione, la Milano in burrasca che le inchieste sull’urbanistica hanno (ri)fatto terreno di scontro politico, per stare dietro alle “cose belle” fissate all’orizzonte, quello professionale e non. Il 19 agosto alla Versiliana a Pietrasanta il via alla tournée dello spettacolo benefico sulla salute mentale organizzato per C’è Da Fare, l’associazione impegnata sul disagio giovanile fondata con la compagna Silvia Rocchi, con lui anche Luca Ravenna, Antonio Ornano e la figlia Lunita. E poi, per il futuro – racconta – la scrittura di un primo testo da portare per teatri.
Invecchiate e tornate al teatro: funziona così, con voi volti noti tv?
«Questa cosa che prima o poi si invecchia non mi va giù, ma a 50 anni ho talmente ribaltato la mia vita che mi sembra di aver appena ricominciato. Sono andato via di casa, ho progetti tutti miei sul lavoro, sono diventato autore di me stesso. Pensavo di non dover chiedere altro dalla vita, e invece sono cambiato di più nei miei ultimi 5 anni che nei 20 precedenti. Scrivere per il teatro fa parte di questo stravolgimento, sono felice: non riesco a pensare ad altro».
Lei si è formato allo Stabile di Genova, le avranno insegnato a far tutto, tragico e comico.
«E infatti il testo che sto scrivendo sarà sul tragicomico, una sorta di esame di coscienza di un padre cinquantenne che vorrei facesse ridere ma pure far pensare. Quello che ho capito può essere la grande ricchezza di fare l’artista. Mettere in moto chi ci ascolta, fare da megafono per sensibilizzare e far pensare al bene comune».
Il suo progetto benefico invece è “C’è da ridere, il primo spettacolo sulla salute mentale”.
«Partiamo dalla Versiliana ad agosto, poi Roma, Milano, Genova. Ci sarà anche mia figlia, con cui abbiamo portato a Sanremo la nostra canzone sul tema del disagio giovanile e il rapporto padre-figli, e tanti ospiti con pezzi sul tema dello spettacolo, la salute mentale».
Serve ridere per non piangere, sul tema? È possibile farlo?
«Oggi il suicidio è la prima causa di morte tra i 13 e i 25 anni dopo gli incidenti stradali. I numeri degli accessi alle cure per tendenze autolesive e disturbi alimentari tra i ragazzi fanno paura. Sono cambiati i rapporti tra generazioni, ci sono i social, la scuola non più. Gli psicoterapeuti sono i superman del nostro tempo, ma non bastano. La politica fa poco, noi proviamo a dare una mano, facendo ridere».
Cosa ne pensa, dei ragazzi che hanno rinunciato al voto della Maturità come segno di protesta?
«Che dei diciottenni protestino, è sempre un buon segno. Ma per combattere le regole che non ci piacciono, prima serve rispettarle. L’ingranaggio si scardina dentro».
Lo pensava pure da maturando?
«Un 42 e via alla scuola germanica, non mi sopportavano più. Ai tempi vivevamo in un quartiere della Genova bene da finti medio borghesi, perché in realtà avevamo le pezze al culo. Seguivo l’attualità dalle discussioni in casa, tempi di governi Craxi e slanci ecologisti di Greenpeace, ma disinteressato alla politica. Sognavo di fare l’attore, ma senza capire quanto politico può essere il lavoro di chi sale su un palco o dipinge o suona la chitarra».
Con Luca Bizzarri curerete la copertina di “DiMartedì” su la7 anche il prossimo anno, non male per un ex disinteressato.
«Ci toccherà un riepilogo delle perle della politica estiva di questi mesi, e temo non sarà difficile farlo. I leader li vedo sottotono, ma la corsa a scrivere sui social qualsiasi cosa è rimasta. La situazione internazionale, invece, dice cose».
Ovvero?
«Che non contiamo granché, come paese, e questo si sapeva. Ma pure che per quanto si possa considerare un merdone quello su cui siamo appena scivolati, c’è sempre un merdone più grosso alla curva successiva. Abbiamo passato estati a parlare del Papeete di Salvini, oggi in mezzo a tutte queste bombe direi siamo messi peggio».
Con Bizzarri siete a 35 anni di “matrimonio” artistico, resistete?
«Tra noi c’è sintonia, non parliamo granché né abbiamo mai fatto una vacanza insieme. Ci ha aiutato fare anche altro, oltre al duo, e ci legano tante cose belle. Se penso al festival di Sanremo ritorno con la mente sul palco, finale della nostra edizione da conduttori, Vecchioni vincitore, coriandoloni sull’Ariston, io e Luca siamo fuori dall’inquadratura, scoppiamo a piangere insieme».

Ci sarà davvero un Sanremo lontano da Sanremo, dopo le schermaglie legali sul contratto di organizzazione tra Comune e la Rai?
«Con la Rai di mezzo non si sa mai, ma voglio pensare sia tutto un modo per far salire l’hype per il 2026. Farlo altrove sarebbe come dire che la messa non si fa più in chiesa. Un tempo ci andava Claudio Villa e ci si vergognava quasi, a seguirlo: ora ci sono Achille Lauro e Olly e Bresh, che è pure genoano come me. E quindi massima stima».
Un genoano che festeggia il compleanno a Milano, però.
«Ma io sono un genovese atipico, non mi affeziono alle città, di Genova mi mancano solo gli amici e i miei genitori che non ci sono più. E poi Genova è sempre uguale a sé stessa, Milano costa troppo ma esci di casa e da un giorno all’altro c’è qualcosa di nuovo, ti cambiano i negozi, ti spuntano nuove strade».
Pure i grattacieli, ultimamente. Come finirà, il “modello Milano” finito sotto inchiesta?
«A Milano il clima è caldo sempre, a luglio, anche senza inchieste. E si lavora pure bene: c’è l’aria condizionata e si trova parcheggio. Va bene come risposta?».