la Repubblica, 25 luglio 2025
Benvenuto Aeneas un software decifra i misteri dell’antichità
Può sembrare sorprendente, ma ogni anno vengono scoperte circa mille e cinquecento nuove epigrafi latine. Esse vanno ad aggiungersi a un repertorio già enormemente vasto, raccolto soprattutto a partire dal Rinascimento. Queste iscrizioni le troviamo incise su resti di fabbricati, artefatti, monumenti funerari, a volte intere tavole di bronzo, come la celebre iscrizione di Lione che contiene l’ampio stralcio di un discorso tenuto dall’imperatore Claudio nel 48 dopo Cristo.
Solo che non siamo sempre così fortunati. Le epigrafi che possediamo sono spesso mutile, di malcerta lettura per i guasti provocati dal tempo e dagli uomini, difficilmente databili: spesso ignoriamo perfino il luogo in cui erano originariamente collocate. Non si ha idea, infatti, di quanto alcune antiche pietre,per i più diversi motivi, possano aver “viaggiato” nel corsodei secoli. Inutile dire che questo immenso corpus di testi fornisce uno strumento indispensabile per lo studio della storia antica – salvo che, prima di poter essere utilizzate, le iscrizioni latine devono essere completate (al possibile) se mutile, decifrate, datate, e deve esserne stabilita con ragionevole certezza la provenienza. È questo il compito della disciplina che porta il nome di epigrafia, una branca dell’antichistica che, per essere praticata, richiede vaste competenze storiche, linguistiche, geografiche, talora anche mineralogiche, e soprattutto la pratica (e il dono) di quella capacità che i filologi del passato chiamavano divinatio: ossia l’arte di saper “indovinare” la soluzione dei diversi puzzle cui le iscrizioni ci mettono di fronte. Oggi ladivinatio degli studiosi può contare su una risorsa, abbastanza straordinaria, che si aggiunge al naturale acume del filologo: ossia l’intelligenza artificiale.
Un articolo appena apparso su Nature, e prontamente ripreso da The Art Newspaper, rivela infatti che un gruppo di quattordici ricercatori, fra cui Thea Sommerschield, ha dato vita ad Aeneas, «a generative neural network» dedicato all’epigrafia latina.
L’intelligenza artificiale sembra così entrare a gonfie vele nello studio dell’antichità classica, promettendo agli studiosi la possibilità di contestualizzare, integrare, datare, localizzare con un eccellente grado di probabilità i testi epigrafici che possediamo. Aeneas è davvero un bel nome per questo nuovo sistema. Evoca il viaggio di un eroe che, fuggendo da una città distrutta, porta con sé i suoi Penati, ossia il seme da cui rinascerà la perduta civiltà. Al di là della complessa sofisticazione del sistema, di cui Nature fornisce un’ampia descrizione di carattere tecnico, il metodo su cui Aeneas si basa non appare diverso, in definitiva, da quello tradizionalmente impiegato dagli epigrafisti. Prima di tutto la comparazione.
Al fine di datare o integrare testi malcerti la prima cosa da fare è infatti trovarne dei paralleli, e più se ne trovano – più si riesce a stabilirne la pertinenza – più probabili sono i risultati ottenuti. Solo che, mentre l’epigrafista può praticare il confronto con un numero necessariamente limitato di testi – quelli che la sua intuizione, o i repertori preesistenti, gli suggeriscono – l’IA è ovviamente in grado dilavorare su insiemi assai più vasti. A questo si aggiunge la straordinaria capacità nella lettura delle immagini che lo strumento tecnico ci mette a disposizione quando si tratta di riconoscere le singole lettere. Tutto ciò rende il risultato finale assai più probabile. Per carità, continuiamo a parlare di probabilità, non di certezza. Perché anche l’epigrafia, come ogni filologia, è scienza del probabile, non del certo, e aggiungere una “macchina” alla strumentazione dello studioso non significa certo il raggiungimento della “verità”.
Quando si parla di metodi quantitativi, in generale, applicati alle scienze umane, l’ingenuità è sempre in agguato. Ma poi questo metodo funziona davvero? I ricercatori lo hanno testato su una delle più celebri iscrizioni latine che possediamo, quella che riporta leRes Gestae di Augusto, il cui esemplare sorgeva un dì di fronte al Mausoleo di Augusto e di cui sono state ritrovate varie copie, in condizioni più o meno buone, in giro per l’impero.
Da questo studio è emerso che la datazione proposta da Aeneas corrisponde all’opinione prevalente fra gli storici, ossia il 10-20 dopo Cristo. Altro dato positivo, Aeneas non viene messo fuori strada dall’indicazione delle varie date consolari registrate nel testo, che non hanno però relazione con la sua data di composizione. Inoltre il sistema appare sensibile a numerose caratteristiche che hanno valenza cronologica, come una grafia latina arcaizzante, formule linguistiche, riferimenti a istituzioni storiche precise, monumenti o nomi di persone. Per esempio, Aeneas mostra di sapere che la grafia aheneis – ablativo plurale dell’aggettivo che significa “di bronzo” – passa al più semplice aeneis solo nel I secolo dopo Cristo; così come tiene conto del fatto che il titolo di princeps iuventutis venne attributo a Gaio Cesare, nipote di Augusto, nel 5 avanti Cristo. Lo stesso tipo di dati, insomma, che colpiscono anche l’attenzione dello storico. E dunque, benvenuto Aeneas.