lastampa.it, 25 luglio 2025
Il crollo di Puma: ecco perché il colosso della moda sportiva affonda in Borsa e cosa c’entrano i dazi
Un venerdì nero per Puma. Le azioni del gruppo tedesco dell’abbigliamento sportivo hanno aperto in calo del 18% dopo la pubblicazione di risultati trimestrali deludenti e la drastica revisione delle previsioni per l’anno in corso. L’azienda ha annunciato che nel 2025 prevede un calo delle vendite di almeno il 10% e una perdita netta complessiva, smentendo le stime precedenti che ipotizzavano una crescita, seppur contenuta.
Il dato che più ha spaventato i mercati è la perdita di slancio del marchio, che non riesce a intercettare il gusto dei consumatori. Le nuove versioni delle iconiche sneakers retro, come le Speedcat, hanno registrato vendite molto inferiori alle attese. In un mercato dominato da giganti come Nike e Adidas, la capacità di generare desiderabilità attorno al brand è diventata cruciale. E su questo fronte, Puma fatica.
A complicare il quadro, ci sono i dazi statunitensi sull’importazione di prodotti realizzati in Paesi asiatici come Cina, Vietnam, Cambogia e Bangladesh, da cui Puma importa gran parte della sua merce. La società ha stimato che l’impatto di queste tariffe ridurrà l’utile lordo del 2025 di circa 80 milioni di euro, nonostante gli sforzi per ottimizzare la catena di approvvigionamento e rivedere i prezzi.
In un tentativo di inversione di rotta, lo scorso aprile il consiglio di amministrazione ha nominato un nuovo amministratore delegato: si tratta di Arthur Hoeld, ex responsabile vendite di Adidas, entrato ufficialmente in carica il 1° luglio. Ma l’impatto delle sue strategie si vedrà solo nei prossimi trimestri.
Gli analisti di J.P. Morgan non hanno nascosto la loro delusione: «I risultati trimestrali e l’aggiornamento delle guidance sono significativamente inferiori alle attese. Ci aspettiamo una revisione al ribasso degli utili per azione e una reazione negativa dei mercati». Previsioni che, a giudicare dall’apertura in Borsa, si stanno già avverando.