La Stampa, 25 luglio 2025
Sinéad Cusack: "Io non ballo da sola da mezzo secolo Jeremy Irons è il mio grande amore"
«Il segreto per un matrimonio duraturo? Non c’è, ma direi che è sempre meglio tenere alte la tolleranza e la gratitudine». Sinéad Cusack, figlia e sorella d’arte, stimata interprete teatrale e attrice per il cinema di cult come Io Ballo da sola e V per Vendetta, nonché moglie di Jeremy Irons da 47 anni, si racconta senza filtri al SalinaDocFest diretto da Giovanna Taviani. A 77 anni mantiene intatti carisma e occhi blu cobalto, anche quando si definisce «un’irlandese orgogliosa di esserlo e di essere europea, che ha sposato un inglese».
Come si tiene in piedi un matrimonio con un attore di fama planetaria?
«Fare lo stesso mestiere aiuta, certo la lontananza è difficile per tutti, specie quando hai figli e uno dei due gira lontano e l’altro resta a casa. Ogni matrimonio per durare deve fondarsi sul riconoscere e accettare l’altro, senza volerlo cambiare e senza aver paura di non essere d’accordo. Io e Jeremy siamo spesso in disaccordo, ma parliamo tanto e negli anni si impara a tollerare anche le colpe, che sono tante».
Avete recitato insieme nell’iconico Io ballo da sola.
«Sono stata incredibilmente fortunata. Non conoscevo Bertolucci, quando mi chiamò fu una grande sorpresa».
Eppure era molto richiesta.
«Tutti gli attori si sorprendono quando viene offerto loro un buon film. Anche Jeremy volle leggere il copione e chiamò subito Bernardo per dirgli che aveva trovato un buon ruolo per sé stesso. Quindi prendemmo i nostri figli e con Jeremy passammo un periodo splendido in Toscana a girare quel film».
Che ricordo ha di Bertolucci?
«Un uomo che sapeva godersi la vita. Ricordo le tende giganti con i migliori chef della Toscana e quei pranzi pazzeschi che organizzava sul set. Sapeva ascoltare: un giorno gli dissi di andare a vedere Donal McCann a teatro a Londra, ci andò la sera stessa e lo prese nel film».
Difficile costruire una carriera come la sua?
«La mia grande lotta non è stata per affermarmi, ma per non trascurare né i bambini né la carriera. Oggi i figli sono cresciuti, ma quand’erano piccoli ogni ruolo comportava un’enorme organizzazione per portarli con noi per settimane o mesi, o lasciarli a casa. È stata sempre molto dura».
Per i padri è più facile?
«Oggi le cose stanno cambiando, ai miei tempi funzionava che gli uomini ti dicevano: “Parto che ho un gran lavoro da fare, ciao ciao”. Trovo fantastico vedere tante donne prendere spazio e potere. Anche sul set aumentano registe e sceneggiatrici, penso a Coralie Fargeat di The Substance, che ho molto amato. Non sono ancora abbastanza, però».
Viene da una famiglia di attori e ha sposato un collega: nelle famiglie di artisti le donne finiscono per vivere un po’ all’ombra degli uomini?
«Io ho scelto di essere l’attrice che sono, di dedicarmi più al teatro e godermi i miei figli. Una mia scelta, ribadisco: avrò perso qualche opportunità o premio, ma non mi importa, ho due figli meravigliosi».
Com’è avere un figlio attore?
«Premesso che sono orgogliosa di entrambi, Max (nato nell’85) è un ragazzo talentuoso. Non crede tanto in sé stesso, gli ripeto che è bravo, lui dice: “Mamma, le tue papere sono cigni per te”. Il fatto è che gli attori devono sottostare al giudizio e al rifiuto continui, non è facile come sembra. Per i giovani soprattutto».
Perché?
«Sono svantaggiati, tutti i network che la mia generazione e quelli dei miei avevano sono spariti. I piccoli cinema e teatri indipendenti non ci sono più, gli agenti oggi li spingono verso le grandi produzioni e i franchise, perché portano più soldi. Poi c’è l’incubo degli assurdi provini via video, per cui si spendono tempo, energie fisiche ed emotive e poi nessuno fa più sapere niente. È sconfortante».
Come si sentiva da giovane quando veniva rifiutata?
«Non brava abbastanza, non bella abbastanza, mi mettevo di continuo in discussione, il che non è mai buono per la salute mentale di nessuno. Per andare avanti in questo mestiere bisogna essere forti».
Un marito collega aiuta?
«A confrontare le rispettive esperienze sì e a comprendersi anche, per il resto provenendo da una famiglia di attori sapevo già cosa potesse darmi o togliermi questo lavoro».
Che ricordi ha di V per vendetta?
«Non avevo idea che sarebbe diventato un cult, la sua maschera è diventata simbolo di rivoluzione e cambiamento nel mondo. Quando abbiamo iniziato a girare era stato scelto un attore per il ruolo di V sotto la maschera, uno dei più belli in Inghilterra, ma con una voce tremenda. Dopo 2 settimane lo cambiarono, scegliendone uno con una voce meravigliosa. Questo per dire che come attore puoi perdere il lavoro da un giorno all’altro anche se sei il protagonista e hai una bellezza importante».
La sua bellezza è stata più un ostacolo o un aiuto?
«Ai miei tempi le attrici venivano scelte anche per l’estetica, oggi per fortuna cercano volti interessanti e bellezze non convenzionali. Ai tempi mi dissero: “Sappi che dopo i 40 anni non avrai più lavoro"».
Non è andata così.
«Dai 20 ai 40, essendo bionda e con gli occhi blu, mi arrivavano solo certi personaggi, dopo sono arrivati ruoli più interessanti. Grazie ad attrici pazzesche come Meryl Streep e Helen Mirren che hanno aperto la strada, noi attrici lavoriamo a qualsiasi età e siamo garanzia di qualità».
Che rapporto ha con il passare del tempo?
«Invecchiare è sempre terribile, ma non capisco perché le donne aspirino a cambiarsi i connotati e somigliare alle altre a ogni costo. Io ho le mie rughe e me le tengo, non aspiro a una faccia di plastica. E amo essere “una nonna” (lo dice in italiano, ndr)».
Dovessi chiederle del suo primo amore...
«Oh risponderei, senza dubbio, il teatro».
Al di là dell’arte, intendevo, Irons è stato il primo amore?
«Ma non mi faccia ridere, certo che no! (Ride, ndr). Ne ho avuti tanti prima di lui. Ma Jeremy è stato e resterà il grande amore della mia vita». —