repubblica.it, 24 luglio 2025
Studentessa bocciata perché “scrive troppo bene”: scambiata per ChatGPT
Talmente brava da essere scambiata per un’intelligenza artificiale. La strana storia, del tutto possibile in tempi così caotici e in cui vero, verosimile e falso si sovrappongono senza che abbiamo troppi strumenti per distinguerli, è accaduta a una studentessa di lingue dell’università Federico II di Napoli. Bocciata a un esame scritto perché secondo i docenti il compito consegnato sfoggiava uno stile e conteneva alcuni indizi del possibile utilizzo di ChatGPT e simili per la sua stesura.
Lo racconta Fanpage.it, che ha anche sentito Rosanna Tecola, la studentessa: “Quando ho chiesto spiegazioni ai professori – ha spiegato alla testata – mi hanno detto che non ho superato l’esame perché a loro avviso il compito era stato realizzato con ChatGpt”.
Al chatbot, secondo gli ultimi dati, inviamo qualcosa come 2,5 miliardi di prompt al giorno. Secondo Tecola “non puoi usare gli indicatori in maniera postuma. Scrivere bene non è un difetto”. Quell’esame a scelta lo rifarà, dice, ma ci è rimasta male.
Eppure, a ben vedere, la questione esiste e in questo momento è posta in modo del tutto fiduciario: la parola di una persona contro le sensazioni di un’altra. Come si fa a distinguere un testo in tutto o in parte frutto dell’AI? E in fondo, alla stessa maniera delle domande che ci poniamo negli ambiti più squisitamente artistici o creativi, qual è la quota consentita di “aiuto” da parte di ChatGPT, se esiste una franchigia AI di questo tipo? In altre parole, un testo abbozzato e sistemato dall’AI, per esempio, è accettabile o meno?
E poi: bisognerà dotare i docenti di abbonamenti o dell’indicazione di adoperare strumenti come Turnitin, ZeroGPT, AI Text Classifier della stessa OpenAI, GPTZero e altri che avevamo già visto – e che non sempre garantiscono un risultato affidabile, specialmente su determinate tipologie di testi? Sono piattaforme che analizzando un buon numero di parametri forniscono una stima sulla probabilità che il testo fornito sia o meno frutto di un chatbot alimentato da un large language model. Oppure, inevitabilmente e più semplicemente ma con un dispendio di tempi ed energie notevole e che non in tutti i casi è possibile – men che meno per le università telematiche – gran parte degli esami dovrà per forza essere sostenuto oralmente e preferibilmente in presenza?
Tutto questo, naturalmente, senza considerare che questi chatbot possono partorire su nostra indicazione testi volutamente errati o contenenti un certo numero di imprecisioni così da renderli, appunto, un po’ meno asettici e neutrali da come di solito tendono a uscire fuori a un prompt standard. Una mossa che ne rende la valutazione dell’origine, specialmente se slegata dalla conoscenza approfondita di uno studente com’è possibile alle scuole superiori ma molto più improbabile in un contesto universitario per non parlare del mondo della formazione e della valutazione da quella professionale ai concorsi pubblici, pressoché impossibile.