La Stampa, 24 luglio 2025
Noi in attesa di morire
«Vorrei che mi aiutaste a morire in Italia. Vi prego, rispondete a questo mio accorato appello». Vittorio (nome di fantasia) da quattro anni ha una diagnosi di adenocarcinoma al polmone, ma il tumore è ormai arrivato fino alle ossa. Le sue gambe si stanno lentamente paralizzando, il corpo non gli risponde più. La sua condizione, dice, ormai è invalidante e frustrante. «Da quando è subentrata questa malattia così cattiva ho cercato di pensare a quello che vorrei per il mio fine vita, perché la prospettiva è molto dolorosa – racconta l’uomo -. Sono già seguito dalle cure palliative, ma sono comunque profondamente infelice per il futuro che mi attende e sbigottito dalla stupidità di questo Stato che non concede clemenza nella scelta del fine vita».
Vittorio affida le sue parole a un messaggio lasciato al numero bianco dell’associazione Luca Coscioni (06-99313409), un servizio gratuito e gestito da personale formato, nato per dare risposte alle richieste dei malati, con particolare attenzione ai diritti nel fine vita. A coordinarlo è Valeria Imbrogno, compagna di dj Fabo. Il telefono squilla di continuo, ogni giorno almeno sette richieste riguardano l’aiuto a morire.
Negli ultimi dodici mesi sono arrivate in tutto 16.035 domande di informazioni sui vari aspetti del fine vita, compreso il testamento biologico e l’accesso alle cure palliative. Di queste, però, 1.707 hanno riguardato in modo specifico l’eutanasia e il suicidio medicalmente assistito (circa cinque richieste al giorno), sono poi 393 le richieste di informazioni rispetto all’interruzione delle terapie e alla sedazione palliativa profonda (più di una al giorno). Inoltre, altre 580 persone hanno chiesto come poter accedere alle procedure italiane o di avere contatti con le strutture svizzere per il percorso di morte volontaria medicalmente assistita.
A chiamare sono persone il cui stadio della malattia è arrivato a livello terminale, ma anche familiari e amici di chi non resiste più alle cure. Richieste di informazioni che spesso si tramutano in un grido di aiuto.
Sara la sua domanda la fa attraverso il puntatore oculare. Ha 56 anni e una malattia neurodegenerativa, che limita tutti i suoi movimenti. «Ho fatto qualsiasi terapia. Ma la situazione perdura dal 2017 e, giorno dopo giorno, peggiora – racconta -. Vorrei congedarmi dal mondo perché la sofferenza e le condizioni in cui sono costretta a sopravvivere si sono fatte troppo pesanti». La donna si informa anche sugli aspetti legali: «Non voglio che mio fratello possa avere problemi – dice -. È la persona a cui tengo di più e che mi assiste. Grazie a lui sopravvivo ancora a casa mia». Caterina, invece, scrive per sua madre malata oncologica, con una diagnosi di mesotelioma in fase terminale, non più curabile. «Mi sento in colpa perché ho aspettato troppo a lungo – sottolinea la ragazza -. Mia madre è in hospice domiciliare, è seguita da terapia del dolore e dal servizio Adi (assistenza domiciliare integrata, ndr). Ha fatto la chemioterapia per tre anni ma ora l’ha sospesa, è ormai allettata con l’ossigeno h24 ma comunque ancora vigile e lucida. E ora vuole fare domanda per la morte volontaria medicalmente assistita».
Ad oggi, sono 14 le persone che hanno ricevuto il via libera per l’accesso al suicidio assistito in Italia in base alla sentenza della Corte costituzionale. Di queste, 9 hanno avuto accesso alla pratica, cinque hanno scelto di non procedere o non hanno potuto farlo.
Di vera e propria «emergenza sociale, che cresce ogni anno» parla Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni: «Per fortuna oggi gli avanzamenti della scienza medica consentono tecnicamente di tenere in vita le persone molto più a lungo – sottolinea -. Ma questa sopravvivenza per alcuni si può tramutare in una tortura che va avanti contro la volontà delle persone, per questo bisogna riconoscere la possibilità di scelta». In attesa di poter accedere al suicidio assistito c’è anche Martina Oppelli, una donna di Trieste di 49 anni con sclerosi multipla secondaria progressiva. Malata dalla fine degli anni ’90, ha avuto la sua prima diagnosi a soli 28 anni e oggi è tetraplegica. Ma per lei le speranze sono poche: il 4 giugno ha ricevuto il terzo “no” dall’azienda sanitaria perché non avrebbe alcun trattamento di sostegno vitale in corso, requisito per poter avere l’ok alla procedura.
«Quello di Martina è un caso noto, ma in Italia esiste un sommerso consistente di persone che ci contattano perché non sanno come fare ad accedere a un diritto – aggiunge Cappato -. Laura Santi ci ha messo tre anni a morire dopo il via libera, possiamo immaginare cosa succeda a chi non ha i mezzi e non sa come chiedere aiuto. La realtà clandestina, che esiste nel nostro paese e che nessuno vuole vedere, mi spaventa molto». Per il referente dell’associazione Coscioni serve dunque un cambio di passo, che non avverrà certo con la nuova norma in discussione in Parlamento. «Questa legge cancella i diritti che esistono, non ne crea di nuovi – sottolinea -. Se fosse stata in vigore, avrebbe impedito anche a Laura Santi di fare la sua scelta». —