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 2025  luglio 24 Giovedì calendario

La «pazzia» del voto alle donne deve quasi tutto a Kate Sheppard

Il 4 giugno 1913, nell’ippodromo inglese di Epsom Downs, improvvisamente una donna sgusciò tra la folla accalcata a seguire una gara di galoppo, tentando di afferrare le briglie del cavallo di proprietà del re Giorgio V. Caduta a terra con violenza, la malcapitata morì pochi giorni dopo a causa delle gravi ferite riportate. Il personaggio in questione era Emily Davison, suffragetta inglese quarantenne, la quale aveva cercato, invano, di attaccare al cavallo del sovrano la bandiera viola-bianco-verde del movimento delle suffragette, in modo da pubblicizzare la battaglia per il voto femminile.
Per nulla (o quasi) impressionato dalla caduta della Davison, Giorgio V si preoccupò piuttosto delle condizioni del cavallo e del fantino; la regina scrisse un telegramma a quest’ultimo, augurandogli pronta guarigione dopo «un triste incidente provocato dal comportamento deplorevole di una donna pazza e terribile»
. Ben altra accoglienza, invece, ricevette la sfortunata impresa della Davison dalla Women’s Social and Political Union, ovvero il movimento delle suffragette, impegnato nella lotta per l’uguaglianza fra uomo e donna, che da subito considerò la Davison un’eroina. Leader del movimento, che aveva fondato nel 1903 insieme con le due figlie, era Emmeline Pankhurst, immortalata nel bel film Suffragette del 2015: una donna a dir poco tosta, che tra il 1908 e il 1914 finirà in carcere una dozzina di volte. Suo lo slogan del movimento: «Azioni non parole». Nel novembre di quello stesso 1913, invitata negli Usa, Pankhurst pronunciò un importante intervento dal titolo “Libertà o morte”. «Le donne – uno dei passaggi- chiave – sono molto lente a risvegliarsi, ma una volta risvegliate, una volta che sono determinate, niente sulla terra e niente in cielo le farà cedere; è impossibile». Con ben vent’anni di anticipo rispetto a questi eventi, il 19 settembre 1893 – esattamente dall’altra parte del mondo – avvenne una svolta ancor più significativa, grazie a una donna molto meno nota di Pankhurst: Kate Sheppard. Con l’approvazione dell’Electoral Act, in quella data infatti fu concessa alle donne la possibilità di votare in Nuova Zelanda, che così diventò il primo Paese al mondo a raggiungere questo importante traguardo di civiltà. Dieci settimane dopo, i due terzi delle donne neozelandesi con più di 21 anni si recarono alle urne, con la stessa incredibile emozione con cui lo avrebbero fatto quasi mezzo secolo dopo le italico. liane nel 1946 (come efficacemente mostrato da
C’è ancora domani, la fortunata pellicola di Paola Cortellesi). Il merito di questo risultato storico della Nuova Zelanda – Paese del quale è nota la passione per il rugby e poco più – va attribuito in larga parte alla tenacia e al coraggio di Kate Sheppard, figura pressoché sconosciuta fuori dai confini nazionali, benché nel 1909 sia stata eletta vicepresidente onoraria del Consiglio Internazionale delle Donne. N ata come Catherine Wilson Malcolm a Liverpool il 10 marzo 1847 da genitori scozzesi, la giovane Kate – dotata di non comuni capacità intellettuali e forte di una buona preparazione scolastica – aderì ai principi religiosi cristiani trasmessigli soprattutto da uno zio, pastore evange Qualche anno dopo la morte del padre, Kate salpa dall’Inghilterra alla volta della Nuova Zelanda, con la famiglia, e si stabilisce a Christchurch. Lì, all’età di 24 anni, si sposa e, 9 anni più tardi, partorisce il suo primo e unico figlio. Ben presto si distingue come membro attivo della Trinity Congregational Church, dedicando il suo tempo ai corsi biblici e alla raccolta fondi. Si impegna strenuamente nella battaglia per l’abolizione di alcol e droghe, sulla scia del successo della Wctu ( Women’s Christian Temperance Union), fondata negli Stati Uniti nel 1874, protagonista di una crociata contro l’alcol condotta da un gruppo di donne negli Stati del Midwest. Nel 1885 Mary Leavitt, una “missionaria” del Wctu, visita Australia e Nuova Zelanda per diffondere il messaggio dell’organizzazione: Sheppard è una delle prime a raccoglierlo e sarà, non a caso, una delle fondatrici della sezione neozelandese del sindacato, che promuove riforme sociali e legislative in materia di astinenza da alcolici e per il benessere di donne e bambini. Così Raewyn Dalziel, autore di Women Together: a History of Women’s Organisations in New Zealand (“Donne insieme: una storia delle organizzazioni femminili in Nuova Zelanda”), descrive la Sheppard: «Oratrice e scrittrice di successo, era motivata da principi umanitari e da un forte senso di giustizia : «Tutto ciò che separa, che si tratti di razza, classe, credo o sesso, è disumano e deve essere superato». La sua era una voce silenziosamente determinata, persuasiva e di una femminilità disarmante». Ben presto Kate e le sue compagne, però, si resero conto che le loro lotte sarebbero state ben più efficaci se le donne avessero avuto il diritto di voto e una rappresentanza in Parlamento. All’epoca in Nuova Zelanda potevano votare gli uomini di età superiore ai 21 anni; le donne erano considerate de facto alla stregua dei minorenni, dei pazzi e dei criminali.
Nel 1891 la Wctu presentò una prima petizione al Parlamento a sostegno del suffragio femminile; la firmarono oltre novemila donne, che diventarono più del doppio quando ne venne inoltrata una seconda l’anno successivo. Nel giugno 1891 Kate Sheppard inizia una collaborazione fissa col Prohibitionist, la rivista nazionale pro-temperanza, il che contribuisce non poco alla sensibilizzazione delle coscienze. I risultati si vedranno nel 1893, quando una nuova petizione per il voto alle donne verrà appoggiata da ben 32mila firme: il piccolo gruppo di 600 donne della WCTU era riuscito a mobilitare l’opinione pubblica.
Nel 1894, l’anno dopo l’approvazione dell’Electoral Act, Sheppard tornò in Inghilterra e si rese protagonista di un frenetico tour di discorsi pubblici e dibattiti a sostegno del diritto di voto alle donne. Partecipò inoltre al convegno biennale della World’s Woman’s Christian Temperance Union a Londra nel giugno del 1895 come delegata neozelandese; i suoi discorsi furono riportati su giornali britannici e neozelandesi. Nel 1896 Sheppard assume l’incarico di direttrice del giornale della Wctu, il primo in Nuova Zelanda ad essere di proprietà, gestito e pubblicato esclusivamente da donne. Il nome della testata, The White Ribbon: for God, Home, and Humanity, si riferiva al nastro, annodato a fiocco, indossato dalle donne della Wctu come simbolo della loro «purezza di intenti». Un linguaggio che oggi può farci sorridere, ma che nulla toglie alla rilevanza dell’impegno politico di Sheppard e delle sue compagne, capace di ottenere un risultato che la “civile” Svizzera conseguirà soltanto nel 1971. Per questo, c’è da sperare che nei manuali scolastici del futuro – che fortunatamente sono sempre meno eurocentrici e maschilisti rispetto al passato – trovi posto anche un personaggio come Kate Sheppard, il cui volto oggi compare sulle banconote neozelandesi da 10 dollari.