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 2025  luglio 23 Mercoledì calendario

Diga di Roberto Rosano Anteprima Diga La diga più grande del pianeta sta sorgendo nel cuore dell’Himalaya, e non è solo un’impresa tecnica: è una dichiarazione geopolitica

Diga
di Roberto Rosano
Anteprima
Diga La diga più grande del pianeta sta sorgendo nel cuore dell’Himalaya, e non è solo un’impresa tecnica: è una dichiarazione geopolitica. La Cina ha ufficialmente avviato la costruzione della Motuo Hydropower Station sul fiume Yarlung Tsangpo, in territorio tibetano. Quando sarà completata, supererà per potenza la già colossale Diga delle Tre Gole. La differenza? Questa volta, le conseguenze travalicano confini e minacciano interi ecosistemi.
 
Fiume Il fiume Yarlung Tsangpo scorre dallo spartiacque tibetano verso Sud-Est, trasformandosi nel Brahmaputra in India, e poi nel Jamuna in Bangladesh. Un fiume vitale per milioni di persone, agricoltori, pescatori, comunità tribali. Ora, la Cina ne prenderà il controllo alla sorgente. Un vantaggio strategico che, secondo molti analisti, le conferirà un potere senza precedenti sull’intero subcontinente [Lowy Institute]. Un rapporto del 2020 dello stesso think tank australiano è lapidario: «Il controllo di questi fiumi garantisce alla Cina una presa alla gola sull’economia indiana».
 
Acqua Le reazioni non si sono fatte attendere. Il governo indiano ha espresso «serie preoccupazioni» per l’impatto che il progetto potrebbe avere sui paesi a valle, chiedendo trasparenza e consultazioni multilaterali. Pechino, come da copione, ha ribadito il suo «legittimo diritto» a costruire dighe sul proprio territorio [al-Jazeera].
Ma il confine è poroso, il fiume è condiviso, e la stabilità idrica non conosce passaporti. A lanciare l’allarme è stato anche il capo del governo dell’Arunachal Pradesh, Pema Khandu, che ha parlato apertamente di «minaccia esistenziale» per le tribù locali. «Se la Cina dovesse rilasciare grandi quantità d’acqua all’improvviso, intere regioni verrebbero sommerse» [Pti].
 
Arma L’ipotesi più temuta: un rilascio idrico controllato che provochi alluvioni a valle. Una sorta di «bomba d’acqua» pronta a essere sganciata, anche solo per pressione diplomatica. Non è solo teoria: l’India sta già correndo ai ripari: sta progettando una propria diga sul fiume Siang (uno dei rami del Brahmaputra) per contenere eventuali ondate cinesi e stabilizzare i flussi [Guardian].
Anche il Bangladesh, fanalino di coda lungo il corso del fiume, ha inviato una richiesta formale a Pechino per ottenere dettagli sul progetto. Risposta ricevuta? Nessuna, o comunque nulla di concreto.
 
U Il sito prescelto è spettacolare e inquietante. La diga sorgerà nel Great Bend, un’ansa vertiginosa dove il fiume compie una svolta a U attorno al monte Namcha Barwa, precipitando di centinaia di metri. Un canyon profondo e remoto, considerato il più lungo e profondo sulla terraferma. Qui, gli ingegneri cinesi scaveranno tunnel da 20 chilometri per deviare parte del flusso. È prevista la costruzione di cinque centrali idroelettriche a cascata. Secondo l’agenzia statale Xinhua, l’energia sarà trasportata fuori dal Tibet verso le regioni orientali più industrializzate, lasciando solo una frazione alla popolazione locale. Il progetto, il cui costo si aggira intorno ai 167 miliardi di dollari, è una delle colonne portanti della strategia «xidian dongsong» – trasferire elettricità dall’Ovest rurale all’Est urbano – fortemente voluta da Xi Jinping [Bbc].
 
Tibet Pechino descrive le dighe come soluzioni win-win: energia pulita, sviluppo rurale, riduzione dell’inquinamento. Ma è propaganda, secondo molti attivisti tibetani, i quali denunciano un uso coloniale del territorio: le montagne sacre diventano serbatoi, i villaggi vengono spazzati via, le proteste messe a tacere.
Nel 2024, centinaia di tibetani sono stati arrestati per aver manifestato contro un’altra diga. Le forze dell’ordine hanno risposto con la consueta brutalità: arresti di massa, percosse, video censurati. Alcuni manifestanti, secondo fonti verificate dalla Bbc, sono rimasti gravemente feriti.
 
Rischi Costruire dighe giganti su una delle aree più instabili del pianeta non è solo un azzardo politico, ma geologico. L’Himalaya è attraversato da faglie attive. Un terremoto potrebbe causare il crollo delle infrastrutture e innescare disastri su scala continentale. Non solo: l’allagamento delle valli tibetane sommergerà aree di alta biodiversità, dove vivono specie endemiche e comunità che da secoli custodiscono un fragile equilibrio ecologico. La «modernizzazione» targata Pechino cancella tutto con una colata di cemento.
Dominio C’è chi la chiama transizione ecologica. Ma qui l’energia rinnovabile è solo la facciata. Il vero obiettivo è il controllo. Controllo dell’acqua, delle terre, delle popolazioni e dei flussi energetici. Con la diga del Motuo, la Cina non costruisce solo turbine: erige un nuovo pilastro del proprio imperialismo idrico. Nel frattempo, India e Bangladesh restano spettatori di una partita in cui il tabellone è nascosto e le regole le scrive solo una parte. Il resto del mondo osserva. Distratto, o forse rassegnato.
Roberto Rosano
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