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 2025  luglio 23 Mercoledì calendario

Zangezur, il corridoio di 43 chilometri che proietta gli Stati Uniti nel Caucaso

Il confine fra Armenia e Iran era già uno dei luoghi più “caldi“del Caucaso. Con la costruzione del “corridoio di Zangezur”, che consisterà in una sede ferroviaria e una stradale, rischia di impattare su una regione già abbastanza destabilizzata. Di mezzo, c’è il controllo geopolitico dell’area, un tempo appannaggio della Russia e ora al centro degli appetiti della Turchia e soprattutto degli Stati Uniti, dove chi controlla quella parte di mondo, può anche influenzare le future vie dell’energia.
Sulla carta, il “corridoio” servirà a connettere l’Azerbaigian con la exclave di Nakhchivan. Due terre separate dall’Armenia. Baku e Yerevan sono nemiche giurate per motivi religiosi e territoriali, con la prima uscita notevolmente rafforzata dopo le guerre fra il 2020 e il 2023, che le hanno permesso di riconquistare molte posizioni in Nagorno-Karabakh, a maggioranza armena, ma di fatto in territorio azero.
All’Armenia, uscita sconfitta, non è rimasto altro che accettare condizioni molti pesanti, fra cui acconsentire alla costruzione del “corridoio Zangezur” e realizzarne una parte.
Già così, la situazione era complessa. Ma il Caucaso è la terra delle complicazioni per eccellenza. Il passaggio, infatti, corre lungo il confine fra Armenia e Iran. Da almeno un anno Teheran aveva fatto sapere di non approvare la sua costruzione, adducendo rischi per la propria sovranità. Poi è arrivata la goccia che rischia di fare traboccare il vaso: gli Stati Uniti si sono proposti di gestire la tratta, ufficialmente per garantirne la sicurezza.
Con questa mossa, Washington vuole entrare a gamba tesa nelle dinamiche della regione, in un vero e proprio “gioco degli imperi”, dove gli schieramenti sono tanto chiari quanto contrapposti. E gli interessi altissimi.
Da una parte c’è l’Iran, un tempo potenza regionale per eccellenza e ora indebolito non solo dalla guerra con Israele, ma anche dal fatto che il suo partner principale, ossia la Russia di Vladimir Putin, sta concentrando le sue risorse sul conflitto contro Kiev e soprattutto non ha più il controllo sul Caucaso di un tempo. La Georgia imita il modello di Mosca, ma la tiene alla giusta distanza. L’Azerbaigian, la nazione più potente, ha da tempo preso una strada autonoma e il presidente Aliyev non è certo uno che si fa dettare l’agenda da altri. Adesso sta perdendo anche l’Armenia, che sta cercando di uscire dal giogo russo ed entrare nell’orbita di Washington.
Russia e Iran, dunque, devono vedersela con nazioni non sempre legate fra di loro, ma intenzionate a ritagliarsi un ruolo nella regione.
Non solo l’Azerbaigian. A impensierire il Cremlino ci sono la Turchia e soprattutto proprio gli Stati Uniti. Ankara ha da tempo una comunione di intenti con Baku in funzione antiarmena e nelle rotte commerciali ed energetiche.
La Casa Bianca è attirata non solo da una maggiore presenza nel Caucaso, ma anche dalle opportunità di business. Se l’affare dovesse andare in porto, la gestione per 100 anni del “corridorio di Zangezur” potrebbe fare entrare nelle casse statali dai 50 ai 100 miliardi di dollari all’anno. Il passaggio, poi, connetterebbe il Caspio con la Turchia e dunque con l’Europa.
Significa la possibilità di fare arrivare gas dall’Eurasia in Occidente e privare la Russia della sua maggiore fonte di sostentamento economico, oltre a impedirle di ricattare i Paesi che dipendono dai suoi approvvigionamenti energetici. A tutto questo, si aggiunge anche la possibilità di monitorare da vicino un Paese, l’Iran, già da tempo considerato un “sorvegliato speciale” e mandare un messaggio alla Cina, che proprio con la Repubblica Islamica ha avviato un imponente programma di investimenti. E tutto con il controllo di 43 chilometri di ferrovia.