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 2025  luglio 21 Lunedì calendario

Bitcoin street

Wall Street ha deciso di scendere in strada. Main Street, per la precisione. Nelle stesse settimane in cui il Congresso americano ha approvato il Genius Act, dando semaforo verde alle stablecoin private denominate in dollari, le principali banche statunitensi stanno accelerando sul fronte delle criptoattività, abbandonando le vecchie ritrosie e puntando con decisione su uno degli strumenti più interessanti, e controversi, dell’ecosistema digitale.
JPMorgan, Bank of America, Citigroup e Goldman Sachs stanno studiando o già sviluppando soluzioni proprie, con stablecoin bancarie, token di deposito e piattaforme per la custodia e il regolamento di cripto-asset. È un cambio di paradigma radicale, favorito dal nuovo contesto politico: con la seconda amministrazione Trump, gli Stati Uniti hanno sposato la causa delle criptovalute come asset strategici nazionali, spingendo per una deregolamentazione aggressiva, mentre l’amministrazione sta facendo abbandonare alla Federal Reserve ogni ipotesi di dollaro digitale pubblico. La spinta normativa ha offerto il quadro giuridico che mancava: il Genius Act, firmato dal presidente, consente ora a banche e big tech di emettere stablecoin private a fronte di requisiti patrimoniali netti (un token, un asset reale), inaugurando un’era di privatizzazione monetaria su scala globale.
Jamie Dimon, amministratore delegato di JPMorgan e da anni scettico verso il bitcoin, ha ribadito l’intenzione della banca di restare protagonista del mercato dei pagamenti, anche tramite moneta digitale. «Saremo coinvolti nei deposit token e nelle stablecoin», ha detto agli analisti, pur ammettendo di non comprenderne del tutto l’appeal. «Non so perché qualcuno dovrebbe voler usare una stablecoin invece di un normale pagamento, ma dobbiamo esserci». Un atteggiamento pragmatico, che rispecchia la crescente consapevolezza che l’infrastruttura dei pagamenti è sotto attacco: le fintech stanno erodendo le quote di mercato con offerte basate su blockchain, più rapide ed economiche rispetto ai sistemi tradizionali come Swift e Ach.
Citigroup si è spinta ancora oltre. La ceo Jane Fraser ha confermato che il gruppo sta valutando il lancio di una propria stablecoin, oltre a lavorare su soluzioni di custodia per cripto-asset, servizi di riserva e convertibilità tra moneta fiat e token digitali. «Quello che i nostri clienti vogliono sono soluzioni multi-asset, multi-banca, transfrontaliere e sempre attive», ha detto Fraser. Citigroup ha già avviato Citi Token Services, una piattaforma basata su blockchain che consente trasferimenti in tempo reale, 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, a livello globale. La banca si propone come ponte tra il sistema regolato e l’universo cripto, sfruttando la propria rete globale per offrire fiducia e interoperabilità a un mercato ancora percepito come opaco.
Bank of America, più cauta, ha comunque ammesso che il gruppo è al lavoro su una stablecoin e che si muoverà nel settore non appena il contesto di domanda sarà più maturo. Il ceo Brian Moynihan ha dichiarato che l’industria bancaria deve rispondere all’assalto delle nuove forme di pagamento, replicando quanto già fatto con l’introduzione di Zelle, ovvero una app per il trasferimento di denaro tra privati, per contrastare Venmo, il leader del settore. «Possiamo spostare denaro in modo efficiente e dobbiamo essere consapevoli dell’attacco al sistema dei pagamenti. Saremo lì a difenderlo», ha detto.
Il Genius Act rappresenta il quadro normativo che mancava per legittimare questo tipo di sperimentazioni. Frutto della spinta della nuova dottrina economica dell’amministrazione Trump, la legge consente l’emissione di stablecoin da parte di attori privati con standard di riserva meno stringenti rispetto alla legislazione europea e maggiore flessibilità operativa, allargando la strada a un ecosistema in cui la moneta privata può affiancarsi – o sostituire – quella pubblica nei pagamenti quotidiani. In questo contesto, i principali istituti finanziari vedono un’opportunità per consolidare il proprio ruolo, recuperare terreno rispetto alle criptoattività e mantenere il dollaro al centro della finanza globale.
Il mercato, intanto, sembra premiarli. Le azioni di Citigroup sono salite del 35% nelle ultime 52 settimane, JPMorgan del 38,5%, Goldman Sachs del 45,4%, mentre il titolo di Bank of America ha guadagnato oltre il 3,5%, a fronte di un S&P 500 in rialzo del 7,3% da inizio anno. Il rally è stato spinto anche dal successo dell’Ipo di Circle, l’emittente della stablecoin USDC, che ha visto come sottoscrittori principali proprio JPMorgan, Goldman e Citi, segno di una crescente convergenza tra finanza tradizionale e criptoeconomia.
Ma l’ingresso delle banche su “Main Street” attraverso le stablecoin ha anche un significato simbolico. Si tratta di un’appropriazione dello spazio fintech, con i grandi gruppi che riprendono l’iniziativa su uno dei terreni che rischiavano di perdere. «Per tutte le ragioni per cui JPMorgan e Citi hanno dominato i pagamenti tradizionali, lo stesso avverrà con i pagamenti in stablecoin», ha affermato David Donovan di Publicis Sapient. È il “gold backing” della fiducia bancaria che potrebbe fare la differenza nelle cripto.
Il quadro resta fluido. Morgan Stanley segue gli sviluppi da vicino, ma preferisce restare prudente. «È ancora troppo presto per capire come una stablecoin possa adattarsi ai nostri modelli di business», ha detto la cfo Sharon Yeshaya, pur riconoscendo l’importanza di esplorare l’ecosistema in continua evoluzione. Anche Goldman Sachs mantiene un profilo basso, sottolineando le potenziali applicazioni future più che un impegno immediato.
A livello macroeconomico, l’offensiva delle banche americane sulle stablecoin è coerente con l’agenda strategica delineata dalla Casa Bianca. Come riportato nel paper del consigliere economico dell’amministrazione Stephen Miran dello scorso novembre, l’obiettivo è mantenere il dollaro al centro della nuova architettura finanziaria globale. Dopo anni di incertezza, la politica statunitense ha scelto di abbandonare ogni ipotesi di central bank digital currency e puntare invece su cripto-asset privati, in un’inedita convergenza tra interessi pubblici e non. Secondo il Washington Post, almeno 70 figure apicali dell’amministrazione Trump detengono partecipazioni dirette in criptovalute o aziende del settore, compreso lo stesso presidente, con asset stimati in oltre 51 milioni di dollari.
L’Europa osserva con preoccupazione. La Banca dei regolamenti internazionali ha lanciato l’allarme: una diffusione incontrollata di stablecoin statunitensi nell’eurozona potrebbe minare la stabilità finanziaria e la trasmissione della politica monetaria della Bce, favorendo una “dollarizzazione digitale” difficile da contenere. L’euro digitale è ancora in fase sperimentale, mentre il regolamento MiCA impone criteri stringenti che rischiano di rendere l’ambiente europeo meno attrattivo per operatori e investitori. Il rischio è che cittadini e imprese europee si orientino verso soluzioni più semplici e liquide.
Intanto, però, negli Stati Uniti le banche giocano d’anticipo. Non si tratta solo di esplorare tecnologie innovative, ma di difendere il controllo su una delle funzioni fondamentali della finanza: il potere di emettere e trasferire moneta. In un mondo in cui il denaro si tokenizza e i flussi si muovono senza freni, chi controlla la moneta controlla l’economia. Le banche di Wall Street lo hanno capito e non intendono più restare a guardare.