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 2025  luglio 21 Lunedì calendario

Abdallah, l’ultimo prigioniero: spie, Usa e false accuse al leader libanese

La Corte d’appello di Parigi ha preso la sua decisione sul caso di Georges Ibrahim Abdallah il 17 luglio scorso, al termine di una breve udienza: Abdallah, 74 anni, è scritto sul testo della sentenza, “è posto sotto il regime della libertà condizionale a partire dal 25 luglio, a condizione che lasci il territorio nazionale e non torni più”. Il militante comunista libanese è quindi libero e partirà appunto per il Libano nei prossimi giorni. “È una vittoria politica contro gli Stati Uniti, che hanno chiesto al tribunale di non concedere la libertà al mio cliente, come del resto hanno fatto tutti i presidenti della Repubblica francese, da Jacques Chirac a Emmanuel Macron. Ma la giustizia va oltre la politica, e quindi questa è anche una vittoria per la giustizia francese”, ha commentato l’avvocato di Abdallah, Jean-Louis Chalanset, dopo l’udienza. “Se gli israeliani lo assassineranno a Beirut, come è possibile che accada – ha aggiunto -, almeno morirà libero, da resistente, come lo considera il popolo libanese”. “Finalmente questa ingiustizia giuridica e politica è terminata. Era ora”, ha osservato José Navarro, che, quindici anni fa, insieme a Daniel Larregola, ha fondato il Comitato di sostegno a Georges Ibrahim Abdallah, che è detenuto nell’istituto penitenziario di Lannemezan, sui Pirenei, alla frontiera con la Spagna. “Malgrado le pressioni politiche, abbiamo voluto credere nella giustizia del nostro Paese. E i giudici hanno preso un’ottima decisione“, ha dichiarato la deputata comunista Elsa Faucillon, che si è detta “felice” per Abdallah e “per ciò che la sua liberazione rappresenta per la sua lotta”.
Quella lettera di Washington ai giudici Georges Ibrahim Abdallah era stato condannato all’ergastolo dal Tribunale dell’antiterrorismo francese nel 1987 per complicità nell’assassinio del 1982, a Parigi, di due diplomatici, un americano e un israeliano: il tenente colonnello statunitense Charles R. Ray e il consigliere dell’ambasciata israeliana Yacov Barsimantov. La Fazione armata rivoluzionaria libanese (FARL), un gruppo armato di ispirazione marxista co-fondato da Abdallah nel 1981 che, opponendosi all’occupazione israeliana del Libano aveva esportato la guerra in Europa, aveva rivendicato i due omicidi. Nel novembre 2024, la giustizia francese ha dato il via libera alla liberazione di Abdallah, che di fatto era tecnicamente possibile già dalla fine degli anni Novanta. Ma il pm francese ha fatto appello e gli Stati Uniti, che da quarant’anni si oppongono alla sua scarcerazione, si sono costituiti parte civile, sostenendo che Abdallah non poteva uscire di prigione perché “non si è mai pentito”. Se venisse rilasciato, avevano avvertito gli americani in una missiva ai giudici, che Mediapart ha potuto consultare, Abdallah “sarà libero di riprendere i suoi progetti violenti” e “i diplomatici e i funzionari consolari americani saranno esposti a maggiori pericoli”. Il ritorno di Abdallah in Libano, aggiungevano, inoltre “sarebbe un elemento di ulteriore destabilizzazione in una regione già instabile”.
Nel corso degli anni diverse irregolarità sono emerse nel processo contro Georges Ibrahim Abdallah. Innanzi tutto si sa che il suo primo legale, Jean-Paul Mazurier, era in realtà un agente dei servizi francesi. Charles Pasqua, il ministro dell’Interno dell’epoca, e Robert Pandraud, ministro delegato alla Sicurezza, hanno inoltre accusato Abdallah e i suoi fratelli, a torto, di essere i mandanti dei sei attentati di Parigi del settembre 1986. Infine, sul procedimento sono sempre pesate le ingerenze degli Stati Uniti, che hanno fatto direttamente pressione per impedire la messa in libertà di Abdallah. “Si sono verificati talmente tanti rovesci negli ultimi tredici anni che non ci credevo più”, ha confidato Jean-Louis Chalanset. Dal 1999, Abdallah ha presentato più di una dozzina di richieste di libertà vigilata, tutte respinte. Da allora, però, quasi tutti gli attivisti di estrema sinistra della sua generazione, detenuti per motivi simili, hanno nel frattempo ottenuto la libertà condizionale. Abdallah stava scontando il suo quarantunesimo anno di carcere nella prigione di Lannemezan. Più di lui sarà rimasto dietro le sbarre solo l’ottocentesco rivoluzionario francese Auguste Blanqui, soprannominato “l’enfermé” (il rinchiuso) per aver trascorso quarantatré anni in prigione. Nel 2013, quando una prima sentenza d’appello aveva convalidato l’ottava richiesta di scarcerazione di Georges Ibrahim Abdallah, a condizione che venisse espulso dalla Francia, l’allora ministro degli Interni, Manuel Valls, si era rifiutato di firmare l’ordinanza di espulsione. In un articolo pubblicato da Le Monde, Valls aveva fatto valere la sua scelta politica: “Lo tengo in prigione in cognizione di causa. È una decisione che prendo con convinzione. Non firmerò mai l’ordinanza di espulsione, ho informato il presidente François Hollande che mi ha appoggiato”.
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“Laico e comunista, diverso dai gruppi terroristici islamici” Tutti gli ostacoli ora sono stati rimossi. In un testo di trenta pagine, presentato il 15 novembre 2024, i giudici, motivando la loro decisione di concedere la condizionale al detenuto, hanno indicato che quarant’anni di reclusione “costituiscono indiscutibilmente un periodo che garantisce l’efficacia e l’esemplarità della pena”. Hanno descritto Abdallah come “laico e comunista, aspetto che lo distingue dai membri delle organizzazioni terroristiche islamiche”. E hanno anche ritenuto che il rischio di recidiva fosse “molto basso”. I giudici hanno concluso scrivendo: “Se è legittimo interrogarsi sul fatto che rappresenti ancora un simbolo per alcuni attivisti, il signor Georges Ibrahim Abdallah è innanzi tutto allo stadio attuale un uomo che è detenuto da più di quarant’anni, un lasso di tempo diventato sproporzionato tenendo conto degli atti che ha commesso e del pericolo che rappresenta oggi”. Il pm francese aveva dunque fatto appello e gli Stati Uniti avevano continuato a fare pressioni per tenerlo in carcere. Tuttavia, persino Georges Kiejman, l’avvocato di Washington nel processo del 1987, nelle memorie scritte nel 2021 con Vanessa Schneider (L’homme qui voulait être aimé, pubblicato in Francia da Grasset), dichiarava: “Georges Ibrahim Abdallah potrebbe essere rimesso in libertà. Provo nei suoi confronti una forma di rispetto che non provavo all’epoca”. A febbraio, la Corte d’appello di Parigi e gli Stati Uniti hanno stabilito che l’attivista libanese doveva pagare danni e interessi “sulla base della sua capacità contributiva”, di cui era stato discusso “in modo sommario durante il processo”. La decisione era stata quindi aggiornata al 19 giugno, per “consentire al condannato di dimostrare di aver compiuto uno sforzo sostanziale”. In carcere, senza lavoro e quindi senza reddito, Georges Ibrahim Abdallah avrebbe avuto difficoltà a trovare i 250.000 euro che gli venivano chiesti. Il 19 giugno, il suo legale, Jean-Louis Chalanset, ha comunicato ai giudici che 16.000 euro erano a disposizione delle parti civili sul conto di Abdallah presso la prigione di Lannemezan.
“L’appello della Cassazione? Lui sarà già fuori” Anche in questo caso, però, non era stato fatto nulla, poiché il detenuto non aveva detto esplicitamente che il denaro in questione sarebbe stato restituito agli Stati Uniti, ma solo che era “disponibile”. Nella sentenza del 17 luglio, la Corte d’appello ha finalmente accettato l’ovvietà: se l’avvocato degli Stati Uniti “ha tutto il diritto di insistere per recuperare questo denaro, più gli interessi, al condannato, che non ha risorse proprie, non si può ragionevolmente chiedere di rimborsare questo debito durante il periodo di detenzione”. Per chi ha potuto fargli visita negli ultimi mesi, Georges Ibrahim Abdallah sarebbe in buona forma fisica e mentale. “Pensa più alle vittime di Israele e degli Stati Uniti che a se stesso, ritenendo che alla fine il suo caso non sia così rilevante rispetto a tutte le persone che stanno morendo”, ha riferito Jean-Louis Chalanset il 19 giugno. Per ora i sostenitori di Abdallah restano prudenti. Il pm ha dieci giorni per fare appello, che però non avrebbe effetto sospensivo. Chalanset è quindi fiducioso: “Abdallah sarà già in Libano quando il caso sarà esaminato dalla Cassazione”.