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 2025  luglio 20 Domenica calendario

Ambra Angiolini: “L’ultima puntata di Non è la Rai il picco della mia bulimia. Ora ne farò un film”

Ambra Angiolini, che significa incontrare i ragazzi del Festival di Giffoni ?
«È come fare un tagliando. Magari c’è chi va sperando di insegnare qualcosa, io invece lo faccio per mettermi in crisi. Non penso mai di essere arrivata da qualche parte, mi piace andare lì e farmi smontare un po’. È un momento stupendo, una sorta di luna park: c’è un po’ tutto quello su cui io, da “imprenditrice emotiva” quale sono, lavoro ancora oggi».
Un momento speciale?
«Una ragazzina, tempo fa, al concerto di Neffa a Giffoni, mi ha dato un biglietto che conservo nel portafoglio: “Spero di diventare così importante da averti come protagonista di un mio film”. Che una dodicenne volesse investire su di me, già grande, l’ho trovato un gesto tenerissimo».
Parlerà anche di un tema delicato: i disturbi alimentari.
«I miei incontri con loro sono come le “buste a sorpresa” di quando eravamo piccoli, dentro ci trovi di tutto. È in diretta, non si può cancellare: il momento, l’imbarazzo, il silenzio del conoscersi. Il tema è importante, ma spero sempre che da lì nascano anche tante altre cose».
Il suo libro “InFame”, in cui ha raccontato come aveva affrontato la bulimia, diventerà un film.
«È una storia molto personale, una ferita che mi ha insegnato tanto. Quando l’ho scritto, ho capito quanto fosse tragicomico, e a tratti pericoloso, ciò che avevo vissuto. Ora, con la distanza giusta, mi rendo conto che è uno sguardo per chi pensa – da dentro – di non poter guarire mai. Sto scrivendo da sola, come mi ha chiesto il produttore Roberto Proia. È bellissimo avere una squadra».
Sarà anche attrice?
«No. Voglio godermi questa cosa da sceneggiatrice. La regia? Vedremo. Ora vivo per scrivere. Dovunque vada, ho con me il mio computer di mia figlia, mi ha fatto una cartella che si chiama “Mammona” in cui metto tutte le cose che scrivo. Poi le mando di notte a Francesco (Renga, ndr.), il papà dei miei figli, con cui ho un bellissimo scambio di idee».
Era giovanissima quando ha iniziato a soffrire di bulimia, ed era sotto i riflettori. Non facile da gestire.
«Su Instagram ho pubblicato molti articoli e servizi in cui il mio corpo, che si era trasformato, veniva preso in giro. Anche vent’anni fa, in Rai, andò in onda un servizio che ho poi ripubblicato: mi definivano “generazione XXL”. Ho scelto di non sottrarmi, di non rifiutare quella porcata. Ho deciso di affrontarla. Non l’ho mai vissuta da vittima. Mi sono ripresa tutto, anche le ferite. So che può far male a chi ha provato a fermarmi nella vita, ma non ci sono riusciti. Mi hanno solo fatto conoscere una donna più interessante di quella che avrei potuto essere se avesse prevalso la superficie».
La sua zattera ora è una nave.
«Sì, ho costruito tutto partendo dal dolore, dalle incongruenze, dall’essere “fuori coda”. Oggi sono fiera di essere ingestibile, perché io non vado gestita. Dopo 33 anni di lavoro ho anche qualche pretesa. E quel mio lato emotivo, che prima mi sembrava un limite, è diventato il più stabile. Un ossimoro, lo so».
Il tono del film?
«Una commedia irriverente. Io vivo così, con la vela e l’ironia sempre accese. Pericoloso, invece, è dare la colpa ai social, come se fosse tutto nato adesso. Il bullismo c’era anche prima, eccome».
Il momento difficile?
«Se guarda l’ultima puntata di Non è la Rai, ero nel pieno della malattia. Ero una ragazzina. E quella malattia ti frega, se non capisci da dove arriva. Oggi, a 48 anni, posso dire che sento tutto in modo speciale. Anche cose che non mi riguardano. Forse è per questo che sono arrivata a spiegarmi quella malattia come qualcosa che parte dalla “taverna” che ho dentro, nel corpo. Non è più una malattia, oggi è un aggettivo».
Quando si è scoperta bulimica?
«Nella libreria di un aeroporto. Mi sentivo strana ma funzionavo, avevo successo. Prendo un libro, Tutto il pane del mondo di Fabiola De Clercq. Lo apro. Leggo: “Vomito tutto quello che mangio”. Mi spavento. Lo chiudo. Lo compro. Lì ho capito. Ho dato un nome a quel male. Ero un animaletto tirato fuori da una tana, buttato in mezzo agli aeroporti, alle stazioni. Gigantesco tutto, mentre io a malapena mettevo insieme un congiuntivo. Anzi, li sbagliavo. Il momento più imbarazzante della vita: in diretta, Boncompagni in auricolare, sbaglio un congiuntivo e lui: “Ambra, con tutti i soldi per farti studiare…”, e continua a mangiare una brioche; perché era così: tenero e crudele allo stesso tempo. Ma il bello è che alla fine ridevamo. In regia, con il pubblico. Non c’erano i social. Altrimenti sarei stata distrutta».
Come ci convive oggi?
«Non vomito più, ma quella parte c’è. È diventata una forma di coscienza, un modo di sentire il mondo. Sono bulimica nel senso profondo, negli affetti, nel lavoro. Ho bisogno di abbracciare e di essere abbracciata. Di comunicare. Ho bisogno di verità».
Fa tante cose. In radio su RTL (“W l’Italia”), in sala dal 31 con “Afrodite”, per cui ha preso il brevetto subacqueo.
«Io scalo, l’altezza non mi dà noia, ma la profondità sì. Ho cominciato a fare immersioni, e anche lì ho messo la mia firma. Vedo un relitto, mi scordo di tutto, inizia una fase esplorativa. Lì sotto ho imparato a dominare l’ansia».
Il rapporto con la fama?
«Oggi si diventa famosi per niente. Per un rutto in do maggiore, come dico spesso. Essere famosi non è un lavoro. Io ero famosa ma non avevo un mestiere. Lì ho capito: devo costruire qualcosa. Solo lavorando ho trovato senso».
Guarda i talent?
«Preferisco quelli che fingere di guardare solo cose alte. Amo Temptation island: il montaggio, la musica. Il giovedì non si esce».
Ha detto tanti no?
«Ho lavorato per costruire la fortuna di poterlo fare. Aiuto tante donne costrette in situazioni in cui il problema non è dire “devi lasciarlo”, ma “dove vai dopo?”. Dobbiamo costruire anche il dopo, per tutte. A teatro porto Oliva Denaro, La reginetta di Leenane di Martin McDonagh e torno a casa con centinaia di abbracci».
Cosa la fa sorridere la mattina?
«La colazione con mia figlia. Io ostento la mia bruttezza, lei ride con le lacrime agli occhi. E rido anche per tante cose che non capisco. C’è gente che si finge morta, io rido».