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 2025  luglio 21 Lunedì calendario

Un prof del Prati commenta il caso degli studenti che fanno scena muta alla maturità

Le «cronache dalla maturità» hanno conosciuto quest’anno un’inattesa fiammata grazie alle imprese di un gruppo di studenti che, messo al sicuro il punteggio minimo, ha rifiutato di sostenere il colloquio orale. Svariate le spiegazioni offerte, come anche i commenti degli adulti, da chi ha lodato il gesto dadaista a chi ha invocato sui malcapitati i rigori della vita e del servizio militare.
Commenti fatti dimenticando che si tratta di ragazzi appena usciti dalla minore età, alle prese con un delicato momento di passaggio, e dunque meritevoli di un supplemento di attenzione.Le ragioni dei «ribelli» toccano aspetti tecnici, etici e psicologici. A chi ha approfittato di un bug nell’attribuzione dei punteggi risponderà il ministero stabilendo, correttamente, l’obbligo di sostenere l’esame per intero. A chi ha denunciato la freddezza di un numero, invocando una scuola meno competitiva, si possono riconoscere mille ragioni, più valide però per la valutazione dell’intero percorso scolastico, spesso simile a una corsa ad ostacoli, che di un esame finale. A chi infine ha lamentato la mancanza di ascolto e di empatia da parte della Scuola, incarnata per l’occasione dai sette commissari, si potrebbe paradossalmente rispondere che, rifiutando il colloquio, ha rinunciato all’occasione di farsi ascoltare davvero, forse per la prima volta nella sua carriera scolastica.La formulazione attuale del colloquio orale permette infatti un’ampia libertà, della quale avrebbero potuto approfittare i sei ribelli e pure i 500.000 compagni che in tutt’Italia, più o meno serenamente, hanno invece sostenuto l’ultima parte dell’esame. Molti lo hanno fatto: sono riusciti a esprimere le proprie idee politiche, a comunicare i propri interessi, a valorizzare le proprie esperienze; tanti altri, per agitazione e timidezza, avranno perso l’occasione e saranno rimasti qualche giorno come il sarto di Manzoni a rimpiangere ciò che poteva essere detto ma è stato taciuto; tanti avranno eseguito il compitino per liberarsi dal pensiero. Tutti o quasi, alla fine, insoddisfatti nel vedere il loro investimento ridotto a un asettico numerino tra i tanti della loro carriera scolastica.Il colloquio orale è il grande equivoco del nuovo esame di stato, la prova più profondamente cambiata rispetto al passato ma mai veramente compresa dal mondo della scuola nel suo complesso. Non sorprende che gli studenti lo affrontino con diffidenza, quando siamo noi insegnanti, per primi, a non valorizzarlo. E non sorprende il disincanto dei docenti, lasciati privi di indicazioni sulle implicazioni didattiche e sulle concrete modalità di attuazione del colloquio. Così l’orale diventa spesso il Calimero dell’esame di stato, mal tollerato da commissioni annoiate e liquidato da addetti ai lavori desiderosi di riformare per l’ennesima volta o addirittura abolire il detestato rito di passaggio.È un peccato, perché il colloquio orale, così come concepito dalla legge 62 del 2017, dovrebbe essere fra le prove d’esame la più innovativa, la più sfidante, la vera prova di «maturità». Questo perché è l’unica a sottrarre finalmente gli studenti dal tutoraggio del docente che «conduce» l’interrogazione, a lasciar loro la libertà – e la responsabilità – della selezione e della trattazione degli argomenti; e perché richiede la mobilitazione di competenze molto elevate: l’utilizzo del pensiero laterale, la capacità di focalizzazione, problem solving e flessibilità di fronte al “problema” costituito dal materiale proposto, la cura dei dettagli... tutti aspetti fondamentali per gli studi, per il lavoro, per la vita sociale e per la vita interiore di ciascuno di noi.Alcuni studenti possiedono già queste competenze e danno prova di interventi brillanti e originali. Altri meno, e può accadere che il colloquio si risolva in collegamenti forzati e in discorsi esitanti (come peraltro succedeva con le vecchie tesine). Ma il punto è che queste competenze dovrebbero essere insegnate e sviluppate dalla scuola stessa. Servirebbe dedicare tutto l’ultimo anno, oltre che alla doverosa verifica delle conoscenze, a preparare davvero gli studenti al colloquio: insegnando le tecniche, stimolando la creatività, incoraggiando l’autonomia. Prima di accantonare l’orale, varrebbe la pena esplorarne a fondo le potenzialità. Riempire di senso e di sostanza quella che rischia di restare solo una scatola vuota. E forse allora anche Maddalena, Gianmaria e gli altri protagonisti di una protesta ancora incerta potrebbero riconsiderare o chiarire meglio le proprie ragioni.