Corriere della Sera, 20 luglio 2025
Intervista a Massimo Boldi
Cipollino ne fa 80.
«Invecchiare è una fortuna, vado verso un futuro sconosciuto, sono curioso». Tra 4 giorni, il 23 luglio, Massimo Boldi festeggerà cotanto compleanno (a cena fuori con una cinquantina di amici, nella sua Milano).
Si scelga un regalo.
«Mi piacerebbe riavere indietro tutto quello che mi è stato tolto ingiustamente».
Ovvero?
«Io ho anche giocato con la vita, ho avuto tanto, ho accettato le cose belle e quelle brutte, però ho ingoiato certi rospi. E poi certo vorrei che mia moglie Marisa fosse ancora qui».
Quando l’ha incontrata era un batterista capellone.
«Li portavo lunghi, erano tanti, che grande libidine. Non sapevo che li avrei persi».
Faceva l’autista.
«Era il 1971, c’era l’austerity, chiuse pure il Derby, si lavorava poco. Ero il capofamiglia, i miei fratelli Fabio e Claudio erano più piccoli, mamma rimase vedova a 41 anni. Mi reinventai chauffeur di un conte che abitava a piazza San Babila».
Poi aprì una latteria.
«Lessi un annuncio. Cedevano la gestione di un bar uso trattoria in via Procaccini. Da bere potevo servire solo latte, gli alcolici li smerciavo sottobanco. Se non altro ci dava da mangiare. Un giorno entrò una ragazza. Bella, che gambe. Non ero un latin lover, mai fatto il pappagallo, con lei mi lanciai. Le offrii cappuccino e brioche. Mio fratello era preoccupato: “La signorina non paga?”».
Suo suocero non era entusiasta del fidanzamento.
«Le ripeteva: “Chill che futuro ti può dare? Canta e suona, è nu capellon”».
Renato Pozzetto.
«Lui e Cochi erano già famosissimi. Per me fu come vedere la Madonna».
Teo Teocoli.
«Lo incontrai in una villetta in via Lombardia in cui facevamo le prove. Ci mancava il cantante. Si presentò lui. Alto, moro, un bel figliolo. “Ragazzi, adesso qui comando io”. Fummo tentati di mandarlo a quel paese».
Cominciò l’epopea di «Non lo sapessi ma lo so» su Antennatre Lombardia. E delle tante vostre zingarate. Una che si possa raccontare.
«Una sera, primi anni ’80, ci aspettavano per una festa di Carnevale in un locale di Rimini. Il Paradiso. Partimmo tardi, sull’autostrada un nebbione pazzesco. Uscita Rimini-Nord. Intorno era tutto scuro. Non c’era nessuno. Non sapevamo dove andare. A un tratto nell’ombra apparve un tizio in bicicletta, che pedalava lento, intabarrato. “Scusi, signore”. “Che volete? Andate via”. “Ci dica almeno dove sta il Paradiso”. “Cari miei, il paradiso è la gno..a”. E se ne andò lasciandoci lì».
Con Teo pure dei bisticci.
«In camerino, per cretinate. O per soldi, quando si divideva. Dopo facevamo pace».
Serata da dimenticare.
«Al Petruzzelli di Bari, nel 1983. Trasmissione Azzurro, su Raiuno. Arrivammo sul palco e fummo fischiati pesantemente, prima ancora che aprissimo bocca. Per me fu una grossa umiliazione. Teo reagì: “Se non vi va, noi come siamo arrivati così ce ne torniamo a casa col nostro bel trenino”».
Enzo Jannacci disse: «Ricordati, nella vita piuttosto pane e sputo, ma da solo».
«Fu dopo una mia lite furibonda con Teo. C’ero rimasto male. Mi consigliava di credere in me stesso».
A «Drive In».
«Portai Cipollino che cercava di vendere enciclopedie a Carmen Russo. Lei aveva 24 anni, era una vera bomba».
Per l’ansia prendeva il Tavor.
«E lo prendo ancora. Quando devo entrare in scena mi parte davvero la “Ta-ta-ta-ta-tachicardia”. Dopo il primo applauso mi sciolgo. Però il Tavor guai a chi me lo toglie».
Il suo amico Berlusconi.
«Mi chiedeva sempre di fargli Fidelio Cam, ricchissimo mobiliere brianzolo. Come rideva. Mi sa che Silvio si rivedeva in lui».
Christian De Sica.
«Me lo presentò Luigi Canzi, impresario di Celentano. “Ti porto il figlio di Vittorio De Sica. Bravissimo, canta, insieme farete successo”. Arrivò una settimana dopo. Un ragazzotto bello cicciottino, elegantissimo. Sfoderò un Sennheiser, il Rolex dei microfoni, non se lo poteva permettere nessuno. Attaccò a cantare, uguale a come lo fa ora».
Vacanze di Natale ’95. La scena della vostra doccia.
«Eravamo nudi per davvero. Tranquilli, si rideva e si scherzava. Buona la prima».
Quella volta che... vi siete tenuti per mano.
«Durante un violento temporale sul volo da Tucson a Los Angeles, un DC-10 dell’American Airlines. Si ballava da morire. Pum-pum. A un tratto Christian mi guarda: “Massimè, ho tanta paura, che mi daresti la manina?”».
Da anni avete fatto pace. Ma perché avete rotto?
«Noi non abbiamo mai litigato, è falso. Ci siamo separati, sì. Dopo la morte di Marisa volevo fare altro, qualcosa che restasse per le mie figlie. Era giusto staccarmi. Il nostro duo faceva successo, però qualcosa non ingranava più come i primi tempi».
Raccontò che Christian non le parlava più.
«Siete voi giornalisti che inventate».
Al Ritz di Madrid.
«Volevo fare merenda, vidi un uomo in giacca bianca con galloni dorati, pensai fosse il cameriere. “Scusi, può portarmi un tè?”. Era Juan Carlos, il re di Spagna».
Sempre in «Vacanze di Natale ’95»: con Luke Perry che parlava solo inglese.
«Eravamo ad Aspen, in Colorado, sulla terrazza di uno chalet. Io di inglese non so una parola. Così il regista Neri Parenti mi aveva legato un filo invisibile intorno alle caviglie. Quando era il mio turno di dire la battuta – tac-tac – lo tirava e io partivo».
Neri le salvò la vita.
«Giravamo Cucciolo. C’era una scena in un parco acquatico, dovevo buttarmi giù da uno scivolo e finire in piscina. Ma non so nuotare. “Vai tranquillo, l’acqua è bassa”. Mi sono lanciato e sono caduto all’indietro. Non riuscivo a rialzarmi e ho cominciato a bere. Neri mi ha ripreso non per i capelli ma per i piedi».
Quanto ha fatto guadagnare i suoi produttori?
«Eh tanto. Avrei dovuto dirgli: “Dividiamo in due”. In 20 anni io e Christian abbiamo portato al cinema 30 milioni di spettatori».
Aurelio De Laurentiis è pazzo di lei come nell’imitazione di Max Giusti?
«Mi fa molto ridere. Sì, forse davvero ha un debole per me, c’è stima reciproca».
Ha lavorato con donne bellissime: Muti, Ferilli, Cindy Crawford, Bo Derek, Parietti. Era difficile fare il bravo marito?
«Sì, assolutamente. Ma io sono stato molto rispettoso, scherzavo e basta».
Nessuna scuffia?
«No, mai».
Marisa era gelosa?
«Sì, qualche sospetto di una mia furbacchioneria l’ha avuto. Ci sono stati momenti di grande tensione tra noi».
La delusione.
«Non ne ho avute».
La soddisfazione.
«Franca Faldini, vedova di Totò, mi mandò un libro con la dedica: “E ora tocca a te”».
Con l’amore ha chiuso?
«Sì, confermo. Perché devo trovarmi per forza una compagna quando sono io ad essere in crisi? Non mi va più di corteggiare nessuno. E quelle che corteggiano me sono troppo più giovani, ora è esagerato, meglio l’amicizia».
E se una tentatrice fosse più insistente, resisterebbe?
«Credo di sì, basta».
Perché è rimasto scottato dalla sua ex Loredana?
«Sono stato deluso più di una volta. Alla fine capisci che è tutto fumo e niente arrosto. E che quello che una bella ragazza vuole, stando vicino a te, è soltanto catturare l’obbiettivo».
Davvero con Jerry Calà vorreste fare «Yuppies 3»?
«Anche con Ezio Greggio. L’idea c’è. E il mio prossimo cinepanettone vorrei chiamarlo Natale a casa Boldi».
Magari De Laurentiis si fa sotto. Questi 80 anni sono stati felici?
«Sì, ma sono passati troppo in fretta, credevo ci volessero dieci vite, invece sono volati via».