La Stampa, 20 luglio 2025
Se adesso i giovani scappano all’estero anche dalle regioni del ricco Nord
Gli allarmi sulla situazione dei giovani in Italia sono un po’ come quelli sui dazi di Trump: ne siamo molto preoccupati ma in maniera superficiale e quasi fatalista, il che ci impedisce di studiare seriamente possibili soluzioni e di adottare adeguate contromisure, guardando non tanto, e non soltanto, ai tempi brevi, com’è purtroppo tendenza della politica – ma anche al lungo termine. Eppure, i rapporti istituzionali, dell’Istat, dell’Inps o dell’Ocse, descrivono un quadro di pesante «iniquità intergenerazionale», con le generazioni meno giovani intente (in maniera comprensibile ma comunque egoistica) a proteggere le proprie “fette” di reddito, ricchezza e potere anche nelle circostanze più dure, quando occorrerebbe pensare, oltre che a rimettere in carreggiata il Paese, anche a come redistribuire equamente le perdite provocate dagli choc negativi mondiali. Dalla crisi finanziaria del 2008 in poi per coprire queste perdite abbiamo invece addossato alle generazioni giovani oneri maggiori rispetto a quelli imposti alle generazioni anziane, tendenzialmente più protette dalla politica.
I tasselli che compongono il quadro, che ci ostiniamo a denunciare più che a correggere, sono sconfortanti: anzitutto, una scuola che ha cessato di essere “ascensore sociale”, cioè di portare i figli a un gradino più alto nella società rispetto a quello dei genitori e che – al di là dei bravissimi di cui neppure una scuola mediocre riesce a comprimere i talenti – sembra non in grado di scalare la graduatoria delle performance, soprattutto nelle discipline più scientifiche, che sono anche quelle che offrono maggiori potenzialità di occupazione e di salari. Ne derivano scelte di vita compresse da un isolamento talvolta terribile, camuffato da «partecipazione alla vita sociale» mentre è spesso soltanto «presenza sui social». Per conseguenza, una fascia importante di giovani non è in grado di avere buoni risultati nei percorsi di vita che più si addicono ai giovani: l’istruzione e la formazione professionale che deve tendere a elevati standard qualitativi e il percorso lavorativo, rispettoso delle competenze acquisite e pronto a fornire di nuove, con un salario adeguato e con prospettive di progressione nella carriera. Istituzioni, imprese e famiglie dovrebbero cercare di realizzare miglioramenti continui, perché la conoscenza non è mai stazionaria e il lavoro non lo è più.
Troppi giovani italiani, al contrario, si trovano ingabbiati (almeno fino all’età dell’obbligo scolastico) in una scuola burocratizzata e spesso incapace di motivarli, di includerli, di entusiasmarli alla conoscenza. Per non parlare del milione e mezzo di Neet, giovani che non studiano, non lavorano e spesso vivono di risorse ottenute dalle peraltro modeste pensioni dei nonni (più spesso delle nonne). E anche dei moltissimi giovani che, pur occupati, vivono condizioni lavorative peggiori rispetto a quelle dei genitori (soprattutto dei padri e nonni, che hanno potuto godere di una vita lavorativa meno discontinua e meglio retribuita, in relazione alle condizioni economiche del momento). Questi giovani mancano di prospettive e di fiducia nel futuro, percepiscono come insormontabili le difficoltà di formazione di una famiglia e ancor più di mettere al mondo figli. Perpetuano e acuiscono così il proprio isolamento e la propria fragilità. Rispetto alle sfide poste da questa condizione giovanile si comprende come siano inadeguate misure come “l’assegno unico” – che pure ha rappresentato un progresso nelle politiche famigliari – e quanta strada l’Italia debba ancora percorrere per restituire fiducia ai suoi giovani.
Nasce di qui la migrazione – spesso una vera e propria emorragia – verso l’estero, dove i giovani sono convinti di trovare non solo migliori chance di vita ma anche un lavoro soddisfacente e ben retribuito e persino la possibilità di anni di istruzione secondaria e universitaria, dai quali deriva un accesso facilitato a un’occupazione di qualità. È ipocrita stupirsene; è sbagliato colpevolizzarli ed è, nuovamente, un’arma impari offrire loro una detassazione per farli rientrare. Certo, molti dichiarano di volere un’esperienza all’estero di pochi anni, nell’attesa di tornare, da posizioni di maggiore forza contrattuale, nel “Paese più bello del mondo” ma anche uno dei più avari di opportunità. I numeri sono impietosi: oltre 600mila giovani tra i 18 e i 34 anni hanno lasciato il Paese tra il 2011 e il 2024; più di 430 mila al netto di quelli che sono entrati (o rientrati). Se fino a pochi anni fa a uscire erano soprattutto i giovani del Sud oggi, paradossalmente, le Regioni più colpite sono quelle più ricche, in termini di reddito e opportunità: la Lombardia, l’Emilia-Romagna e persino il dinamico Nord-Est, con il Veneto, il Friuli-Venezia Giulia, e il Trentino-Alto Adige. Regioni dalle quali escono giovani qualificati: in questo caso, evidentemente, più che qualificati rispetto alla domanda locale di lavoro, inferiore a quella che trovano all’estero.
Non sarebbe un gran male se all’uscita dei giovani italiani corrispondesse l’entrata di giovani francesi, spagnoli, tedeschi, e altri ancora. Purtroppo non è così e certo non principalmente per ragioni linguistiche. Perché l’Italia è così scarsamente attrattiva? Il sensibile differenziale salariale a nostro sfavore conta ma non è l’unica ragione. Il lavoro per i giovani, e ancor più per le giovani, è premessa di indipendenza, e quindi di libertà, realizzazione personale e professionale, di valori da affermare e da condividere. A dispetto dell’importanza dell’economia nella nostra vita quotidiana, non è (non può essere) il metro monetario il principale a determinare scelte di vita così importanti, almeno quando non fatte in condizioni di necessità. Per un Paese come l’Italia, una delle culle della civiltà, la sfida è molto più profonda. Il Paese, e quindi le sue istituzioni, il governo, le imprese devono essere in grado di rispondere in maniera positiva e adeguata. Purtroppo, il tempo delle guerre non è di buon auspicio per la realizzazione di un simile progetto.